Violenza di genere e prostituzione: le raccomandazioni ONU e il fallimento della regolamentazione olandese
«I professori borghesi non si vergognano a dichiarare sulla carta stampata che le prostitute non sono schiave, che hanno scelto volontariamente questa strada!
Questa è un’ipocrisia disgustosa: è come dire che nulla impedisce a un operaio di lasciare una fabbrica in cui è impossibile respirare per la polvere, i fumi velenosi e il caldo.
Egli “volontariamente” resta a lavorarci, “volontariamente” lavora per 16-18 ore.»Nadežda Krupskaja
“The female worker” 1899

Traduzione di Giulia P. da Coalition Against Trafficking in Women e Reem Alsalem
Recentemente, Reem Alsalem, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, ha pubblicato un rapporto in cui sostiene che la prostituzione è un sistema di violenza e sfruttamento, non una forma di lavoro.
Il suo rapporto sottolinea che la prostituzione colpisce in modo sproporzionato donne e ragazze emarginate e vulnerabili, esponendole a gravi violenze fisiche, psicologiche ed economiche.
Le conclusioni di Alsalem evidenziano la necessità di affrontare le cause profonde della prostituzione, tra cui le norme patriarcali, le disuguaglianze economiche e sociali, riconoscendo al contempo la prostituzione come una violazione dei diritti umani.
Nel suo rapporto Alsalem evidenzia che:
- La prostituzione è una forma di violenza: viene descritta come un sistema di violenza contro donne e ragazze, non come una scelta volontaria.
- Le più colpite sono le popolazioni vulnerabili: in particolare donne provenienti da contesti a basso reddito, popolazioni sfollate, migranti e minoranze, le più esposte allo sfruttamento nell’industria del sesso.
- È una violazione dei diritti umani: la prostituzione lede il diritto delle donne alla dignità, all’integrità del proprio corpo e a vivere libere dalla violenza.
- Serve un cambiamento sistemico: è necessario affrontare le cause strutturali della prostituzione, come la disuguaglianza di genere, le disparità economiche e la domanda di sesso a pagamento.
- Rifiuto del termine “sex work”: viene contestata la definizione di prostituzione come “lavoro sessuale”, sottolineandone la natura di sfruttamento.
- Le donne vanno riconosciute come vittime: non come criminali, ma come persone che necessitano di sostegno e protezione.
Per la stesura del report, la Relatrice speciale ha raccolto circa 300 contributi provenienti da un’ampia gamma di soggetti interessati e ha organizzato sette consultazioni online che hanno coinvolto 86 esperte/i e donne con esperienze dirette, provenienti da tutti i continenti.
Il termine prostituzione fatica a trovare una definizione all’interno del diritto internazionale, come viene spiegato nel report “Il concetto di prostituzione e la terminologia ad esso associata sono controversi e polarizzanti. Traduzioni confuse, mancanza di definizioni chiare ed eufemismi hanno aggiunto ulteriori complicazioni. La terminologia utilizzata nel rapporto si basa invece sulla comprensione della prostituzione come sistema di violenza, che riduce le donne e le ragazze a merce”.
L’approccio adottato da Reem Alsalem è infatti quello basato sui diritti umani. I termini utilizzati sono “donne e ragazze prostituite” e “sfruttamento della prostituzione di donne e ragazze” perché sono in linea con le norme internazionali, considerando anche il linguaggio raccomandato dal Comitato per i diritti dell’infanzia.
Dall’analisi condotta dalla Relatrice Speciale, emergono due livelli su cui si sviluppa il sistema prostituente.
A livello macro, i sistemi prostituenti sono alimentati da norme patriarcali, abuso di potere e domanda sessuale maschile. Negli ultimi decenni, globalizzazione, disuguaglianze economiche, conflitti, militarizzazione, distruzione ambientale, eredità coloniali, guerre ed emergenze umanitarie hanno creato condizioni che favoriscono la prostituzione, aggravando emarginazione e spostamenti forzati di donne e ragazze.
A livello individuale, le più esposte sono donne e ragazze che subiscono forme multiple e intersezionali di discriminazione: disabilità, età, classe sociale, origini, etnia, status migratorio o legale, orientamento sessuale e identità di genere. Spesso vivono in povertà estrema, senza fissa dimora o in condizioni abitative precarie, con scarso o nullo accesso a istruzione, assistenza, protezione o opportunità di lavoro. Molte hanno alle spalle traumi infantili, abusi sessuali e fisici (compreso l’incesto), dipendenze o esperienze di sfruttamento. Frequentemente vengono ingannate con offerte di lavoro false o incentivi economici in cambio di atti sessuali.
La Commissione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne ha esteso la definizione di discriminazione dell’articolo 1 della Convenzione per includere la violenza di genere. Nella Raccomandazione generale n. 38 (2020), ha riconosciuto tratta e sfruttamento della prostituzione femminile come fenomeni radicati nella discriminazione strutturale basata sul sesso e quindi come forme di violenza di genere. Basandosi sul Protocollo sulla Tratta di Persone e sulla Convenzione ONU contro la Criminalità Organizzata Transnazionale, ha rafforzato il legame inscindibile tra tratta e sfruttamento sessuale, esortando gli Stati ad adottare misure per eliminarli.
Un esempio virtuoso di applicazione di questi principi è il modello nordico (o modello di uguaglianza), adottato da Paesi come Svezia, Norvegia e Francia: esso criminalizza l’acquisto di sesso, decriminalizza le persone prostituite e fornisce loro supporto per uscire dallo sfruttamento. In questo modo si agisce sia sulla domanda — riconosciuta come motore della tratta — sia sulla protezione delle vittime, in linea con quanto raccomandato dalla Commissione.
