Sabrinna Valisce (SPACE): in Nuova Zelanda potere assoluto di clienti e papponi sui corpi delle donne
Ringraziamo SPACE international per averci autorizzato a tradurre il comunicato ufficiale scritto da Sabrinna Valisce sul fallimento del modello della decriminalizzazione totale adottato in Nuova Zelanda. Questo modello viene promosso dalla lobby pro-prostituzione come l’unico che protegge i “diritti delle/dei sex worker”. In realtà ci racconta Sabrinna, che è stata prostituita proprio in Nuova Zelanda e ha fatto parte del New Zealand Prostitutes Collective per 25 anni, con l’approvazione del Prostitution Reform Act nel 2003 le donne hanno perso qualsiasi diritto all’autodeterminazione, sono i papponi e i clienti che esercitano il loro potere assoluto sui corpi delle donne dettando le regole del mercato del sesso in un regime di totale impunità. Lo sfruttamento sessuale è legittimato dalla legge in quanto qualsiasi pappone o proprietario di bordello o agenzia di escort è un normale imprenditore esattamente come è accaduto in Germania e ogni genere di violazione dei diritti umani delle persone prostituite è normalizzato e non perseguito. Sabrinna smantella tutti i miti che circondano il modello neozelandese a partire da quello della sicurezza nei bordelli dove invece non esiste un servizio di security che tuteli le donne, la musica altissima impedisce in caso di richiesta di aiuto che qualcuno possa intervenire, ai clienti è concesso ogni genere di abuso e comportamento violento: “Ne ho visti svenuti per quanto sono sbronzi, lanciare oggetti, picchiare le ragazze, rifiutarsi di lasciare la camera, urlare alle ragazze, urlare ai receptionist, pisciare sul pavimento, pisciare sulle ragazze nella sala di attesa, imprecare, insultare e protestare.” In 15 anni di decriminalizzazione totale non sono aumentate le denunce alla polizia per le violenze subite dai clienti, anzi quando si scopre che una gang sfrutta le donne basta che paghi le tasse e nessuno viene incriminato. Le donne nei bordelli sono costrette a turni massacranti che possono arrivare fino a 17 ore, sono quelli che Sabrinna chiama “papponi d’affari” a decidere prestazioni e prezzi. I bordelli hanno imposto un sistema di tariffe e multe per lucrare sulle spalle delle donne che devono pagare non solo per la stanza dove ricevono i clienti (e gli affitti sono aumentati dopo la decriminalizzazione), ma anche per gli asciugamani, per la pubblicità, per il taxi quando ricevono una chiamata esterna e vengono multate in caso di mancato rispetto del dress code (che consiste nel restare seminuda con tacchi “spezza caviglie” nella hall in piedi anche per ore in attesa di essere scelta), in caso di ritardo in entrata o uscita da una stanza o se la camera viene lasciata in “disordine”. In Nuova Zelanda come in Germania si diffonde sempre di più la formula dei bordelli “tutto compreso”(corrispettivo del flat-rate, la “tariffa fissa”) grazie alla quale il cliente può pretendere qualsiasi prestazione e se la ragazza si rifiuta può ricattarla minacciando di trattenersi nella stanza oltre il tempo concesso sapendo che poi lei dovrà pagare una multa per ogni minuto di ritardo. I clienti pretendono pratiche sessuali sempre più invasive e pericolose a prezzi più bassi e le donne sono costrette ad accettare per paura di essere buttate fuori dai papponi. Anche il mito della maggiore protezione dall’HIV e altre malattie a trasmissione sessuale è assolutamente falso: i clienti pretendono di fare sesso senza preservativo e nessuno di loro è mai stato arrestato per richieste del genere: “Non importa quanta violenza si subisca o quali problemi si riferiscano alla reception, nessuno chiamerà la polizia. Non fa bene agli affari.”Le statistiche non rilevano un aumento dell”HIV in Nuova Zelanda semplicemente perché se le donne prostituite rivelassero di essere ammalate sarebbero insultate e perseguitate sui media. L’industria del sesso ha registrato un’enorme espansione che però non risulta dalle statistiche in quanto solo i grandi bordelli devono registrarsi, non si tiene conto quindi dei piccoli bordelli gestiti da un unico proprietario/a