Per Adelina. Saremo la tua voce.

Siamo profondamente addolorate per la scomparsa della nostra sorella Adelina, il vuoto che ha lasciato è grande ma non possiamo non raccogliere il suo grido e portarlo dappertutto:  “Diventate la mia voce, date voce a quello che è successo a me perché tutte le Adeline possano avere quello che non ho avuto io, che queste cose non possano accadere più.”

Il giorno prima della sua scomparsa ci aveva rassicurate, voleva continuare a lottare nonostante fosse stata abbandonata dalle istituzioni e lo ha fatto fino alla fine per chiedere giustizia non solo per se stessa, ma per tutte le donne vittime del sistema prostituente per le quali si era spesa da sempre fin da quando si era ribellata ai suoi sfruttatori mandando in carcere 40 persone e facendo liberare 10 ragazze schiave (di cui la più piccola appena quattordicenne) come lei dei trafficanti, sottoposte ad ogni genere di torture non solo dei criminali che le tenevano in schiavitù ma anche degli stupratori a pagamento sulle strade italiane.

Adelina era un’attivista abolizionista. Non si è mai risparmiata per la lotta a favore delle donne prostituite e perfino quando si era ammalata di cancro aveva voluto comunque rilasciare la sua testimonianza in Senato per chiedere ai nostri politici di approvare una legge abolizionista: “C’è chi parla di legalizzare i bordelli e le cosiddette zone rosse. Se oggi fossi ancora schiava, avrei paura che qualcuno potesse buttare una bomba contro i miei familiari. Io starei dentro al bordello, così i miei sfruttatori prenderebbero i soldi, mentre lo Stato incasserebbe le tasse. Io, come qualsiasi donna (parlo da ex schiava del racket della prostituzione), mi aspetto da chi rappresenta lo Stato – mi riferisco alle istituzioni, al Governo e a chi ha i poteri – di offrirmi opportunità dignitose. […] Se sono qui oggi è per dirvi che personalmente ho subito tutti i tipi di torture e quelle che ho subito io le stanno subendo tutte le ragazze. Fate qualcosa per queste ragazze, non permettete che venga legalizzata la schiavitù della prostituzione e vengano aperti i bordelli. Se domani il mio medico mi dovesse dire che sto per morire e mi chiedesse di esprimere un ultimo desiderio, direi che il mio desiderio è fermare la domanda sul tema della tratta di esseri umani. Non lo dico tanto per dire, ma lo penso veramente. Bisogna fermare la domanda con multe ai clienti, perchè sono consapevoli.” https://www.senato.it/1122?indagine=15

Anche prima di morire il suo pensiero è stato per le “Adeline” a cui aveva dato voce nei suoi libri e nella trasmissione radio che conduceva per l’emittente Radio Voce della Speranza, quelle ragazze schiave che aveva aiutato concretamente affiancandosi alle forze dell’ordine nella lotta contro la tratta e prendendo posizione in modo forte e inequivocabile a fianco delle sorelle sopravvissute a favore del modello nordico.

Quando l’abbiamo incontrata nel 2014 Adelina aveva già scritto libri, era comparsa in varie trasmissioni TV, intervistata su vari giornali, aveva cercato di aprire un centro di accoglienza per donne liberate dalla schiavitù della prostituzione. Da subito ci siamo riconosciute: abbiamo iniziato a lottare insieme partecipando a convegni (come quello organizzato da Antonella Penati il 25 ottobre 2015: https://www.resistenzafemminista.it/la-violenza-contro-le-donne-ha-una-radice-patriarcale-violenza-domesticasfruttamento-sessuale/), organizzando campagne e azioni anche in collaborazione con attiviste internazionali. Nel 2015 il documento di Amnesty sul sex work l’aveva sconvolta, aveva scritto una lettera che aveva inviato a Riccardo Noury di Amnesty Italia che gli aveva risposto, ignorando totalmente la sua richiesta di difendere i diritti umani delle donne più vulnerabili, le migranti come lei schiavizzate e uccise a causa della prostituzione,  che Amnesty aveva ascoltato le associazioni di “sex workers”:

