Resistenza Femminista e Cadmi, Milano 23 novembre 2024
Violenza contro donne e prostituzione: quale relazione?
Intervento di Patrizia Romito
Io sono una ricercatrice e una docente, quindi vorrei contribuire e completare gli interventi precedenti aggiungendo numeri e dati di ricerca alle argomentazioni, che sono già state svolte in maniera molto convincente. Volevo comunque ringraziare le relatrici: Reem Alsalem per questo lavoro sulla prostituzione, che non deve essere stato facile, che certamente non le ha reso la vita semplice, tutt’altro. La ringrazio anche per il lavoro precedente, pubblicato nel 2023, sulla vittimizzazione dopo la separazione e sull’affido dei figli, diventato uno strumento di riferimento importante nella lotta a difesa delle donne e dei loro figli.
Ringrazio Rachel Moran, anche a nome dei miei studenti e delle mie studentesse, perché il suo libro — da quando è stato tradotto in italiano — è nella lista delle letture del corso che tengo sulla violenza contro le donne. Ho così la possibilità, l’opportunità e anche la gioia di vedere come la lettura di questo libro cambi il loro punto di vista: sulla prostituzione, ma anche su come la società occulti la violenza contro le donne. Quindi, grazie davvero a nome di più generazioni di ragazze e ragazzi.
Nelle relazioni che mi hanno preceduta è già chiarissimo il legame tra prostituzione e violenza: un rapporto strutturale, non solo contingente. Rachel Moran parla di “stupro a pagamento”; alcuni anni fa Andrea Dworkin ha sintetizzato in maniera molto potente questa relazione, descrivendo un meccanismo diretto tra prostituzione e stupro, dicendo che tutto quello che si può comprare, si può rubare. Mi sembra un modo molto efficace per farci capire questi legami: cosa c’è nella mente degli uomini che comprano prostituzione, comprano atti sessuali e stuprano.
Una ricerca abbastanza recente, fatta in vari Paesi — anche europei — mostra che gli uomini che comprano atti sessuali sono molto più frequentemente, rispetto a coloro che non lo fanno, autori di violenza sessuale contro le loro compagne e contro le donne anche al di fuori del mondo della prostituzione. È presente lo stesso atteggiamento nei confronti delle donne, la stessa volontà di avere un rapporto che non è paritario e che, quindi, ha in sé il germe della violenza. C’è una violenza intrinseca, e una violenza velata dalla situazione contingente: le ricerche mostrano che più della metà delle donne e degli uomini nella prostituzione subiscono violenze molto gravi da parte dei compratori, dei magnaccia, e talvolta da parte dei loro compagni — che possono coincidere con la figura del magnaccia.
Voglio citarvi alcune brevi frasi tratte da un libro che si chiama La città e le ombre, scritto da due sociologi alcuni anni fa. Raccolgono alcune citazioni molto interessanti di uomini, anche giovani, che parlano della prostituzione, della loro attività di comprare atti sessuali. Sono interessanti perché sono state raccolte nel contesto di una ricerca che non si focalizzava sulla prostituzione. Ci sono ricerche condotte attraverso interviste ai compratori, da cui emergono cose terribili, ma sono pur sempre ricerche in cui i compratori tendono a dare un’immagine di sé molto migliore, disponibili a farsi interrogare su una ricerca sulla prostituzione. Invece questo studio comprende delle chiacchiere spontanee, che forse vale la pena leggere.
Per esempio, un ragazzo di vent’anni dice di essere stato ogni tanto con prostituite straniere, sia slave che nere, e conclude di preferire queste ultime perché sono una novità e perché sembra si possa fare con loro tutto ciò che si vuole. Spiega che sono un po’ come delle bestie, sempre in calore, che non patiscono niente, ne hanno sempre voglia.
Un altro racconta che “sono tutte uguali, quando si va nel mucchio, non si ha il problema della scelta”.
Un diciannovenne dice che fa il giro con i suoi amici, dopo aver bevuto la birra, e spiega che fanno un po’ di tutto: si avvicinano, le insultano, le toccano, a volte fanno finta di investirle.
