Simone sopravvissuta e attivista austrialiana: le voci “escluse, stigmatizzate ed emarginate” sono quelle delle sopravvissute e non delle sex workers

Simone Andrea Watson sopravvissuta e attivista di Normac (Nordic Model Austrialia Coalition)

Simone Andrea è una donna aborigena sopravvissuta all’industria del sesso direttrice di NorMAC (Nordic Model Austrialia Coalition). Nella sua testimonianza contenuta nel libro “Prostitution Narratives” a cura di Caroline Norma e Melinda Tankard Reist denuncia la violenza subita nell’industria del sesso: una storia di abusi e rinascita come quella di moltissime donne sopravvissute all’industria del sesso diventate attiviste.  Ringraziamo Simone per averci autorizzato a tradurre il suo articolo dove smaschera un falso mito: quello che le voci delle sex workers siano ignorate e censurate dai media quando, come ci dimostra Simone, dappertutto nel mondo sta avvenendo il contrario. La prostituzione viene celebrata come lavoro come un altro, lo sfruttamento e l’abuso minimizzato o normalizzato come ‘eccezione’, ‘caso sfortunato’, la prostituzione e la tratta vengono divise rigidamente per negare l’esistenza di donne che hanno ‘scelto’ la prostituzione in assenza di alternative: a causa di povertà, discriminazione razziale, emarginazione sociale. Le voci delle donne che sono uscite dall’industria del sesso e denunciano la violenza subita vengono considerate incapaci di parlare per se stesse e quindi inattendibili. Non solo viene negata qualsiasi autodeterminazione e soggettività politica a queste donne, ma la loro richiesta di giustizia viene messa a tacere: si tratta di “donne tristi” e i loro racconti definiti “tragedie porno” perchè chi celebra l’industria del sesso come possibilità di emancipazione per le donne e le ragazze usa il linguaggio stereotipato della “puttana felice”, dei “guadagni facili” e del “lavoro flessibile”, quando l’unico potere indiscusso nel mercato del sesso è quello dei papponi e degli uomini razzisti e classisti che comprano donne e ragazze emarginate e discriminate. Comprano lo stigma della puttana, la donna a disposizione del maschio bianco colonialista.

Anche in Italia di recente Adelina, ex-vittima di tratta che ha raccontato la sua esperienza durante una delle assemblee plenarie di” Non una di meno” ha subito un tentativo di censura. Il suo intervento infatti non è stato pubblicato sulla pagina facebook del movimento, è stato scelto di pubblicare soltanto l’intervento di una rappresentate del Collettivo Ombre Rosse, si è scelto quindi di ascoltare solo le sex workers. Nonostante chi sostiene l’industria del sesso precisi sempre di essere contrario/a a tratta e sfruttamento, quando una vittima di tratta prende parola si decide di metterla a tacere. Questa presa di posizione è in forte contraddizione con le auto-definizioni di ‘femminismo intersezionale’, un femminismo che sulla carta dice di voler combattere ogni genere di discriminazione (genere, razza, classe) ma decide di censurare una donna albanese, che è stata deportata in Italia e costretta a prostituirsi e adesso si batte per i diritti umani di tutte le donne prostituite. 

Traduzione dall’inglese di Chiara C.

L’idea che “le voci delle sex worker” siano ignorate dai media è un falso mito.

In linea con il celebre motto “le sex worker non sono rappresentate” ripetuto dai media liberisti e dai sostenitori della prostituzione fino alla nausea, il Daily Life ha pubblicato un altro articolo che consolida questo mito. L’autrice Kate Iseline oltre ad essere una che si auto-definisce “sex worker” e scrittrice, è anche “furiosa”.

Questa volta, l’articolo prende di mira il Festival della Scrittura di Melbourne per non aver invitato una “sex worker” al loro seminario “Donne invisibili”, un seminario sulla prostituzione con Melinda Tankard Reist, Meagan Tyler e Ruth Wykes.

“Le sex workers non sono invisibili. Semplicemente veniamo ignorate” si dichiara nel titolo.

Non, non è vero.

Le voci che sostengono il mercato del sesso sono praticamente ovunque al punto che perfino i minori costretti alla prostituzione sono chiamati “sex workers” e questo è già stato assimilato dai media e dalla coscienza collettiva.

Le/i sex workers sono così lontani dall’essere ignorati al punto che quando alcuni ricercatori in un seminario denunciano il lato oscuro del mercato del sesso parlando della loro ricerca e lavoro “la voce di una sex worker” viene pubblicata in risposta sul Daily Life.

