Un patto da suggellare daccapo – Fiammetta Mariani

fiammafotoScrivo una mezza riflessione a partire dalla mia nuova esperienza lavorativa in un nido che mi sta portando con grande gioia e dispendio di energie a incontrare madri e a sostenerle.  Sotto il mio testo per le giornate che affronterete a cui purtroppo non potrò esserci.

Dopo una settimana e mezza di ambientamento mi rendo conto del tasto dolente alla voce “genitorialità” e nello specifico “maternità”. Per inciso sottolineo che, in Italia, una guida per il genitore di stampo scientifico-divulgativo non è stata ancora pensata dai professionisti nei settori, indi per cui rimando a T. Berry Brazelton pediatra e autore pedagogico americano. A partire da quanto osservato in questi giorni e dalla mia esperienza di caregiver è possibile un’analisi in due orizzonti: 1. quello sociale dell’accesso ai servizi relativi alla gestazione, al parto, al puerperio ed infine ai servizi di primissima infanzia. Per sostenere questi momenti della vita di una donna ci vogliono risorse (non solo sotto forma di sussidi e/o servizi al cittadino); umane in primis, che non esistono e da decenni. A questo si aggiungono le ritorsioni e le pressioni sul lavoro di ambo i genitori, soprattutto della madre, quando si decide di avere un figlio. 2. quello emotivo-empatico: donne e madri depotenziate, insicure, in cerca di conferme e/o conforto, di solidarietà, di aiuto prassico e competente si ritrovano al primo confronto sul loro agito genitoriale di fronte alle educatrici del nido. Sempre se te lo puoi permettere un nido. Ciò comporta una limitazione forte nel mio lavoro di educatrice ed osservatrice attiva in contesto di bambini e bambine; prendersi letteralmente cura del genitore ansioso e poco consapevole sta alla dialettica per cui le mie energie vengono divise fra prole e madri.

Sappiamo perfettamente che prendersi cura di una madre “ferita” ha però effetti benefici sull’umore e il comportamento del bambino o bambina. Come educatrice perciò ho la responsabilità di ricucire un patto tra donne tradito – spesso innanzitutto dalle madri delle madri e/o da parentela acquisita, amiche o tate assolutamente inconsapevoli di una qualsivoglia forma di empowerment – a causa di un vuoto generato dalle istituzioni e permeato nella cultura delle relazioni. Le donne vanno lasciate sole: è questo presumibilmente il fine. In fondo ce l’hanno fatta per millenni, è questo forse il risultato della permeazione culturale misogina e deumanizzante che disprezza qualsivoglia di agito simbolico o patto riconciliativo.

A proposito di fertilità, mi verrebbe da dire.

Io sono simbolo, concluderei. Simbolo di una cultura che non mi riconosce fin nel profondo, che nega il potere generativo lasciando noi donne prive di strumenti di consapevolezza accessibili a pochissime oggi e depotenziando un operato basato sul buon senso al quale mi si chiede di far appello una volta divenuta madre.

Simbolo di un patto da suggellare daccapo.

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