Ho scelto le citazioni meno difficili da leggere, ma che ci danno un’idea molto precisa dell’atteggiamento dei cosiddetti “compratori”. C’è una totale disumanizzazione delle donne nella prostituzione, già descritta da chi mi ha preceduta, che trova la sua manifestazione più estrema nel femminicidio delle prostituite, che muoiono decisamente di più rispetto alle donne che non si prostituiscono.
Le ricerche e le stime internazionali indicano che una donna nella prostituzione ha una probabilità di morire per morte violenta che va, secondo gli studi, da dodici a trenta volte superiore rispetto a una donna con le stesse condizioni sociali che non è nel mondo della prostituzione. Questi dati ci dicono che i numeri sono sottostimati, perché nella prostituzione le donne sono missing missing: spariscono dal mondo e spariscono dalle statistiche. Provengono dai contesti più isolati, dalla povertà, da minoranze etniche, sono spesso immigrate; quindi spariscono e nessuno sa nulla di loro. Sono anche bersagli privilegiati dei serial killer, che, pur nella loro particolarità (non vorrei usare termini inappropriati), hanno ben chiara la consapevolezza che queste morti verranno poco indagate, sanno che non c’è interesse.
In Canada, alcuni anni fa, un uomo che ha ucciso decine di prostituite, quasi tutte indigene, è stato condannato per sei casi — quelli in cui si erano trovati i cadaveri — ma lui stesso raccontò di averne uccise almeno trenta. Questo caso sottolinea l’indifferenza generale che pervade il contesto della prostituzione.
C’è una questione di disumanizzazione che tocca tutte le donne. In un testo di alcuni anni fa, Catharine MacKinnon si pone una domanda: le donne sono umane? Sono considerate umane? E mette le donne nella prostituzione al centro di questa riflessione.
Allora, se qualcuno — come accade ogni tanto — pensa che queste siano affermazioni ideologiche, vi do due esempi molto concreti. Anni fa, negli Stati Uniti, gli assassini di prostituite venivano identificati con l’acronimo NHI — No Humans Involved, “nessun essere umano coinvolto” — ad indicare che esistono reati e condotte criminali più importanti da perseguire e studiare.
Più recentemente, su un enorme bordello in Spagna, al confine con la Francia, si leggeva: “Ingresso vietato alle donne”. Quindi, quelle che stanno dentro, non si capisce cosa siano, come vengano qualificate. (Questi particolari luoghi di confine sono pieni di bordelli.)
Abbiamo già ascoltato le conseguenze della prostituzione sulla salute mentale, che rappresentano un altro modo per capire cosa accade nella prostituzione: sindrome post-traumatica da stress, dissociazione e problemi dissociativi che si concretizzano in un’anestesia al dolore — necessaria per continuare a sopravvivere — e che diventa un ulteriore fattore di rischio e pericolo per le donne; abuso di psicofarmaci, episodi suicidari. Abbiamo ormai dati molto accreditati che segnalano il deterioramento sistematico del benessere psicologico delle donne. I traumi sviluppati dalle prostituite sono molto simili alle conseguenze vissute dalle bambine vittime di violenza sessuale nell’infanzia, o da donne che hanno subito violenze sessuali successive.
Le donne prostituite, infatti, sviluppano problemi dissociativi, per esempio, che poi si trasformano, si concretizzano, in un’anestesia al dolore che diventa un ulteriore fattore di rischio per le donne, perché non riconoscono i sintomi, non fanno attenzione alle cose che succedono loro … è un’anestesia al dolore necessaria per continuare. E quindi iniziano a prendere psicofarmaci, hanno pensieri di suicidio.
Abbiamo ormai dati molto accreditati, molto autorevoli, che ci dicono che il benessere psicologico è pesantemente compromesso. Va ricordato che queste conseguenze, queste manifestazioni di profonda sofferenza psicologica, sono molto simili, come già detto, a quelle che le bambine vittime di violenza sessuale nell’infanzia, o di violenze sessuali successive, conoscono e sperimentano; quindi, diciamo che il nucleo è molto simile.