che continuano a crescere in modo incontrollato. Il modello della decriminalizzazione totale non prevede alcun programma di uscita per chi vuole lasciare la prostituzione: le donne non possono accedere ad alcun sussidio di disoccupazione nonostante paghino le tasse esattamente come in Germania (in caso contrario perderebbero la custodia dei propri figli) in quanto dovrebbero dichiarare la propria occupazione e quindi accettare di essere registrate, la loro privacy violata. I fautori della prostituzione come “lavoro come un altro” hanno condannato le donne a non aver alcun diritto riconosciuto, non solo più del 50% dei loro guadagni viene sottratto dai papponi, ma non esiste alcuna pensione garantita, nè malattia o ferie pagate. Le donne nell’industria del sesso sono considerate lavoratrici autonome, devono quindi pagarsi la pensione, se si ammalano non vengono pagate, ma a differenza dei lavoratori autonomi non possono decidere orari e giorni di lavoro, devono sottostare alle decisioni dei papponi che gestiscono i bordelli. L’unica voce che dice di rappresentare le “sex worker” in Nuova Zelanda è il New Zealand Prostitutes Collective che però non assiste le donne prostituite nelle vertenze contro i papponi d’affari e fa parte della rete pro-prostituzione degli ombrelli rossi che rappresenta gli interessi di proprietari di bordelli e agenzie di escort che fanno i soldi sui corpi delle donne. Proprio il NZPC sta chiedendo l’abolizione della sezione 19 del Prostitution Reform Act che impedisce ad una persona straniera di ottenere un visto per “fornire servizi sessuali a pagamento” o “gestire un’attività di prostituzione” in Nuova Zelanda. L’abolizione di questa norma avrebbe come conseguenza immediata la decriminalizzazione della tratta. Questo deve servire da monito dice Sabrinna per tutti coloro che continuano a diffondere falsi miti sul modello neozelandese che rappresenta l’espressione più perfetta della misoginia neoliberista. Così mentre le donne prostituite continuano a morire nell’indifferenza non solo della società, ma anche della lobby pro-prostituzione che non parla mai di questi femminicidi, i compratori di sesso pubblicano sui social media gli eventi organizzati al bordello dove festeggiano l’addio al celibato o il diciottesimo del proprio figlio. È quello che si vuole fare in Italia eliminando la legge Merlin. Si vuole legalizzare lo sfruttamento sessuale chiamandolo “lavoro”, dare potere assoluto alla criminalità organizzata, ai papponi sui nostri corpi come accade in Germania e Nuova Zelanda. La legge Merlin non si tocca! #IosonoLinaMerlin
Traduzione dall’inglese di Chiara C. e Giulia
La decriminalizzazione totale della prostituzione in Nuova Zelanda
L’autrice del seguente brano è Sabrinna Valisce. È stata nella prostituzione e in altri settori del mercato del sesso neozelandese sia quando vigeva il vecchio sistema proibizionista che poi sotto la decriminalizzazione totale. È stata volontaria presso il New Zealand Prostitutes Collective [Collettivo delle Prostitute della Nuova Zelanda] per oltre due decenni e ha preso parte attiva a campagne per la decriminalizzazione totale fidandosi completamente della teoria secondo la quale la decriminalizzazione totale avrebbe portato diritti, dignità e maggiori opportunità per le persone prostituite. In Nuova Zelanda la prostituzione è stata decriminalizzata completamente nel 2003; un cambiamento legislativo che ha decriminalizzato ogni aspetto della prostituzione, inclusa la gestione dei bordelli e lo sfruttamento dei papponi. Dopo aver constatato un declino evidente dei diritti in quegli stessi settori del mercato del sesso che aveva lottato per migliorare, Sabrinna ha sperato che fosse possibile aggiustare le carenze mantenendo il sistema della decriminalizzazione totale, finché ha dovuto constatare che è un modello fallimentare. Ha visto i risultati positivi ottenuti nei paesi che hanno istituito il modello abolizionista (modello nordico) e adesso è impegnata a diffondere la verità sulla decriminalizzazione totale, nella speranza che i governi di tutto il mondo adottino il modello abolizionista.