“Salve   mi chiamo   Alma  Sejdini, ma ormai ho  assunto il nome di  Adelina,   è il mio nome di battaglia   contro il racket.   Ho letto  la     proposta   di  Amnesty  International   e  mi è subito   scivolata una lacrima   dagli   occhi.   Io   che  piango   mentre leggo   la proposta  di depenalizzare gli sfruttatori, i proprietari di bordelli e i compratori   di sesso sono  una   donna  che  ha subito   sequestri, violenze e  torture e ho cicatrici  che tutt’oggi   porto sul mio  corpo, ancora oggi ho questi segni che mi ricordano sempre quello che ho vissuto.  Per questo vi chiedo,   vi supplico   non   appoggiate la legalizzazione della prostituzione, non macchiatevi di un crimine così  grande,   ma piuttosto    chiedete che siano date vere   opportunità   alle donne che sono sfuggite alla violenza della prostituzione,      opportunità dignitose,  un aiuto concreto a chi si ribella al racket   come ho fatto   io […] Il linguaggio che usate per descriverci è un’offesa che non possiamo accettare: le donne in strada non sono lavoratrici    del sesso, sex workers,  ma sono   donne schiavizzate! Non ho mai incontrato una donna che si prostituisse per scelta in tutti gli anni che sono stata prostituita! vi chiedo di ascoltarmi insieme alle altre vittime di tratta, voglio portarvi la mia testimonianza, difendete i nostri diritti umani che sono stati calpestati, non quelli di chi ci ha fatto violenza!” https://www.resistenzafemminista.it/lettera-ad-amnesty-international-di-resistenza-femminista/

Nel 2017 partecipò con noi all’Assemblea generale di Non una di Meno  che doveva avere l’obiettivo di redarre un Piano Nazionale contro la violenza sulle donne. Sapevamo delle posizioni pro-prostituzione di una parte consistente del movimento, ma Adelina decise con grande coraggio di portare la sua testimonianza, di essere la voce delle sopravvissute del nostro collettivo in un ambiente che si prospettava ostile: “Una volta sbarcata sulle strade italiane dove io ho passato quattro anni di schiavitù io posso dire sono stata nell’inferno e questo si chiama prostituzione sui marciapiedi. I corpi che noi vediamo sulle strade sono corpi offerti per mano della criminalità organizzata. Per tutte le iniziative che fate, farete a seguire sono qui ad implorarvi di non usare il termine “sex work”, noi lo sappiamo benissimo che la prostituzione è sempre esistita, ma sono donne schiavizzate, se noi guardiamo la Germania la regolamentazione ha fallito perché le donne sono violentate oltre che fisicamente anche psicologicamente. […] Io dico un forte no alla legalizzazione della schiavitù della prostituzione e la via d’uscita, per porre fine non è la legalizzazione ma seguire quello che è il modello nordico. Voi siete donne, siete mamme, siete sorelle, quando parlate del tema violenza io vi supplico di non usare “sex work” di non considerare la prostituzione un lavoro perché abbiamo a che fare con donne schiavizzate”  https://www.resistenzafemminista.it/intervento-per-lassemblea-nonunadimeno-del-4-5-febbraio/.

Le sue parole coraggiose furono accolte da un silenzio gelido e non mancò la replica da parte del Collettivo di Sex workers Ombre Rosse, pensato in aperta opposizione alla testimonianza di Adelina con l’intento di silenziarla, intervento accolto da grandi applausi. L’intervento di Adelina fu letteralmente censurato dall’assemblea, ad essere pubblicato sul sito di Non una di meno fu soltanto quello di Ombre Rosse. Nel marzo del 2017 Adelina decise di aprire insieme a noi una pagina Facebook “Una in meno” per denunciare come nel piano anti violenza del movimento non si facesse nessuna menzione della tratta, come se il sistema prostituente non fosse l’espressione emblematica della violenza maschile sulle donne.