L’esperienza opposta si osserva invece nei Paesi Bassi, dove la regolamentazione della prostituzione ha prodotto una normalizzazione dello sfruttamento sessuale. In alcune municipalità il governo arriva persino a rimborsare l’uso della prostituzione per uomini con disabilità, mentre le professioni di cura – svolte in gran parte da donne – vengono assimilate alla prostituzione. I dati rivelano tassi altissimi di molestie sessuali nel settore sanitario, violenza diffusa contro donne migranti senza documenti e gravi problemi di ordine pubblico nei quartieri a luci rosse, con degrado ambientale e umiliazione pubblica delle donne prostituite. Questa realtà conferma come la legittimazione statale della prostituzione non elimini lo sfruttamento, ma lo radichi e lo renda culturalmente accettabile, in contrasto con gli obiettivi della Commissione.
Secondo quanto riportato dalla Coalition Against Trafficking in Women CATW, studi recenti hanno rilevato alti tassi di molestie sessuali contro le infermiere nei Paesi Bassi (fino al 37%), così come contro assistenti domiciliari (27%) e fisioterapiste (18%).
Nel 2010, il sindacato olandese degli operatori sanitari NU’91, con 40.000 iscritti, ha lanciato una campagna contro tali molestie, dichiarando chiaramente: “Non forniamo servizi sessuali”. La campagna è stata ispirata da una studentessa infermiera che aveva osservato colleghe sentirsi obbligate ad acconsentire quando pazienti maschi chiedevano di essere masturbati.
I rappresentanti dei pazienti hanno rilasciato una dichiarazione pubblica affermando: “Ogni cliente è libero di chiedere ciò che vuole. E ogni operatore è libero di rispondere o meno”.
Nei Paesi Bassi è legale pagare una varietà di servizi – ad esempio lezioni di guida – con atti sessuali, purché sia la persona che fornisce il servizio (in questo caso l’istruttore di guida) a proporre di compiere atti sessuali in cambio del servizio. Entrambe le parti devono avere più di 18 anni, usare preservativi e svolgere gli atti in un contesto privato. Il Ministro della Giustizia ha dichiarato che gli accordi “sesso-in-cambio-di-servizio” sono accettabili purché avvengano tra adulti “eguali” e “consenzienti” e che l’abuso dei giovani possa essere prevenuto attraverso un’adeguata educazione sessuale.
Un quadro ancora più preoccupante emerge da un’indagine sulle donne rifugiate, che rivela i tassi di violenza di genere subita nei Paesi Bassi dopo il loro arrivo: il 62% ha subito violenza emotiva/psicologica; il 56% violenza sessuale; il 33,7% violenza economica; il 47% violenza fisica.

Ma la violenza di genere e la sua normalizzazione riguardano anche le donne autoctone. Stando ad un’inchiesta condotta dall’UE nel 2014, sui tassi di violenza di genere subita nel corso della vita da donne olandesi dai 15 anni in su, il 73% ha subito molestie sessuali; il 51% ha evitato luoghi o situazioni nell’ultimo anno per paura di violenza fisica o sessuale; il 45% ha subito qualche forma di violenza fisica o sessuale (contro una media europea del 33%); il 26% è stata vittima di stalking; il 25% di violenza fisica o sessuale da parte di un partner o ex partner, il 20% ha subito violenza sessuale e il 10% è stata stuprata.
La realtà di vivere accanto a un bordello legale risulta essere problematica per molti. Con alti livelli di turismo (18 milioni di visitatori ogni anno ad Amsterdam) e una cultura di consumo pubblico di droghe, molti residenti dei quartieri a luci rosse – compreso il famigerato De Wallen – lamentano un ambiente di vita tossico, con rumori notturni paragonabili ai festeggiamenti di Capodanno, traffico intenso, sirene di ambulanze, sporcizia diffusa, ubriachezza e atti di minzione in luogo pubblico.
Crimini più gravi come spaccio di droga, aggressioni, furti e rapine avvengono anch’essi a tassi elevati a De Wallen.
“Giorno dopo giorno, un paio di passanti ridono di te… Ti arrivano commenti come: ‘Ecco un’altra lurida puttana.’ Oppure: ‘Guarda quella, dovrebbe essere lei a pagare, è così brutta…’ Queste sono le cose che devi sentire.” – racconta una donna prostituita in strada e in vetrina.
Episodi di razzismo e misoginia risultano essere strettamente collegati, come dimostra la terribile usanza di ‘guardare le scimmie’, in cui le donne vengono osservate dietro le vetrine dei quartieri a luci rosse come se fossero animali. Fino a quando la sindaca Femke Halsema non ha vietato la pratica nel 2020, Amsterdam offriva tour ufficiali tra le strade e i canali di De Wallen per osservare le donne dietro le vetrine, pratica che alcuni locali chiamavano aapje kijken (“guardare le scimmie”). Solo una o due persone su 200 visitatori di De Wallen acquistano atti sessuali, mentre il resto – comprese famiglie e scolaresche – viene semplicemente a guardare le vetrine dei bordelli. I turisti spesso molestano le donne prostituite ridendo, indicando, urlando insulti e scattando loro foto. L’impatto della prostituzione non riguarda solo chi vi è coinvolto o i luoghi in cui avviene. La sua presenza, soprattutto se lo Stato la legittima, si diffonde nella società più ampia, plasmando atteggiamenti socio culturali negativi, stereotipi e processi di disumanizzazione, non solo verso le donne prostituite, ma verso tutte le donne e le ragazze.
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