Subire violenza non è il lavoro delle donne

di Ilaria Baldini

Nella giornata dedicata al contrasto alla violenza maschile contro le donne, riteniamo fondamentale ricordare per quali motivi l’abolizione della prostituzione deve essere messa al centro se si vuole davvero affrontare la violenza e sconfiggerla, garantendo vera libertà a tutte le donne.

Non definire la prostituzione violenza contro le donne e non combatterla come tale con ogni mezzo rende inutile qualunque lotta contro la violenza del patriarcato, perché la prostituzione ne è l’istituzione centrale e fondante e costituisce il veicolo primario della naturalizzazione della sessualità rapace e del privilegio gerarchico maschili. Il silenzio sulla prostituzione non solo non permette di scalfire, ma finisce addirittura per rafforzare la cultura che viene riconosciuta come base da scalzare del continuum della violenza e di tutti gli stereotipi di genere.

La prostituzione oggi discende dal controllo storicamente esercitato nei patriarcati sui corpi delle donne, ma ha assunto caratteristiche che è necessario riconoscere per comprenderne la centralità nell’organizzazione sociale contemporanea.

“L’industria del sesso di oggi è la conseguenza tanto della riconfigurazione del capitalismo globale quanto della ristrutturazione dei patriarcati contemporanei”, scrive Rosa Cobo, docente di Sociologia di genere e direttrice del Centro di studi femministi e di genere dell’Università di A Coruna. Significa, per dirla con le sue parole, che “la prostituzione è una forma estrema di disuguaglianza e sfruttamento che è diventata una delle nuove barbarie del ventunesimo secolo”, dato che rappresenta “una delle grandi espulsioni di donne, caratteristica del capitalismo globale, dai paesi del sud a quelli del nord, dai paesi periferici a quelli centrali.” Dai paesi, dalle zone, dai quartieri poveri a quelli ricchi. E’ dunque una questione intersezionale nel vero senso della parola, all’incrocio di sessismo, razzismo, povertà e violenza. Non occuparsene e cancellarla, fingendo che non ci sia un unico enorme e crescente mercato globale del sesso nel quale principalmente donne e bambine vengono inchiodate al ruolo di oggetti sessuali e rese merce, significa ignorare volutamente e consapevolmente le ragioni per cui a partire dagli anni ottanta quel mercato è cresciuto a dismisura e soprattutto ignorare l’alleanza tra mercato capitalista globale e patriarcato e gli effetti che quell’alleanza ha sulla violenza contro le donne.

La prostituzione, ci dice Cobo, è una realtà materiale e simbolica, e come tale va conosciuta e affrontata. Si inscrive nelle strutture materiali del patriarcato, sostenendo e promuovendo l’egemonia maschile, e insieme in quelle del capitalismo globale: porta guadagni enormi all’industria del sesso e allo stesso tempo offre disponibilità di donne da usare e sfruttare sessualmente agli uomini. Da un punto di vista simbolico, la prostituzione conferma e rafforza i modelli di mascolinità e femminilità patriarcali, in particolare sovraccaricando in termini di sessualizzazione il femminile e trasformandolo in risorsa da sfruttare per il mercato. “Detto in altro modo, la prostituzione fa parte della trama materiale delle società patriarcali e di quelle capitaliste e per questo motivo esercita una influenza potentissima sulle strutture simboliche della società”.

In questi giorni si parla di come liberarsi dalle narrazioni tossiche del patriarcato, narrazioni cioè che lo costituiscono e lo sostengono. La prostituzione definita e normalizzata come lavoro che si sceglie liberamente è la più antica e tossica di tutte le narrazioni, ed è quella che in Italia non si vuole affrontare. Dovremmo preoccuparci di come non dover essere prostituite e invece, a fronte di un mercato che cresce continuamente insieme all’impoverimento delle donne, ci si preoccupa di una “scelta” che è tutt’altro che in discussione. Allo stesso tempo, la scelta che non si discute, chiaramente, è quella di chi paga e compra. Uomini nella quasi totalità. Si sente dire, altra narrazione tossica in crescita, che “anche le donne” pagano, dimenticando che i paesi che hanno regolamentato, come Germania, Olanda e Svizzera, non pullulano certo di bordelli pieni di giovani uomini, ma di bordelli pieni di ragazze povere, arrivate per molte strade ma spessissimo controllate dalla criminalità.

Fa riflettere anche il fatto che, per non parlare di prostituzione e della richiesta maschile che la sostiene, non si parli in questa giornata neppure di tratta, come se un fenomeno di dimensioni mostruose e sempre in crescita, con in cima la richiesta di ragazzine sempre più giovani, non rientrasse nella questione della violenza maschile contro le donne. Ogni volta che se ne parla, si cerca di distinguere, di farne un fatto di criminalità, di mercificazione, come se le relazioni tra uomini e donne e la violenza maschile non ne fossero al centro. Come se la tratta non fosse che una delle vie di ingresso nella prostituzione. E come se non si riuscisse a cogliere il continuum per cui gli abusi in famiglia, la violenza domestica, la conseguente povertà delle donne, il trauma, la malattia sono l’origine e la conseguenza di tutta la prostituzione, in un cerchio senza fine di violenza patriarcale.

