Il grande assente nel dibattito sulla prostituzione
di Valentina S.
La maggior parte sta zitta ma non può che ritenersi la più grande beneficiaria occulta (o pilotatrice?) della grandissima campagna mondiale di normalizzazione-banalizzazione della prostituzione che non esita a utilizzare argomenti del femminismo e dei diritti umani per raccogliere consensi.
La regolamentazione-depenalizzazione-normalizzazione della prostituzione ha causato, dovunque sia stata adottata, la depenalizzazione dei profitti terzi sulla prostituzione, a volte nascosta e occultata dal semplice affittare delle camere d’albergo a prezzi salatissimi (come ad esempio avviene in Svizzera). Va da sé che il settore legale è poi una minima parte dell’industria che resta per lo più sommersa, ma appare legale e più “pulita” ai benpensanti, rassicurati dal fatto di non vedere in strada il mercato del sesso, o vederlo meno, a causa delle norme repressive che lo vietano.
Chi pensa che legalizzando l’industria della prostituzione e facendo finta che sia un lavoro come ogni altro si sconfiggano le mafie e la tratta “pecca di ingenuità” come dice Lydia Cacho, perché le mafie non hanno alcun interesse a rinunciare ai loro affari, né lo faranno. Ciò non potrà che aumentare invece il loro capitale di consenso e la loro impunità, perché sempre più gente penserà che le donne in prostituzione sono libere, felici e ben pagate, la domanda crescerà sempre di più e tecnicamente sarà sempre più difficile perseguire gli sfruttatori, una volta che questi siano diventati “manager”.
Basterebbe pensare alla tratta con vera e propria riduzione in schiavitù per il lavoro – nell’abbigliamento, nell’edilizia, nell’agricoltura – che avviene tranquillamente nel moderno capitalismo sostanzialmente indisturbata, per far tremare una persona di buon senso al solo pensiero di far entrare la prostituzione nella sfera del “lavoro”.
E invece si sente tanto parlare di diritti, di pensione, ferie e malattia, come se l’industria del sesso fosse la città del sole e non il regno di efferati sfruttatori! Come se non avessimo già esempi concreti in tanti paesi, come la Germania, dove le tariffe per le donne sono crollate nei bordelli a tariffa fissa dove paghi un tot al mese e stai con quante vuoi. Più dici che la prostituzione in sé è una banale attività come altre e che frutta lauti guadagni più confermi la falsa versione di trafficanti e papponi che, con secoli di esperienza, attraggono le ragazze nel giro nella sostanziale connivenza degli stati e della società tutta, più aumenti la violenza dei clienti che vogliono sia soddisfatta ogni loro richiesta e si lamentano coi gestori dei bordelli della scarsa “professionalità” delle ragazze che hanno dolore e chiedono di smettere.
Si dice che si vuole togliere lo stigma alle donne in prostituzione, ma – come dice Rebecca Mott, sopravvissuta allo sfruttamento sessuale – per toglierlo bisogna cominciare a considerarle innanzitutto esseri umani e non macchine per fare soldi o bambole di gomma a servizio dei clienti. E bisogna fare attenzione a non togliere invece lo stigma ai magnaccia, promuovendoli a manager di tutto rispetto come già accaduto in numerosi paesi!
Come giovane donna che non si è personalmente prostituita, ma conosce ragazze ex vittime di tratta e donne fuoriuscite dalla prostituzione, posso dire che non voglio vivere in un mondo in cui la prostituzione sia considerata una buona opportunità di lavoro che le ragazze possono cogliere. Voglio avere il diritto di rivendicare istruzione, lavoro e reddito garantito, senza che mi si proponga l’industria del sesso come accettabile alternativa o mezzo per pagare rette universitarie sempre più esose, nascondendo la distruzione psico-fisica che porta con sé. Come donna femminista dico che “il corpo è mio e lo gestisco io” non significa che lo gestisce invece di me il mercato, il manager del sesso e il cliente. Ma proprio che lo gestisco io, cioè che la mia sessualità deve essere libera e non avere a che fare col mio sostentamento economico né con quello della mia famiglia e che gli uomini con cui stare li scelgo io.
Finché questo mondo non sarà un mondo per le donne, senza discriminazioni di classe e provenienza geografica, senza povertà, senza sopraffazioni di qualsiasi genere, io scelgo di non rendermi complice della schiavitù e della violenza subita realmente da tante mie sorelle diventando sostenitrice dell’industria del sesso e delle sue bugie.
Da secoli ci è stato insegnato che i bordelli erano necessari per la “salute maschile” o per la “prevenzione degli stupri sulle donne perbene” o perché la “cloaca non invadesse la città”. Ora il linguaggio è cambiato, perché dire certe cose è diventato impresentabile. E allora si parla di scelta delle donne, nonostante la quasi totalità delle donne in prostituzione dice che avrebbe desiderato e desidererebbe fare altro, nonostante la grandissima presenza nella prostituzione delle ragazze straniere ridotte in schiavitù e legate ad un debito.
Si continua a dare per naturale e indiscussa la scelta di milioni di persone – in grandissima maggioranza uomini – di fare sesso non consensuale e reciproco, senza essere desiderati, ma comprando l’accesso ai corpi col denaro. Penso che sia veramente arduo per ogni persona che si occupi di questione di genere continuare a ignorare questo nodo, il nodo della violenza intrinseca di questo atto non reciproco, fortemente apparentata con l’altra forma di violenza che è lo stupro, eppure per lo più si continua a ignorarlo persino in questi ambienti. Ben sapendo che tratta, prostituzione minorile e infantile, sfruttamento e violenze continueranno a esistere con qualunque legge perché le leggi a nulla possono dove non c’è rivoluzione del pensiero. Finché si continuerà a difendere la prostituzione con i soliti argomenti liberali senza sviscerare il funzionamento dell’industria del sesso e il suo legame concreto con la tratta, senza mettere seriamente in discussione la pratica del pagamento per l’accesso ai corpi, ci saranno ben poche speranze di cambiamento.
[Già pubblicato su Consumabili]
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