Quelli che sostengono il mercato del sesso sono così lontani dall’essere ignorati che Amnesty International sta facendo pressione sui suoi membri, circa 4 milioni di persone ( molte delle cosiddette “persone di sinistra” con cui sono entrata in contatto) perchè sostengano la depenalizzazione totale del mercato del sesso.

Le sopravvissute alla prostituzione non sentono dire di continuo “La prostituzione è semplicemente ‘sex work’- un lavoro come tutti gli altri?” Qualsiasi persona che dice il contrario è semplicemente considerato un bigotto sia dai media che dal pubblico.

Morgan M Page ‪@morganmpage

[La crociata femminista contro il sex work è il riflesso dello stesso atteggiamento bigotto delle suffragette preoccupate per i loro mariti che commettevano adulterio]

Invest in Knowledge ‪@DeceitinDrugs

[Capisco di che cosa hanno bisogno…usano la prostituzione per sostenere la loro dipendenza dalla droga….che tipo di vita è questa?]

Andrea Houston ‪@dreahouston

[Per favore, risparmiami il tuo bigottismo puritano. Conosco molte donne nell’industria del sesso che si sono emancipate grazie al loro lavoro]

meagan 🥀 ‪@meaganrosae

[Questo pezzo nel Los Angeles Times è spazzatura, un reportage bigotto sul sex work che contribuisce a creare stigma pericoloso]

http://www.latimes.com/local/abcarian/la-me-0129-abcarian-sex-traffic-20160129-column.html 

How prostitution is ‘modern-day slavery,’ and what law enforcement is doing to stop it

Lucy Everleigh ‪@LucyEverleigh

[Cara società, forse meno bigottismo puritano quando parliamo di sex work tra adulti consenzienti e magari un po’ più di attenzione sulle molestie quotidiane per strada?]

Quello che Iselin intende  non è che le/i “sex workers” sono stati ignorati, ma che la sua voce in particolare e le voci di quelle che in modo inequivocabile sostengono la totale depenalizzazione della prostituzione non era presenti durante quel particolare seminario.

Ma perchè qualsiasi discussione sulla prostituzione dovrebbe includere le voci di quelle che sostengono il mercato del sesso? Un seminario di socialisti che prendono posizione contro il capitalilsmo dovrebbe dare parola ad un multi-milionario che rappresenti le voci a favore delle multinazionali? Un seminario di ambientalisti che lottano contro la fratturazione idraulica dovrebbero invitare un lavoratore del settore petrolifero per discutere il fatto che loro personalmente sostengono l’industria? A Scarlet Alliance, un gruppo che fa propaganda politica a favore della depenalizzazione dell’industria del sesso, è stata offerta un’intera sessione al Festival degli Scrittori di Melboune, ma hanno rifiutato. Immagino che a meno che non ci sia la possibilità di tentare di gettare discredito sulle autrici femministe “le voci delle sex workers” non meritano il loro tempo. Al contrario come sopravvissuta alla prostituzione co-autrice del libro Prostitution Narratives il festival si è rifiutato di avermi nel seminario sulle “Donne Invisibili” e invece io avrei voluto esserci.

Detto questo non è la prima volta che un festival ha ignorato  “le sex workers” fa notare Iselin, al Festival delle Idee Pericolose del 2014 che non aveva una persona che si identificava come “sex worker” nel loro seminario “Donne in vendita”. Allo scopo di rimediare a questo problema la giornalista a favore della prostituzione Elizabeth Pisani ha invitata una sex worker a prendere il suo posto sul palco durante il seminario. Questo colpo di scena organizzato ha fatto in modo che l’audience ascoltasse la voce di Scarlet Alliance e poi Manager del progetto migranti, Jules Kim ( secondo il sito di Scarlet Alliance questo progetto è incentrato sulle sex workers migranti-altrimenti conosciute come vittime di tratta….) Kim è adesso l’Amministratrice delegata dell’organizzazione, ha preso il posto di Janelle Fawkes che come Kim, si faceva chiamare sex worker nonostante non ci fosse alcuna prova che di fatto vendesse sesso (non dubito che alcuni membri del gruppo finanziato Scarlet Alliance, vendano sesso, o lo abbiano venduto, ma i media e il pubblico devono essere consapevoli del fatto che molti membri non vendono sesso e non l’hanno mai fatto, nonostante l’organizzazione dichiari di essere “gestita da sex workers, per le/i sex workers”). In altre parole, la spinta a favore delle voci delle sex workers non rappresenta il tentativo di dare spazio a voci emarginate, si tratta invece di una manovra politica al fine di creare uno scenario in cui l’uditorio venga spinto ad accettare gli argomenti a favore della depenalizzazione dell’industria del sesso senza diritto di replica, in quanto una cosiddetta “sex worker” lo sostiene.