Io ho il privilegio di essere a contatto con persone giovani, che mi permettono di capire anche cosa succede a livello sociale: non frequento molto i social, quindi — viva la voce delle mie studentesse e dei miei studenti — è da loro che imparo molte cose.
Alcuni anni fa c’era una grande coscienza, una grande fascinazione, un grande interesse per le attrici nella pornografia. Vedevo che le ragazze ne parlavano come qualcosa di molto interessante, molto eccitante… e naturalmente, come ci ha già spiegato Reem [Alsalem], e come i dati obiettivi mostrano, pornografia e prostituzione sono su un continuum, spesso si confondono.
Ho trovato una ricerca molto recente sulle attrici della pornografia, che mostra un profilo molto simile a quello delle donne prostituite. Si tratta di una ricerca condotta negli Stati Uniti: sono attrici di materiale pornografico, e il 40% di loro proviene da una situazione di abusi sessuali nell’infanzia. Molte sono cresciute in case affidatarie, in case famiglia, che oggi sappiamo essere luoghi in cui, purtroppo, la prostituzione viene promossa. Le ragazze non sono protette e spesso hanno esperienze drammatiche di violenza sessuale, proprio nei contesti in cui vengono girati i film pornografici.
C’è un rapporto molto interessante, anche molto difficile da leggere — come le altre cose di cui abbiamo parlato finora — redatto da esperti su mandato del Conseil de l’égalité entre les femmes et les hommes, un organismo vicino al governo francese. È uscito nel 2023 e si intitola “Porno-criminalité. Mettons fin à l’impunité de l’industrie pornographique” (“Porno-criminalità. Mettiamo fine all’impunità dell’industria pornografica”). Un rapporto interessantissimo, che vi consiglio di leggere se volete approfondire questa questione. Tra le altre cose, cita uno “scandalo” recente, sia negli Stati Uniti sia in Francia, in cui alcune attrici di film pornografici hanno denunciato gravi situazioni di violenza, al livello di stupri, ma anche di tratta e violenze fisiche, avvenute durante le riprese dei film.
La cosa interessante è che, come in tutta la storia del #MeToo, testimonianze di questo genere esistevano da molto tempo, ma non sono mai state prese in considerazione.
Qui è successo un po’ di tutto, e i “produttori”, i “gestori” di questi film e dei relativi siti sono stati messi sotto processo. Vedremo cosa succederà: negli Stati Uniti, i gestori delle carte di credito hanno inizialmente deciso che non si poteva più pagare con le loro carte quel tipo di materiale pornografico, ma poi si sono tirati indietro.
Insomma, c’è tutta una grande attività a livello internazionale, ma sappiamo che prostituzione e pornografia sono tra gli affari più redditizi al mondo — probabilmente più del traffico di droga.
Vorrei citarvi dati recenti e istituzionali. In Gran Bretagna, in un solo anno — sono cifre assurde — la prostituzione rende 5,3 miliardi di sterline, mentre i profitti di tutte le droghe messe insieme ammontano a 4,4 miliardi. Quindi la prostituzione rende più dell’intero mercato della droga.
In Svizzera, in un anno, prostituzione e pornografia rendono 3 miliardi di franchi svizzeri. È chiaro, quindi, che quando si cerca di contrastare questi mercati — e bisogna farlo con tutti i mezzi possibili — l’opposizione è durissima. Non sono battaglie facili.
È già stato detto, ma penso sia fondamentale ricordarlo: in Europa, l’ingresso nella prostituzione avviene in media a 14 anni. Ci sono dati, sempre francesi, molto interessanti e drammatici, su un campione di cento casi di servizi sociali che hanno seguito ragazzine coinvolte nella prostituzione. Anche lì ritroviamo violenza sessuale nell’infanzia, madri maltrattate dai partner, quindi madri e figli in situazioni di violenza; spesso i “protettori” sono fidanzatini poco più grandi. Si riscontrano poi problemi di salute mentale, tentativi di suicidio, eccetera.
E anche — come già è stato detto, ma è importante ribadirlo — una banalizzazione della prostituzione da parte di queste ragazzine, che va insieme alla sofferenza: perché poi ci sono i tentativi di suicidio, il consumo di droghe… una sofferenza enorme, accompagnata da dichiarazioni come “è una cosa che volevo fare”, “il mio fidanzato mi aiuta”, “mi compro delle cose”… insomma, narrazioni che possiamo immaginare, ma che è importante leggere insieme alla sofferenza manifestata in molti altri modi.
