Survivor Stories: Conci, Uganda

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Uganda.

Traduzione di Maria Grazia Mauti. Tratto da http://www.equalitynow.org/survivorstories.

Quando le persone pensano alla tratta spesso pensano allo sfruttamento economico del sesso, in cui i trafficanti e i pimps guadagnano denaro dallo sfruttamento degli esseri umani.  Tuttavia , secondo il Protocollo di Palermo[1], l’accordo internazionale sulla definizione di traffico di persone non richiede necessariamente che abbia luogo uno scambio economico.

Nell’ Uganda devastato dalla guerra, il sequestro di ragazzi per divenire bambini soldato è stato largamente documentato. Tuttavia il destino di migliaia di ragazze ugandesi, che sono state sequestrate e sfruttate sessualmente, costrette a divenire schiave sessuali per i ribelli e i soldati durante la guerra civile in Uganda, ha ricevuto meno attenzione.  Anche loro sono vittime del traffico e anche la loro voce deve essere ascoltata.

Da bambina la mia vita era bella e mi sentivo felice. Trascorrevo molti pomeriggi giocando a netball[2] e danzando con i miei amici. La casa della mia famiglia si trovava in Unyama, un villaggio fuori da Gulu, nel nord dell’Uganda. Sono la più giovane di quattro figli, due ragazzi e due ragazze. Da bambina aiutavo ad andare a prendere l’acqua e a cucinare per la mia famiglia ma andavo anche alle elementari. Mio padre non era mai a casa, così mia madre e mio nonno mi hanno cresciuta. Eravamo una famiglia felice che si amava.

“Quando avevo 10 anni, mi fecero sposare contro la mia volontà un comandante di brigata. La prima volta mi costrinse a fare sesso; sanguinai molto e piansi molto.”

All’età di nove anni la mia vita cambio improvvisamente. Nella notte del 22 Maggio del 2000 i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) piombarono nella nostra casa. Mia madre ed io stavamo dormendo nella nostra capanna quando entrarono con la forza e ci svegliarono buttando giù la porta,  Cinque uomini ci presero e portarono via. Un uomo mi buttò a terra, mi strappò la camicetta e mi legò. Guardavo terrorizzata un altro uomo che picchiava violentemente mia madre. Uno dei ribelli portava una grande borsa di “posho”-farina di mais- e mi ordinò di trasportarla. Legarono mio nonno e altri del mio villaggio e ci costrinsero a camminare e camminare senza riposo verso una destinazione che non conoscevamo. Dopo qualche giorno i ribelli lasciarono andare mio nonno ma non potette guardarmi negli occhi e salutarmi. Si allontanò in silenzio. I ribelli mi dissero di non preoccuparmi perché mi avrebbero riportato a casa, ma io non credei loro. Avevo paura che mi avrebbero uccisa.

I ribelli non mi uccisero, ma mi obbligarono ad uccidere altre persone. Mi addestrarono a combattere e a sparare. All’inizio rifiutai, ma mi picchiarono e minacciarono di morte. I ribelli facevano esempi su alcuni bambini per farci capire cosa sarebbe successo se avessimo disobbedito ai loro ordini. I ragazzi venivano costretti a stuprare e le ragazze venivano stuprate. Tutte le ragazze furono divise tra i guerriglieri come “mogli”. I leader pensavano che i guerriglieri uomini sarebbero scappati se non avessero avuto “mogli” per soddisfare i loro desideri sessuali.

Quando avevo 10 anni fui data in sposa contro la mia volontà al Comandante di Brigata. La prima volta mi costrinse a fare sesso; sanguinai e piansi molto. Ero molto sofferenze, ma mio “marito” aveva una pistola con sé e l’avevo visto usarla prima, così smisi di piangere. Ogni giorno mi chiamava e chiedeva da me sesso. Ogni volta che provavo a resistere mi picchiava al punto da immobilizzarmi. Qualche volta mi sentivo così debole poiché non avevamo né cibo né acqua, ma io dovevo andare comunque da lui. Il Comandante di Brigata aveva in totale 20 “mogli”-qualcuna molto giovane ma la maggior parte aveva dai 12 ai 18 anni. Se i ribelli saccheggiavano un villaggio e sequestravano una bella ragazza, lei sarebbe stata costretta a  sposare il Comandante di Brigata. Fino a quando ero anche un soldato che combatteva, ero più rispettata delle altre che erano solo “mogli”. Quando mio “marito” andava via,  io restavo con le altre “mogli” e le tenevo in riga. Sapevo che se qualcuna di loro fosse scappata, sarei stata uccisa.

“Quando tornai a casa…i miei vicini e la mia comunità avevano paura di me e mi evitavano; sapevano che fui costretta a commettere atti di violenza inenarrabili.”