Prima del 2003 la Nuova Zelanda aveva un sistema di proibizionismo parziale. Era illegale gestire dei bordelli così come era illegale l’adescamento, offrire sesso in cambio di soldi. La domanda era legale, quindi un uomo poteva offrire soldi in cambio di sesso. Questo voleva dire che le donne nella prostituzione usavano giri di parole con i clienti per evitare di incorrere nel reato di adescamento, come: “Il mio ultimo ragazzo mi ha offerto $100, è stato davvero gentile. Ho accettato con piacere”. Molti uomini cercavano di offrire molto meno e quindi i giochi di parole andavano avanti in un linguaggio in codice che evitava l’offerta finanziaria irrispettosa senza mai entrare nell’aperta negoziazione. Queste conversazioni creavano molte difficoltà alle donne nel mercato del sesso e non le proteggevano sempre dall’essere arrestate. Il solo fatto di avere dei profilattici nella borsa poteva portare ad accuse di adescamento. A quel tempo i bordelli erano chiamati centri massaggi, saune e club per soli uomini. Gli uomini pagavano all’ingresso per un massaggio e del tempo in camera con una “signora” di loro scelta, l’intera somma andava al bordello. Le ragazze dovevano guadagnarsi per conto proprio i loro soldi. Un massaggio “semplice” era un normale massaggio senza extra. Questo voleva dire che la ragazza lavorava gratis facendo un massaggio di un’ora in cui sia lei che il cliente erano nudi. Nel caso di un raid della polizia nel centro massaggi al cliente veniva chiesto di vestirsi e andarsene, la ragazza veniva trascinata nuda fuori dalla camera, senza alcun rispetto. Il proibizionismo era orribile in Nuova Zelanda e le donne in quel regime erano totalmente vulnerabili.
Nel 2003 è stato approvato il Prostitution Reform Act (PRA). Era la prima volta che veniva approvata una legge del genere e si fondava su speculazioni teoriche. Persone ben intenzionate cercavano di immaginare come ogni aspetto della nuova legge si sarebbe poi tradotto nella realtà. Molte cose sono andate male. La promessa di una maggiore autonomia e autodeterminazione esisteva solo a livello teorico.
Con la nuova legge i centri massaggi e le saune sono stati rinominati bordelli e club per soli uomini. I centri massaggi riscuotevano una quota per turno di $5 o $10 che si pagava all’inizio di ogni turno. I nuovi bordelli hanno iniziato a richiedere molto di più. La quota da pagare per turno è salita a $20 e sono state introdotte nuove tasse e pagamenti che sono andati aumentando nei 15 anni seguenti. All’improvviso i bordelli chiedevano di pagare una tariffa per l’uso degli asciugamani, per la pubblicità, per l’autista che accompagnava le donne per una chiamata esterna, multe in caso di mancato rispetto del dress code, multe per ritardi nell’ingresso o nell’uscita da una camera e per aver lasciato la camera “disordinata”. In Nuova Zelanda esistono due termini per descrivere i lavori dentro e fuori dai bordelli. Quando il cliente viene nel bordello si tratta di una chiamata interna. Quando ordina una donna che venga a casa sua, nel suo posto di lavoro, in un hotel o motel si tratta di una chiamata esterna. Le chiamate interne comprendono una tassa per la biancheria, le chiamate esterne per il trasporto. Ogni “lavoro” costa alle donne che si trovano nel bordello.
“Tutto compreso“ [All inclusive] è il termine neozelandese per quello che i tedeschi chiamano “tariffa fissa”, [Flat Rate]. Il “tutto compreso” si è diffuso in tutti i bordelli neozelandesi. Le donne non hanno altra scelta che accettare queste condizioni perché non ci sono altre opzioni fuori dalla cosiddetta “zona sicura al chiuso”. I proprietari del business, che da ora chiamerò “papponi d’affari”, controllano i prezzi e le prestazioni. Le donne prostituite non vengono consultate. Mentre prima era possibile limitarsi a offrire di masturbare il cliente o di fare sesso orale con il preservativo, con il tutto compreso le donne sono costrette a offrire sesso completo. In che cosa consisterebbe questo “tutto compreso” è anche oggetto di dibattito. Chi sta alla reception nei bordelli lo descrivono come “servizio base”, i clienti pretendono qualunque cosa, non importa quanto invasiva, e questo per le ragazze vuol dire litigare ogni volta, gestire le aspettative del cliente e cercare di far sembrare sexy un “No”. Un cliente deluso che si aspetta di veder realizzato ogni suo desiderio può punire “la sua ragazza” rifiutando di andarsene una volta scaduto il suo tempo, costandole 1 dollaro neozelandese al minuto di multa. A volte le ragazze si aiutano tra loro trascinando fuori dalla stanza i clienti perché non esiste nessun addetto alla sicurezza in queste zone “sicure” al chiuso. Il cliente può anche creare caos in camera per procurare una multa alla ragazza. I papponi usano il sistema delle multe per cercare di costringere le ragazze a piegarsi alle richieste irragionevoli dei clienti. La decriminalizzazione totale dell’industria ha incoraggiato i clienti a pretendere di più per meno soldi e allo stesso tempo ha dato maggior potere ai “papponi d’affari”. Le donne che lavorano in questi posti sono ancora più vulnerabili. L’abuso economico che prima consisteva nel dover fornire massaggi nude gratis, ora consiste nel sottostare al regime del “tutto compreso”, nel vedere il 50% del profitto preso dai papponi d’affari a cui si aggiungono tasse per i turni, per gli asciugamani, per la pubblicità e l’essere passibili di ulteriori multe. Vedere il profitto del primo “lavoro” della notte andarsene via in queste “spese” non è raro.