Vado alla conclusione, riprendendo alcune cose già dette molto bene. Parlare di “scelta” è un artificio retorico, ed è una retorica molto legata al momento storico che stiamo vivendo: ha vinto il mercato, sostanzialmente, e si suppone che, nel mercato, gli individui siano liberi e facciano libere scelte.
Tutto ciò che abbiamo detto, però, ci porta in un’altra direzione.
Naturalmente, anche partendo dall’esempio di ragazzine che tentano il suicidio dopo essersi prostituite o dopo essere state violentate ma che dicono di averlo voluto, bisogna ricordare che non c’è contraddizione tra scegliere quello che appare come il male minore, o anche fare una scelta che si assume e si difende, e l’oppressione, la dominazione, in cui questa scelta è stata fatta.
Il concetto di scelta è importante, ma va ponderato — soprattutto in questi contesti, ma non solo.
Vorrei anche aggiungere che c’è un altro problema, oltre a quello della scelta: l’attacco al concetto di “vittima”. Oggi è molto difficile parlare di vittime di violenza. C’è tutta una tendenza, anche all’interno del movimento delle donne, a dire “no, non parliamo di vittime, parliamo di empowerment”.
Ma, di nuovo, non c’è contraddizione tra l’essere vittima e il lottare, per esempio. Essere vittima è una condizione temporanea, oggettiva, non è un tratto psicologico. Io penso che sia molto importante parlare di vittime: parliamo di vittime di incidenti stradali, di vittime dell’amianto, e parliamo delle vittime della violenza patriarcale contro le donne.
Anche perché, se non parliamo di vittime, ci sfugge la violenza che hanno subito, e ci sfugge l’aggressore. Se non c’è vittima, non c’è aggressore.
Questo è un rischio in cui è molto facile incorrere, perché — come già è stato detto — nessuno di noi vuole vedere queste cose, e quindi, se abbiamo l’occasione di sfuggire a questo confronto con la realtà, cerchiamo di farlo.
Un’ultima cosa prima di concludere: il concetto di consenso. Anche questo è molto problematico, e penso che dobbiamo davvero riflettere sul peso che il concetto di consenso ha assunto negli ultimi mesi, con i cambiamenti legislativi e così via.
Mi rifaccio a un libro molto interessante, tradotto in italiano, di Vanessa Springora: Il consenso. Racconta la storia di una ragazzina violentata da un uomo molto più vecchio, uno scrittore che faceva parte del mondo intellettuale e appariva anche in televisione. Una storia drammatica, ma molto interessante proprio per il contesto sociale in cui avviene.
Vanessa Springora, che è stata violentata da quest’uomo a 15 o 16 anni, scrive: “Come riconoscere la violenza se non si può negare di aver consentito?”. Lei ha continuato a vederlo.
E, di nuovo, Catharine MacKinnon, con la sua chiarezza, dice: “Il consenso non è concepibile in una situazione di disuguaglianza”. E, d’altronde, parlando di eventuali cambiamenti nella legge sulla violenza sessuale, è utile ricordare ciò che afferma MacKinnon: “In una situazione di uguaglianza, non si parlerebbe di consenso, ma piuttosto di desiderio, voglia, passione, divertimento, gioia”.
Quindi, quando usiamo il termine “consenso”, spesso stiamo parlando di qualcosa che normalmente non ci piacerebbe fare, ma a cui acconsentiamo.
È davvero molto complicato.
Tutto questo rischia di sparire. Rischiano di sparire i “compratori”.
Anche qui abbiamo parlato delle donne — ed è giusto, è fondamentale — ma i “compratori” restano un po’ nell’ombra. Invece dovrebbero essere messi sotto i riflettori, non per essere esibiti, ma per spiegare cosa implica la loro visione delle donne, la loro visione della sessualità, e ciò che questo comporta nel nostro vivere sociale.
Grazie a Michela e Francesca per la trascrizione.