Qui trovate il resoconto di Adelina: “https://manuelasaenzorinoco.wordpress.com/2017/04/27/assemblea-nazionale-non-una-di-meno-la-testimonianza-di-adelina-adelina/

Sempre nel marzo del 2017 Adelina decise di lanciare con noi una campagna che riprendeva il titolo della trasmissione radiofonica che conduceva da anni “Libera la vita”: “Salve a tutti,
sono Adelina, ex vittima di tratta e schiava del racket della prostituzione, libera grazie alla Polizia di stato della Questura di Varese. Grazie alla mia denuncia fu sgominato un grande giro di tratta e processati circa 40 sfruttatori.
Insieme alle sorelle di battaglia del collettivo Resistenza Femminista lotto tutti i giorni a favore delle vittime della tratta di esseri umani, delle donne violentate e costrette a prostituirsi. Ho sentito spesso ultimamente – anche purtroppo da ambienti che si definiscono femministi – usare il termine “sex workers migranti” per definire le donne migranti prostituite in strada. Noi respingiamo ciò con forza, perché queste donne sono invece schiave del racket della prostituzione.
I clienti che vanno a cercare rapporti a pagamento sulle strade sono complici di questa schiavitù: loro sanno benissimo che le donne sulle strade sono costrette a prostituirsi. Posso dimostrarlo con questi video da me realizzati con una microcamera a orologio prestatami da un’agenzia investigativa, in cui ho ripreso me stessa mentre faccio finta di prostituirmi e chiedo ai clienti che si fermano un prezzo di 70 euro. Loro rispondono che è troppo caro, allora io replico che se non porto i soldi a casa i miei sfruttatori mi picchiano. Nonostante questo, loro insistono per lo sconto. E’ evidente, quindi, che i clienti sanno benissimo che quelle donne sono schiave e se ne fregano! Dobbiamo lanciare una campagna di sensibilizzazione su come il cliente è consapevole di pagare un rapporto a pagamento a schiave della tratta e del racket della prostituzione. Donne che veramente piangono in silenzio.
Io da ex schiava, insieme alle mie sorelle di Resistenza femminista, desidero fermare la domanda e per questo invito tutti e tutte a unirsi a noi contro le proposte di regolamentazione della schiavitù della prostituzione e perché l’Italia adotti presto il modello nordico per combattere veramente lo sfruttamento delle donne e la tratta degli esseri umani.” https://www.resistenzafemminista.it/campagna-di-adelina-ex-vittima-di-tratta-per-smascherare-i-clienti-complici-del-racket/

In collaborazione con le attiviste abolizioniste tedesche della pagina “Abolish prostitution now” e dell’European Network of Migrant Women Adelina realizzò un volantino che fu tradotto in otto lingue perchè potesse essere usato a livello internazionale: Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Russo, Bulgaro, Ebraico, Arabo.

Il suo impegno di attivista è proseguito senza sosta fino al 2019, anno in cui ha scoperto di essere affetta da un cancro diagnosticato in ritardo a causa della sua impossibilità a curarsi: Adelina era una donna povera che non aveva ricevuto alcun sostegno dallo Stato che però aveva servito per molti anni diventando come le dicevano “un esempio da seguire” per le ragazze schiave del racket. Gli aiuti che riceveva da noi o altre persone non erano mai risolutivi perché non percependo alcun tipo di reddito, né una casa non riusciva mai a raggiungere l’indipendenza economica. Con il sopraggiungere della malattia era diventato per lei impossibile svolgere qualsiasi lavoro, solo di recente le era stata riconosciuta l’invalidità totale con un contributo di appena 280 euro. Questo piccolo aiuto e la possibilità di vivere in una casa popolare le erano state negate dal cambio di cittadinanza, quella scritta “albanese” nel suo permesso di soggiorno oltre alla dichiarazione non veritiera che stesse lavorando l’aveva gettata nello sconforto. Tornare in Albania equivaleva per lei ad una condanna a morte, “ho gli incubi tutte le notti” diceva. Come scriveva nel suo libro “Libera dal racket della prostituzione”: “non è possibile immaginare di tornare nel proprio Paese quando si hanno ricordi come questi. Pesanti, dolorosi. No, in Albania non ci torno nemmeno da morta. Nemmeno per dieci miliardi! Meglio essere povera in Italia che ricca in Albania, montata da tutti quelli che vogliono farlo, nella violenza assoluta come quella volta che ho visto due amici del mio padrone del momento entrare in una casa col kalasnikoff spianato, puntarlo alla testa di un uomo e prendersi la sua unica figlia e, per calmare il fratello di quella che era davvero poco più che una bambina, sparargli addosso.” Lo Stato aveva il dovere di proteggerla dai criminali che aveva denunciato e dai quali aveva ricevuto minacce di morte, ma nonostante i numerosi appelli anche al Presidente della Repubblica e una petizione non le è mai stata concessa la cittadinanza italiana.