Per i bordelli offrire chiamate esterne è una pratica standard. Gli uomini chiamano per ordinare una donna come ordinerebbero una cena da asporto al ristorante cinese. Ordinano sulla base di età, novità (una donna appena nuova nel bordello), altezza, colore dei capelli e cosa si è disposte a fare. Chi sta alla reception prende l’ordine e si accorda sul pagamento al telefono. La ragazza non è mai consultata. Il prezzo non è mai sotto il suo controllo. Non le si dice l’indirizzo o dove verrà mandata. Queste informazioni vengono date all’autista. La ragazza non può negoziare con l’autista sul prezzo del trasporto. Lo decidono i papponi d’affari e il pagamento è gestito dai receptionist. L’autista la lascia all’angolo della strada e parte subito per il giro successivo. La donna non sa mai se questo “lavoro” sarà sicuro. Una volta sono stata mandata ad un minimarket aperto 24h e la prestazione ha avuto luogo nel magazzino. Un altro lavoro era in una banca, sul pavimento di un angolo che non era ripreso dalle telecamere. Un altro ad una festa di oltre 30 persone dove dovevo riconoscere il cliente nella folla. Sono stata mandata da sola. Il tempo minimo di una chiamata esterna è un’ora se il posto è vicino, due ore se più lontano. L’autista torna a riprendere la ragazza una volta scaduto il tempo. Se non sei fuori per strada da sola ad aspettarlo, l’autista contatta la reception che a sua volta contatta il cliente. Dalla diffusione dei telefonini le cose sono cambiate e ci si aspetta che la ragazza usi il suo numero privato per il “lavoro”. In un caso in cui la ragazza era rimasta traumatizzata ho sentito gli autisti lamentarsi che non era il loro lavoro proteggerle e che non erano pagati abbastanza per rischiare entrando in un posto che non conoscevano. Ma chi lo è? Secondo i papponi d’affari, è responsabilità della donna prostituita “stare al sicuro”.
Anche le chiamate interne non offrono la sicurezza che i fautori della decriminalizzazione totale immaginavano. I bordelli neozelandesi non impiegano guardie di sicurezza. Se si offrisse una protezione completa alle donne, potrebbero permetterselo? Dopotutto, sarebbe a loro spese. In molti bordelli neozelandesi c’è musica come nei night club. In alcuni più piccoli la musica è meno forte. Lunghi corridoi di camere, tutte con le porte chiuse, stanno a significare che non c’è nessuna protezione per le donne e che chiamare aiuto è utile solo se qualcuno riesce a sentirti. In che modo sarebbe più sicuro del lavoro da escort, della chiamata esterna o persino di lavorare per strada? “Un lavoro può durare 20 minuti o andare avanti tutta la notte”. 20 minuti sono abbastanza per essere stuprata, minacciata fisicamente e ferita. Quando succede non è raro che i receptionist chiedano alla donna cosa ha fatto per far “arrabbiare” il cliente. Altre volte le si siederanno tutti attorno parlando di quanto fosse stronzo quel cliente, per consolarla prima del suo prossimo “lavoro”. Altre volte le diranno direttamente “stringi le chiappe e torna al lavoro nel floor”: Il floorè il ‘Client Lounge’, il salone dove aspettano i clienti.
