La versione di chi?
di Valentina S.
Pubblichiamo e commentiamo una videointervista (La7, 2011) a un anonimo magnaccia romano che gestisce la prostituzione di un centinaio di donne e ragazze italiane, non per dare alcuna credibilità a quello che dice questo personaggio, ma per riflettere e mettere in guardia su che cosa significhi e quali conseguenze abbia la normalizzazione della prostituzione. La legge Merlin non si tocca! #IosonoLinaMerlin
In un momento in cui un magistrato dello Stato ha rinviato alla Consulta gli atti del processo Tarantini mettendo in discussione la costituzionalità della legge Merlin nella parte in cui configura come reato il reclutamento ai fini della prostituzione “anche quando si tratta di escort che scelgono liberamente e volontariamente di prostituirsi”, è d’obbligo interrogarsi su quale versione della prostituzione stia passando nel nostro Paese e non solo.
Noi una idea ce l’abbiamo. Si tratta della versione del cliente, ma anche di quella dei papponi, reclutatori, proprietari di bordelli. Sono loro ad avere tutto l’interesse affinché il loro “lavoro” venga depenalizzato.
“What you call pimps we call managers” [“Quelli che chiamate magnaccia, noi li chiamiamo manager”] sentenzia Douglas Fox, gestore di una agenzia di escort, consulente di Amnesty International e attivista dell’International Union of Sexworkers. In effetti da papponi vorrebbero diventare tutti rispettabili manager, come accaduto ai loro colleghi tedeschi, neozelandesi, svizzeri o del Nevada. Non solo ricchissimi, ma rispettabili e potenti. Come Dennis Hof proprietario del famigerato Bunny Ranch che argomenta: “Ostacolando la legalizzazione dei bordelli, voi state permettendo che la criminalità prosperi. State permettendo che le ragazze vengano sfruttate”. Loro ovviamente sono dei filantropi, loro non sfruttano le donne.
Se si legalizzeranno i bordelli i criminali spariranno. Ovviamente. Perché li chiameranno manager.
Persino la tenutaria filippina di un bordello di bambine in Cambogia, come racconta Lydia Cacho, ripeteva alla sue bambine che “ogni scelta difficile è comunque una scelta”. Se si chiede a un pappone o a una tenutaria o persino a un trafficante di esseri umani se le “sue” donne abbiano scelto volontariamento o siano costrette ti giurerà sempre che sì, che loro sono libere imprenditrici di se stesse.
Riproponiamo qui un video del 2011, ai tempi dello scandalo di Berlusconi e delle escort, in cui si intervista su La 7 un pappone romano di studentesse e giovani donne. Lo riproponiamo perché anche se un simile personaggio fa ribrezzo, fa ancora più ribrezzo sapere che la loro versione stia passando attualmente nei media e nel pensiero mainstream.
Come dice Lydia Cacho: “Questo è uno dei presupposti fondamentali nel dibattito mondiale sulla prostituzione: c’è un determinato momento nel quale le donne dai diciotto anni in su scelgono “liberamente” di entrare, rimanere e vivere nell’ambito della prostituzione. Le mafie si alimentano e traggono persino motivo di divertimento dalla rendita che è loro offerta da questa discussione tra intellettuali e attivisti anti-prostituzione. La speculazione filosofica sul significato della libertà, della scelta e dell’istigazione è diventata parte integrante delle argomentazioni usate dalle reti di trafficanti. Ho avuto modo di ascoltare questi discorsi dalle loro stesse bocche.”
Secondo il magnaccia romano intervistato, le ragazze sarebbero “imprenditrici di se stesse” che con lui hanno un “normale rapporto d’affari”, sarebbero loro a darsi da fare per entrare nel giro, per loro sarebbe un divertimento, e contemporaneamente vengono dipinte negativamente come ragazzine che pensano solo all’ennesimo vestitino firmato e che “non hanno voglia di lavorare”. In futuro potranno fare altro, aggiunge, una cosa non esclude l’altra. Tutto a posto, quindi! In conclusione dice che il caso Ruby è stato un gigantesco spot mediatico per lui, che – poverino – non può farsi pubblicità.
All’inizio dell’intervista il signore racconta che per “testare” la ragazza (visto che “i miei clienti sono il patrimonio più importante”, testualmente, “devo vedere se effettivamente regge”) la porta in un privé, dove “la molla” con una quarantina di single che le saltano addosso e lei “ce deve sta”” (testuale). Se regge, allora può fare di tutto. Non c’è neanche da commentare questa “iniziazione” che ricorda quella che subiscono le ragazze vittime di tratta spesso violentate per spezzarle e vincerne la resistenza. Poi ammette che, se fanno più appuntamenti al giorno (ed è lui che combina loro gli appuntamenti per sua stessa ammissione!) vanno in depressione e, dopo aver detto che le ragazze non hanno voglia di lavorare, dice che quando va male lui guadagna 30mila euro al mese: fare il pappone è invece lavorare sodo, si sa!
Riflettiamo amaramente sul fatto che se la Consulta dovesse cassare la legge Merlin, persone come lui potranno smettere di rischiare il carcere e diventare rispettabili imprenditori. È ora di mobilitarsi prima che sia troppo tardi.
[una versione diversa di questo articolo a commento del video era già stata pubblicata nel 2014 su Consumabili]
Una risposta
[…] Sul caso Tarantini e sulla celebrazione della cultura prostituente da parte dei media, un ulteriore approfondimento qui. […]