Survivor Stories: Alma, Filippine

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Alma, Filippine. Traduzione di Maria Grazia Mauti. Tratto da http://www.equalitynow.org/survivorstories.

 Cammino per le strade di Olongapo City dove posano donne vestite in modo succinto davanti ai club di intrattenimento e invitano i passanti ad entrare per “spassarsela” . Entro in uno dei “videoke bars” e mi ritrovo in un covo vagamente illuminato dove uomini d’affari stranieri e locali guardano inebriati donne che roteano sul palco.

Dal bar guardo un uomo occidentale comprare un altro drink da una giovane Filippina la cui lingua non conosce. Se l’uomo vuole comprarla per sesso, pagherà il proprietario del bar una tariffa chiamata “tariffa bar”. Guardando questa giovane donna mi chiedo come sia finita qui. Mi chiedo se porterà i suoi clienti nella stanza dietro al bar o a casa sua e rischierà di svegliare i figli che potrebbe avere. Mi chiedo se sia stata mai picchiata o violentata dai suoi clienti. O se ha mai contattato una “ostetrica” che abbia posto fine alla sua gravidanza indesiderata attraverso un forte colpo allo stomaco fino a farla abortire.

“L’INDUSTRIA DEL SESSO è UN ENORME MACCHINA E NON è FACILE FERMARLA. DA SOPRAVVISUTA ALLE ALTRE SOPRAVVISSUTE CERCO DI COMUNICARE CHE CAPISCO LE LORO PAURE E LA LORO SOFFERENZA”

Quando i clienti escono per recarsi in bagno, io mi avvicino alle ragazze che mi guardano sorprese e un po’ seccate per il fatto che io mi intrometta nel loro spazio personale. Imperterrita io dico loro che lavoro per un’ organizzazione chiamata Buklod. “Riusciremo a portare le donne insieme a discutere delle loro vite e a condividere le loro idee”, dico loro. “Dovresti venire al nostro prossimo incontro”. Lei mi guarda in modo interrogativo e mi chiede “Cosa sai della mia vita?”

Nel 1984 Olongapo City era una base militare statunitense in espansione e il mio nome non era Alma ma “Pearly”. Ero una madre single di due giovani ragazzi e facevo fatica a mantenere la mia famiglia facendo la cameriera sette giorni a settimana. I club erano sempre pieni quando le navi militari arrivarono.

Da bambina sognavo di diventare una ragioniera. Quando mio fratello mi promise di aiutarmi a pagare gli studi, lasciai Manila per Olongapo City dove lui viveva. Una volta arrivata ammise che non aveva intenzione di aiutarmi ad andare al college. Invece lui sperava che avrei avuto un “colpo di fortuna” e avrei sposato un militare in modo tale da aiutare la loro famiglia. Dopo pochi mesi là aumentò la mia frustrazione per l’assenza di lavoro e alla fine accettai di diventare cameriera presso la base navale di Subic Bay. Mio fratello tentò di costringermi a fare compagnia ai militari quando questi richiedevano la mia compagnia ma mi rifiutai.

Un giorno un militare offrì al direttore un ”tariffa bar” per me. Io rifiutai dicendo che ero solo una cameriera. Il direttore mi disse che se non fossi andata avrei perso il mio lavoro. Lui mi minacciò dicendomi che avrebbe trattenuto il mio permesso di soggiorno, documento rilasciatomi per lavorare presso di lui e che mi permetteva di lavorare in qualsiasi altro luogo. Avevo paura che i miei figli e io avremmo perso la casa e sofferto la fame così contro voglia accettai. L’americano voleva prendere una stanza di albergo ma gli dissi di darmi il denaro che avrebbe speso per la stanza e di accompagnarmi a casa. Lasciai i miei figli ai miei parenti perché non volevo che vedessero cosa la loro madre stava per fare per guadagnarsi da vivere.

Cercai di evitare di farlo nuovamente ma mia figlia si sentì male e avevo bisogno di denaro per le spese mediche. Durante i miei quatto anni al club ebbi circa 30 “fidanzati” americani. All’inizio del 1980 non c’erano programmi sanitari e nessuno sapeva come usare i contraccettivi. La popolazione infantile americana crebbe. Diedi la luce il mio terzo figlio sapendo che non avrebbe mai conosciuto il padre.

Durante quel periodo iniziammo a sentir parlare dell’AIDS. I ragazzi americani si mettevano in fila per i condom prima di sbarcare dalle navi. Comunque alcuni di loro gonfiavano i condom come palloni e li lanciavano in aria. Non potevamo costringere i clienti a usare il preservativo perché ci dicevano “ ho pagato bei soldi” e andavano via.

Nel 1987 fondai Buklod ng Kababaihan e parlai con le donne dei bar delle nostre attività. I miei datori di lavoro erano indispettiti dalla mia assenza, ma mi sentivo così forte che continuai a combattere contro le ingiustizie sul lavoro. Conoscevo i miei diritti come donna e essere umano e non ero più disposta a venire a compromessi. I miei datori di lavoro mi licenziarono dicendomi che ero una “comunista”. Non ero capace di trovare un altro lavoro perché trattennero il mio permesso di soggiorno ma per fortuna Buklod mi assunse come organizzatrice. Lo stipendio era basso ma colsi l’opportunità. Ero così felice di essere libera dalla prostituzione.

L’idea della società sul traffico di esseri umani e sulla prostituzione deve cambiare. Nel mio paese le persone credono che le prostitute siano criminali e i clienti  delle vittime. Questo è sbagliato. Quando alle donne non vengono date uguali opportunità di lavoro e educazione, le loro opzioni sono limitate e  la loro disperazioni cresce. A causa del fatto che le donne sono spesso viste come oggetti sessuali senza potere esse sono costantemente indotte ad entrare nell’industria del sesso. Talvolta credo anche che esisto per gli uomini esclusivamente per il piacere. Le donne filippine sono spesso indicate come “piccole macchine da sesso dalla pelle scura” dai militari. Una volta chiesi ad un cliente “perché ti piacciono così tanto le donne Filippine” e lui rispose “ perché le donne sono economiche,

molto più economiche delle donne giapponesi. E inoltre puoi fare loro quello che vuoi. Qui le donne sono sempre sorridenti. Loro fingono che gli piaccia”.  Dobbiamo cambiare questa mentalità e informare le donne sugli abusi dell’industria del sesso e far sapere loro che hanno delle possibilità di scelta. Le donne sono esseri umani non merci da comprare e vendere.

Quando lasciai il videoke bar non ero sicura se le giovani donne avrebbero partecipato al nostro prossimo incontro. La ragazza con cui parlai è una delle migliaia delle donne prostitute filippine. L’industria del sesso è un enorme macchina e non è facile da fermare. Da sopravvissuta alle altre sopravvissute cerco di comunicare che capisco le loro paure e la loro sofferenza. Cerco di dire alle mie sorelle che Buklod sta cercando di creare un futuro differente.

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