Non importa quanta violenza si subisca o quali problemi si riferiscano alla reception, nessuno chiamerà la polizia. Non fa bene agli affari. Inoltre non ho mai visto un cliente che venisse buttato fuori, a cui fosse negato un servizio o a cui fosse vietato tornare. Ne ho visti svenuti per quanto sono sbronzi, lanciare oggetti, picchiare le ragazze, rifiutarsi di lasciare la camera, urlare alle ragazze, urlare ai receptionist, pisciare sul pavimento, pisciare sulle ragazze nella sala di attesa, imprecare, insultare e protestare. Mai una volta che questo comportamento abbia portato qualche conseguenza. I fautori della decriminalizzazione totale dicono che la polizia diventa un’alleata delle donne nella prostituzione che ora possono denunciare i crimini che subiscono, ma è un’affermazione ridicola. Le donne che non sono nella prostituzione denunciano raramente i reati sessuali che subiscono. Le donne nella prostituzione lo fanno ancora meno. Quando pagare per il sesso è legale la polizia non può arrestare automaticamente il cliente, come può invece fare sotto il modello nordico. Devono avere un motivo per l’arresto e dichiarazioni dei testimoni di un crimine che non sia l’aver pagato per il sesso, che non è ritenuto un crimine. Avere queste condizioni per la denuncia è improbabile nell’escorting. Per la donna che lavora in strada è troppo rischioso. Per chi lavora nei bordelli è reso impossibile dal sistema stesso dei bordelli. Nei 15 anni passati dalla decriminalizzazione totale le denunce non sono aumentate. Questa non è una sorpresa per chi di noi ha lavorato o lavora nel mercato del sesso neozelandese.
È importante capire cosa vuol dire essere un pappone in Nuova Zelanda. Per legge esserlo non è più reato. I proprietari di bordelli, di agenzie escort, gli agenti, le piattaforme che pubblicizzano il mercato del sesso e altri terzi che guadagnano sulla prostituzione sono tutti uomini d’affari, legali imprenditori. Quando viene fuori la notizia di una gang che prostituisce delle donne, basta che paghi le tasse perché sia del tutto legale.
Ai fautori della decriminalizzazione totale piace fingere che le donne abbiano più autonomia e autodeterminazione, ma niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Quando i bordelli decidono le tariffe, decidono anche i prezzi dell’intero mercato prostituente. I privati e chi lavora per strada devono mettersi in competizione con loro. I papponi d’affari decidono anche quando iniziano e finiscono i turni, quanti turni si fanno a settimana e quante donne saranno in competizione tra loro a notte. I turni possono essere anche di 17 ore, anche se di solito ne durano 10-12. Le lavoratrici private o che lavorano in strada devono offrire tempi più lunghi e ore più scomode per guadagnare qualcosa.
I bordelli stabiliscono degli standard di abbigliamento, quindi le donne non hanno alcun potere decisionale sul modo in cui si presenteranno. Alcune hanno degli striminziti vestiti da sera obbligatori o della lingerie come dress code. Tutte devono portare tacchi altissimi, spesso chiamati tacchi da spogliarellista o spezza-caviglie. Molte devono seguire rigide regole su trucco, acconciatura, unghie delle mani e dei piedi ed epilazione totale con ceretta o laser. Regole di abbigliamento rigide causano più multe per mancato rispetto delle stesse. Una volta sono stata multata perché avevo i capelli ricci. Lavoravo di più quando portavo i capelli così. Non c’era notte in cui non fossi multata. Una notte su due non venivo multata. Non è raro che i receptionist aumentino le multe nelle serate più tranquille per alzare i profitti. Una o due ragazze possono pubblicizzare un ‘cespuglio anni 70’, ma con il rischio di essere mandate a lavorare per poi essere depilate. Il che vuol dire lasciare che qualche cliente si occupi dei tuoi genitali con un rasoio. Nonostante gli ovvi pericoli di questo lavoro, è una richiesta comune e nessun bordello si rifiuta per motivi di sicurezza. Tutte queste spese per agghindarsi e mettersi in mostra sono un’importante priorità se si vuole evitare di essere multate. Tutte le altre donne nella prostituzione devono farsi carico di queste stesse spese per competere nel mercato della carne neozelandese o devono abbassare i loro prezzi.
Di ragazze ce ne sono a bizzeffe, quindi devi trovarti un punto di forza. Cos’hai che le altre non hanno? Qual è la tua “specialità”? Le donne devono rispondere a lunghi questionari sugli atti sessuali che sono disposte a compiere. Molte inizieranno con masturbazione e sesso orale o vaginale, ma quando il loro status di “novità” comincerà a declinare verrà loro chiesto se “vogliono” provare cose diverse. Quando guadagni di meno la probabilità che tu dica di sì ad atti sessuali diversi e più numerosi aumentano. È così che forzano e spezzano i tuoi confini. Le lavoratrici private o che lavorano per strada non sono risparmiate da questa violazione dei loro confini fisici. I clienti stabiliscono loro quello che vogliono e un “no” vuol dire non avere lavoro. È un mercato in mano ai compratori e la decriminalizzazione totale fa in modo che rimanga tale.