Iselin non è furiosa perchè non è presente una sex worker nel seminario sulle “Donne invisibili”, ma è furiosa semplicemente perchè ci sono quelle femministe, Tankard Reist e Tyler che parleranno dei danni della prostituzione piuttosto che lavorare per neutralizzarli e normalizzarli.

Iselin è intelligente abbastanza da spendere qualche parola politicamente corretta per quanto riguarda le testimonianze delle sopravvissute dicendo addirittura che le nostre storie dovrebbero “essere credute, dovrebbero ricevere credito ed essere amplificate”. Ma mi chiedo se Iselin abbia avuto il lascia passare al festival perchè si sono rifiutati di includere me nel seminario?

Come vedete, in realtà, sono le voci delle donne prostituite e delle ex prostituite  che parlano contro Iselin e l’agenda politica di Scarlet Alliance di espandere il mercato del sesso, che sono effettivamente “escluse, stigmatizzate ed emarginate”. E non le voci come quelle di Iselin e Scarlet Alliance. Negli Stati Uniti per esempio, un lungo articolo è stato pubblicato sul “New York Times” allo scopo di porre la domanda “La prostituzione dovrebbe essere un crimine?” ma ha dato spazio quasi soltanto a coloro che si definivano ‘sex workers’ e facevano parte dell’organizzazione  Sex Workers Outreach Project (SWOP), ancora una volta un altro gruppo che fa parte della lobby che chiede la depenalizzazione dell’industria del sesso.

Iselin è “furiosa” che le nostre voci di sopravvissute sono state include in un libro e che una casa editrice femminista e due editori sono stati coraggiosi abbastanza da pubblicare le nostre testimonianze. E credetemi, in questo clima a favore del mercato del sesso è incredibilmente coraggioso, in quanto tutte quelle persone che non sostengono il diritto degli uomini di comprare le donne per usarle come fossero i loro giocattoli sessuali personali sono continuamente offese e screditate dalle voci a favore del mercato del sesso che vogliono imporre la loro agenda politica ad ogni costo.

Il pezzo di Iseline è manipolatorio e ipocrita. Dice di non avere dubbi sulla veridicità delle nostre testimonianze, ma non ci prende in considerazione, confrontandosi invece con le donne che in realtà ascoltano le sopravvissute e danno risonanza alle loro voci, dicendo che sono soltanto in cerca di titoli clamorosi per attrarre l’attenzione. Riducendo la ricerca accurata, inteligente e coraggiosa di Tankard Reist e Tyler a “tragedia porno” o una quale maligna agenda politica contro le sex worker, cancella in realtà i vissuti e le voci delle sopravvissute.

Le storie delle donne prostituite non sono “porno tragedie”. È veramente spietato affermare di sostenere un gruppo di persone che hanno subito torture, abusi e ogni genere di degrado allo scopo in realtà di insinuare che siamo soltanto un gruppo ridotto a cui è capitato di dover gestire una brutta situazione e che non rappresentiamo la maggioranza, quando invece siamo la maggioranza. Le ricerche dimostrano  che le donne prostituite soffrono di Sindrome da Stress Post-Traumatico nella stessa misura in termini di tasso percentuale, dei veterani di guerra e la maggioranza ha subito abusi sessuali, verbali, fisici e psicologici.

Iselin ha dato un contentino alle sopravvissute, ma solo perchè ci ha dipinte come donne tristi, e per questo inaffidabili, che semplicemente sono finite nelle mani delle dogmatiche anti-sexworker, i suoi sforzi di fingere empatia hanno fallito.

Alla fine il messaggio veicolato dal discorso di Iselin è che le voci delle sopravvissute e di chi le sostiene, che si oppongono al sistema prostituente, non dovrebbero essere “credute e diffuse”. Infatti a meno che non diamo risalto e non includiamo le voci di quelle a favore dell’industria del sesso, apparentemente noi saremo narratrici inattendibili e il nostro lavoro sarebbe illegittimo. Mentre certamente ognuno ha diritto ad avere la sua opinione, non significa che tutte le opinioni devono essere ascoltate tutte le volte. La celebrazione della prostituzione è già diffusa in tutto il mondo attraverso i media, la cultura pop e i discorsi di sinistra e liberisti. L’idea che la prospettiva di Iselin venga “ignorata” non è nient’altro che una bugia tattica. Come molti media liberisti anche il Daily Life è caduto nella trappola. Ma che sorpresa!

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