Ad anno dalla mia prigionia si scatenò uno scontro non lontano dal luogo in cui fui trattenuta dai membri della LRA e dai soldati del governo ugandese. Decisi di approfittare dell’occasione per scappare, avrei preferito morire nel tentativo di fuggire piuttosto che morire come schiava. Altre due ragazze vennero con me e lo facemmo nell’acquartieramento dove i soldati del governo stazionavano. Quando arrivammo le guardie presero le nostre armi e ci diedero vestiti e cibo. Dopo poco ci portarono nei nostri villaggi. Quando tornai a casa mia madre mi accettò nonostante il mio passato. Comunque i miei vicini e la mia comunità avevano paura di me e mi evitavano; sapevano che fui costretta a commettere atti di violenza inenarrabili. La vita era difficile anche a casa. Soffrivo di insonnia, tormentata dai miei ricordi dei ribelli. Ero ancora viva, ma in qualche modo non mi sentivo veramente viva. La mia mente iniziò a rivedere il passato. Provai a tornare a scuola quando avevo 12 anni, ma non potevo concentrarmi su quello che l’insegnante mi diceva. Trovai altre persone che avevano sofferto come me, ma mi sentivo comunque così sola.

Un giorno quando avevo 15 anni, stavo tornando a casa da scuola quando un uomo di circa 19 anni si avvicinò a me e con la forza mi portò nella sua capanna. Tentai di combattere, ma lui era troppo forte. Non c’era nessuno che potesse aiutarmi o sentire le mie urla. Quando tornai a casa mia madre mi cacciò, dicendomi di tornare da quell’uomo fino a quando lui non mi avesse sposata. Non volevo andare da lui; volevo andare a scuola. Comunque non avevo altra scelta, così tornai da lui e presto rimasi incinta di mia figlia. La mia famiglia mi riprese con sé fino a quando vissi con quell’uomo come sua moglie. Rimasi un anno con il mio nuovo “marito”, ma lui beveva troppo. Litigavamo e lui mi picchiava con violenza per nessuna ragione. Dopo quella volta che mi picchiò molto violentemente, presi mia figlia e fuggii da mia madre. Rimasi a casa per 6 mesi e poi sentii parlare di ChildVoice International.

“Voglio che la gente sappia cosa succede qui nel nord dell’Uganda.”

Da quel momento la mia vita è cambiata. Sono molto diversa ora. Entrai in ChildVoice non parlando una parola di inglese. Durante la mia permanenza là, imparai l’inglese e imparai a fare catering, a cucinare e a fare confezioni. Trovai anche consolazione nella crescita del mio rapporto con Dio.

Dopo essere stata in ChildVoice ho trovato un lavoro in una pasticceria a Pece e incontrai il mio attuale marito. Diversamente dal mio primo marito, lui è buono con me e mi tratta in modo paritario. Per la prima volta nella mia vita, ho la speranza per il mio futuro e per il futuro dei miei figli.

Oggi io credo di poter fare molte cose buone se trovo una via. Sono molto più felice ora e posso anche sorridere qualche volta. Molte volte riesco a parlare del mio passato senza sentire rabbia e vergogna. Il mio passato non mi ferma più dal vivere il mio futuro.

Voglio che la gente sappia come succede qui nel nord dell’Uganda. –anche se la guerra è cessata, gli uomini continuano a stuprare le donne. Quelle che sono scappate riusciranno a tornare a scuola e imparare delle attività così potranno avere un futuro. Nel mio paese non diamo abbastanza sostegno ai bambini soldato. Anche ora ci sono solo poche organizzazioni che li aiutano. Molti di noi sono sopravvissute al conflitto, ma noi non possiamo fare altro che piangere sul nostro passato fino a quando non abbiamo una famiglia, del cibo, denaro e formazione. Il governo deve dare più aiuto per  le ex “mogli” bambine dei ribelli dell’LRA.

 


[1] “Il traffico di persone sta ad indicare il reclutamento, trasporto, trasferimento, il dare ospitalità o accogliere persone tramite la minaccia o l’uso della forza o altre forme di coercizione, il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o di condizioni di vulnerabilità o dando o ricevendo somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona ad avere il controllo su di essa al fine di sfruttarla. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione di altre persone o altre forme di sfruttamento sessuale, come il lavoro forzato o lo svolgimento forzato di servizi , la schiavitù o forme simili alla schiavitù, l’asservimento o il prelievo di organi.” Protocollo di Prevenzione delle Nazioni Unite, Sopprimere e Punire il Traffico di Persone, Soprattutto Donne e Bambine (Protocollo di Palermo), articolo 3(a).

[2] [Ndt] sport simile al basket.

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