Parte di questa cosiddetta autonomia dovrebbe derivare da dei diritti legali. I fautori della decriminalizzazione totale oltreoceano affermano che le donne neozelandesi stanno beneficiando di pensioni, retribuzioni per malattia, ferie pagate, assicurazioni sanitarie e odontoiatriche e un sindacato. Assolutamente nulla di tutto ciò è vero. Le donne prostituite sono libere professioniste. I bordelli contraddicono la definizione legale di questo termine. Il lavoratore autonomo dovrebbe poter decidere i propri prezzi, lavorare per più aziende e individui, decidere i propri giorni lavorativi e orari, il proprio abbigliamento (nel rispetto delle linee guida sulla sicurezza e la salute in ambito lavorativo), dovrebbe poter scegliere quali servizi vuole o non vuole offrire, se investire o mettere a rischio i propri soldi come preferisce, scegliere come farsi pubblicità, scegliere le proprie condizioni di lavoro ed far pagare sui servizi offerti la GST, l’imposta sui consumi. Non sta accadendo niente di tutto ciò. L’unico elemento tra quelli elencati che si ritrova in questa libera professione è che la responsabilità fiscale ricade sulla donna. Come lavoratrice autonoma deve pagarsi la propria pensione (Kiwisaver) [sistema pensionistico a base volontaria creato in Nuova Zelanda nel 2007, NdT]. Se si ammala o si prende le ferie perde soldi. Tutte le spese sanitarie e odontoiatriche sono a suo carico. In breve, non gode di nessuna delle libertà del lavoratore autonomo, ma è soggetta a tutte le responsabilità e le spese. La cosa più vicina ad un sindacato che esiste è un’organizzazione chiamata New Zealand Prostitutes Collective, che non prevede iscritti e non assiste le prostituite nelle vertenze contro i papponi d’affari. In altre parole, non c’è alcun sindacato. I papponi d’affari avanzano tutte le pretese dei datori di lavoro, eppure non hanno le loro stesse responsabilità.
I fautori della decriminalizzazione totale parlano di un aumento dei profitti dello stato derivanti dalle tasse, ma anche questo è un mito. La decriminalizzazione totale non ha portato alcun cambiamento in merito alla tassazione perché i redditi sono autodichiarati, così come il tipo di lavoro svolto. La maggioranza delle donne usano la qualifica professionale di “Private Entertainer”, intrattenitrice privata. Persino sotto il precedente modello proibizionista questa qualifica poteva essere usata per pagare legittimamente le tasse. Per partecipare a pieno titolo alla società le donne devono avere la documentazione cartacea del loro reddito tassabile. Senza non possono affittare un appartamento, pagare le tasse a nome proprio o comprare e noleggiare prodotti come le macchine. Per le donne con figli che chiedono l’affidamento avere la documentazione cartacea del proprio reddito è essenziale. Le donne pagano delle tasse a prescindere dall’inquadramento legale della prostituzione.
È un mito che gli atti sessuali siano sicuri grazie all’uso obbligatorio di contraccettivi e dental dam. Una delle richieste più comuni tra i clienti è “Lo fai senza preservativo?” Questo è illegale e non c’è mai stato un singolo arresto per questo genere di richieste. Gli uomini pagano di più per il sesso non protetto. Capita spesso di vedere herpes o verruche su un cliente e rifiutarsi di fare sesso completo per vederlo andare in reception a lamentarsi e chiedere i suoi soldi indietro. Ai clienti non importa della salute delle donne prostituite e nessuno vigila su di loro. Questo ha avuto inizio dopo il PRA a causa della competizione e della crisi finanziaria. Le donne fanno sesso completo senza preservativo, ingoiano dopo il sesso orale e lasciano che i clienti facciano loro sesso orale senza usare un dental dam. A differenza di altri paesi dove le donne sono costrette ad avere 20 o 30 clienti a notte, in Nuova Zelanda le donne competono aspramente per lavorare. Accettano 380 dollari neozelandesi per un lavoro di un’intera notte, temendo di finire in rosso a causa di multe e tasse. Per contestualizzare, 350 dollari neozelandesi sono l’affitto di una settimana in un appartamento condiviso. I turni possono essere di 25 ragazze strette nella hall per sole 10 stanze disponibili. Quando i clienti chiedono “Sei qui per il sesso o per i soldi?” tutte risponderanno automaticamente “per il sesso” nella maniera più maliziosa possibile perché hanno un bisogno disperato di soldi. La Nuova Zelanda si vanta di non aver mai avuto un caso di HIV nel mercato del sesso. Le donne vanno nei consultori per sottoporsi al test e non dicono mai di essere nella prostituzione se sono preoccupate del risultato. Se qualcuna scoprisse di aver contratto l’HIV assolutamente non lo direbbe mai a nessuno. La conseguenza sarebbe quella di vedere il proprio nome infangato in giro per tutto il paese su ogni testata online e offline come “quella sporca puttana”. Per questo al massimo si può dire che nessuna/o ha confessato di essere HIV positiva come diretto risultato della prostituzione.