Lei che amava l’Italia, il paese che identificava con la sua rinascita, il paese che voleva servire con la sua lotta contro la criminalità a fianco delle donne più emarginate e dimenticate, le prostituite. Lei che l’ultimo giorno della sua vita si era avvolta nel tricolore per protestare davanti al Viminale contro la grave, inaccettabile ingiustizia che stava subendo, invece di essere ascoltata il suo appello disperato le era valso un foglio di via obbligatorio per un anno, l’ultimo affronto per lei che era “la legalità in persona”.

Troppe cose sono oscure rispetto alle circostanze in cui ha trascorso l’ultimo giorno della sua vita e anche rispetto alla sua morte. Una di noi l’aveva sentita proprio la sera prima della sua scomparsa, era decisa a combattere, a denunciare cosa le era accaduto. Per questo abbiamo incaricato un’avvocata per indagare su eventuali responsabilità per la decisione che ha preso Adelina e su cosa l’abbia spinta a suicidarsi. Abbiamo lanciato un appello a tutte le associazioni  desiderose di partecipare ad unirsi a noi, l’Associazione Differenza Donna, Maternamente e Se non ora quando Sisters hanno risposto all’appello perché quello che è successo ad Adelina non deve succedere ad altre donne e chissà quante altre donne sono nella sua stessa situazione.

Chiediamo verità e giustizia per la nostra sorella Adelina. Il suo non è un suicidio ma un femminicidio, sono migliaia le donne che muoiono a causa della prostituzione nel mondo. Ad averla uccisa sono i trafficanti, gli stupratori a pagamento e lo Stato stesso che le ha voltato le spalle nel momento del massimo bisogno. La perdita della sua vita ci dimostra come il sistema anti-tratta in Italia sia del tutto insufficiente.

Faremo di tutto per impedire che altre “Adeline” si perdano a causa dell’indifferenza colpevole dello Stato, che il sogno di una vita libera cui tutte le ragazze che si trovano nella tratta e nella prostituzione hanno diritto sia spezzato. Andremo sempre avanti perché alle sopravvissute siano garantite vie di uscita e reale assistenza per il superamento del trauma della violenza della prostituzione, perché possano diventare indipendenti e padrone della loro esistenza.

Abbiamo urgente bisogno di una legge abolizionista che metta al centro le donne prostituite o ci saranno sempre tante Adeline.

Adelina lo ha urlato forte che la prostituzione non è un lavoro e che il modello nordico è la via per la libertà, come il Bambù ti sei piegata di fronte al peso dell’ingiustizia ma non ti hanno spezzata, non ti hanno zittita perché la tua voce adesso echeggia in tutto il mondo, ci hai lasciato una lezione forte che soltanto unite potremo trasformare in lotta per arrivare al cambiamento che tu sognavi.

Vogliamo ricordare la nostra sorella in un evento che stiamo organizzando per il fine settimana 27-28 novembre, scriveteci a resistenzafemminista@gmail.com:

Unite in memoria di Adelina.

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