La violenza della prostituzione (oltre che nella prostituzione) non si può prendere in considerazione, perché la questione è troppo divisiva, si dice. La “necessità fisiologica” maschile parrebbe invece la meno divisiva e la più condivisa delle narrazioni. (La citazione è da una recente intervista rilasciata dal governatore lombardo Fontana, contestato da tante donne – giustamente – per molte dichiarazioni e politiche, ma non per questa. https://www.open.online/2019/11/13/il-governatore-lombardo-fontana-si-alla-legalizzazione-della-prostituzione/?fbclid=IwAR2vAUR8pom7MrnF0Hwlv5gahM5DTSbiV_P99insLSlc6MMrFJ_91UqTwn0)

Non serve a questo punto preoccuparsi di regolamentare la prostituzione e legalizzarne lo sfruttamento (cosa quasi impossibile, grazie alla recente sentenza della Corte Costituzionale) perché il sistema continui indisturbato a funzionare e rafforzarsi, basta impedire che si denunci e discuta la sua violenza, ed è quello che purtroppo sta succedendo nel nostro paese. Esattamente un anno fa, la presentazione del libro di Rachel Moran “Stupro a pagamento” a Bologna, in compagnia di Julie Bindel, autrice del libro “Il mito Pretty Woman”, ha suscitato polemiche e fatto uscire post e articoli pieni di attacchi personali, violenti e diffamatori. Parlare della natura della prostituzione, della sua violenza e della sua centralità per tutta la violenza patriarcale contro le donne è oggi, paradossalmente ma in fondo senza troppa sorpresa, la sfida più grande.

Occorre parlare di tutti i tipi di violenza, si dice, ma perché evitare quella che li incarna tutti, che li sottende e sostiene? Perché la prostituzione, la violenza che a detta di Judith Herman, esperta di trauma, è la violenza con gli effetti più devastanti e la più difficile da denunciare, deve continuare a rimanere invisibile mentre sta sotto i nostri occhi ogni giorno? In Francia, in Spagna, in tanti paesi il ruolo della prostituzione al centro del patriarcato capitalista viene indicato e contestato. Sollevare il velo sulla prostituzione è il solo modo di smascherare il continuum di tutti gli abusi su bambine e bambine che avvengono nelle famiglie fondamentalmente da parte di uomini, altra violenza della quale non si sa e non si parla molto e che è spesso tra le cause di ingresso nella prostituzione.

Christine Delphy, scrivendo della manifestazione in Francia, dice chiaramente quali sono i numeri spaventosi degli abusi compiuti dagli uomini e qual è la loro relazione con la prostituzione. “Nel nostro urlo ci sarà il dolore di 4 milioni di uomini e donne vittime d’incesto, ci sarà il grido silenzioso di 165.000 bambini violati ogni anno in Francia, pressoché impuniti nella quasi totalità dei casi.”  “Queste cifre non sono delle semplici statistiche, è un potere reale, concreto, degli uomini sulle donne. Dominio maschile significa che gli uomini, in quanto classe, ritengono di avere il diritto di considerare le donne e i bambini come oggetti, di avere il diritto di appropriarsene, di picchiarli, di violarli, di comprarli e di venderli. Le conseguenze psicologicamente traumatiche di queste violenze sono enormi, quanto lo è l’impunità degli uomini che le compiono.

“L’incesto è la filiera del reclutamento” della prostituzione, ricordava Andrea Dworkin (il 42% delle donne nella prostituzione sono vittime di pedocriminali).” https://christinedelphy.wordpress.com/2019/11/23/tribune-le-23-novembre-nous-marcherons-contre-toutes-les-violences-sexistes-et-sexuelles/?fbclid=IwAR2DcDyftfIpj2sm0kvZ6UvrRCNZZPcfqJMakLWvd0ewE7FDdN6N3022ntY#more-1546

Per scardinare il sistema di controllo e violenza di cui i femminicidi sono la punta dell’iceberg occorre riconoscere il ruolo centrale della prostituzione e affrontarlo. In molto paesi si è cominciato a farlo, è ora che lo si faccia anche in Italia, portando a termine il lavoro fondamentale di Lina Merlin. Le sopravvissute stanno parlando e ottenendo ascolto in tutto il mondo, la proposta abolizionista avanza. In Australia e negli USA i tentativi di decriminalizzazione dello sfruttamento vengono fermati grazie al lavoro di tante attiviste. La prostituzione è violenza maschile e l’unica strada per fermarla è una legge abolizionista. Uniamoci e lottiamo per mettere fine insieme a tutta la violenza maschile contro le donne.

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