I grandi bordelli devono essere registrati includendo i nomi dei proprietari e di chi li gestisce. I piccoli bordelli gestiti da un unico proprietario (Small Owner Operated Brothels, SOOB) non devono essere registrati. Non c’è un registro delle persone che lavorano nella prostituzione. I SOOB possono contare da 1 a 4 persone che lavorano per conto proprio in uno spazio condiviso. Non sono mai inseriti nelle statistiche neozelandesi sui numeri dei bordelli perché nessuno sa quanti ce ne sono. Quando la Nuova Zelanda riporta che non c’è stato un aumento nel volume del mercato del sesso, significa in realtà che non c’è stato un aumento di bordelli di grandi dimensioni. Il numero delle persone che vi lavorano non viene conteggiato e i numeri di chi lavora nei SOOB e sulle strade è sconosciuto. Personalmente, non sono favorevole alla registrazione delle donne che si trovano nella prostituzione. La maggioranza non vuole essere registrata, quindi un sistema di registrazione avrebbe l’effetto di costringerle all’illegalità, lasciandole vulnerabili di fronte alla possibilità di veder violata la propria privacy diminuendo così per loro le possibilità di entrare nel mercato del lavoro mainstream. La registrazione è un paradosso.
Chi lavora privatamente, nei SOOB e per strada ha più autonomia delle donne prostituite nei bordelli, anche se allo stesso tempo i media neozelandesi descrivono i bordelli come l’opzione “sicura”. Ma non importa dove una donna si trovi in quanto dovrà comunque trattare con clienti incoraggiati a chiedere sempre più atti sessuali per un prezzo più basso e si troverà sempre a competere con i papponi che abbassano i prezzi e gli standard.
Le donne nel mercato del sesso hanno problemi ad accedere ai sussidi di disoccupazione nei periodi in cui il mercato del sesso subisce un calo. Con i media che rappresentano il lussuoso stile di vita da champagne delle donne prostituite sono pochi i lavoratori che credono alle donne quando parlano apertamente della loro situazione. Le donne che si trovano in difficoltà sono costrette a mentire ai funzionari della pubblica amministrazione. Se una donna dichiara di avere un lavoro part time come Intrattenitrice Privata dovrà descrivere che tipo di intrattenimento svolge, così che possa essere riportato sulla sua scheda professionale. Per le donne che sanno cantare, fanno burlesque o hanno abilità circensi non è un problema, ma per le donne che non hanno queste abilità sono costrette a rinunciare alla sicurezza del sussidio di disoccupazione se non vogliono rischiare di essere scoperte a guadagnare un reddito non dichiarato mentre sono beneficiarie del sussidio. La decriminalizzazione totale non ha fatto nulla per aiutare le donne che si trovano in povertà.
Il PRA fu approvato con l’intenzione di riconoscere diritti alle donne e fornire accesso alle risorse. È stato invece un fallimento vergognoso. La sola e unica cosa positiva che ha portato è stata la fine della criminalizzazione delle persone prostituite. Il modello nordico fa questo e molto di più. Criminalizza i clienti e i terzi che guadagnano sui profitti delle donne prostituite, riconosce i molteplici fattori di vulnerabilità che affliggono le donne prostituite e offre programmi di uscita personalizzati. La decriminalizzazione totale ha tradito le persone prostituite considerando la prostituzione un lavoro come un altro. Non esiste alcun programma di uscita che aiuti le donne ad individuare gli ostacoli che impediscono loro di accedere al lavoro mainstream per superarli. Dal momento che non esistono programmi di uscita per aiutare le persone a lasciare il settore delle vendite, della contabilità o del turismo, così la concezione del “lavoro come un altro” non riconosce l’unicità dell’esperienza dello sfruttamento sessuale, che viene rappresentata invece come normale e accettabile. La percezione pubblica della prostituzione in Nuova Zelanda è cambiata velocemente. In soli 15 anni gli uomini sono passati dal nascondersi furtivamente passando dall’ingresso sul retro di un centro massaggi al tenere l’addio al celibato nel bordello, pubblicizzare i propri eventi organizzati nel bordello su FB e persino pagare una donna per il 18esimo compleanno del loro figlio. C’è una propaganda tale che il neozelandese medio ha l’impressione che nel suo paese ci sia il mercato del sesso più sicuro e onesto del mondo, nonostante le sempre più numerose prove del contrario. Persino chi ci si trova dentro sa solo che è comunque meglio che essere considerate delle criminali. Non si rendono conto che potrebbero diventare completamente indipendenti ed avere accesso a programmi di uscita gratuiti che le aiuterebbero ad affrontare i problemi che vivono ogni giorno da sole e senza alcun sostegno.
C’è un’unica voce ufficiale nel mercato del sesso neozelandese, ed è quella del New Zealand Prostitutes Collective (NZPC). Dipendenti e volontarie devono aver lavorato nel mercato del sesso in qualche momento della loro vita, ma non esiste alcun requisito specifico per farne parte come il fatto che sia accaduto di recente o durante il passaggio dal proibizionismo alla decriminalizzazione totale, né è previsto un tempo minimo di permanenza nel mercato del sesso e neanche sono rappresentate le situazioni più varie all’interno del mercato del sesso. Sono parte della rete degli Ombrelli Rossi, di cui fanno parte coloro che guadagnano sulle donne prostituite. Hanno la prima e l’ultima parola su qualsiasi questione inerente la prostituzione sui media e vengono ascoltate in qualità di consulenti dalle istituzioni governative.
Al momento il NZPC sta cercando di far abolire la Sezione 19 del PRA 2003, il che avrebbe il risultato pratico di decriminalizzare del tutto il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale in Nuova Zelanda. Per quanto sia vero che la legge attuale ha gravi problemi che devono essere risolti, la loro “soluzione” è avvantaggiare i terzi che sfruttano e guadagnano sulle donne prostituite a discapito delle donne più vulnerabili. Secondo la legge attuale le donne straniere prostituite sono perseguite sulla base di questa sezione del PRA in quanto violerebbero la legge sull’Immigrazione in Nuova Zelanda (Immigration New Zeland INZ) essendo “Sex Worker Illegali”. Sono quindi deportate. La sezione 19 non riconosce il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e non offre alcuna protezione alle vittime. La soluzione che suggerisco io è quella di offrire case rifugio sicure e lontane dai trafficanti, servizi di traduzione e lezioni di lingua inglese parlata quando necessarie, un sussidio di disoccupazione più aiuti economici per le spese mediche e di vestiario, la possibilità di contattare la propria famiglia, terapie specializzate sul trauma, formazione per entrare nel mondo del lavoro e l’opportunità di scegliere tra tornare nel proprio paese o fare domanda per diventare cittadina neozelandese. Credo che dovremmo sempre partire dall’impegno autentico di aiutare e sostenere le vittime nel caso si verifichino situazioni di sfruttamento sessuale. Il fatto invece che siamo arrivati a dover lottare contro la decriminalizzazione della tratta dovrebbe servire da monito per gli altri paesi. Con un semplice colpo di penna potremmo diventare il primo paese al mondo a legalizzare, incoraggiare e sostenere la schiavitù sessuale. Ecco la Sezione 19:
19 Application of Immigration Act [applicazione della legge sull’immigrazione] 2009
(1) Nessun visto può essere concesso ad una persona sotto l’Immigration Act 2009 sulla base che la persona—
(a) abbia fornito o intenda fornire servizi sessuali a pagamento; o
(b) abbia agito o intenda agire come gestore nel mercato della prostituzione; o
(c) abbia investito o intenda investire nel mercato della prostituzione.
(2) È una condizione per ogni visto da ingresso temporaneo sotto l’ Immigration Act 2009 che mentre si trova in Nuova Zelanda il beneficiario del visto non possa—
(a) fornire servizi sessuali a pagamento; o
(b) gestire un’attività di prostituzione; o
(c) investire nel mercato della prostituzione in Nuova Zelanda.
(3) Qualora il Ministero dell’Immigrazione o un funzionariodell’immigrazione ritengano, basandosi su motivi ragionevoli, che il detentore di un visto sia impegnato in una delle attività elencate nella sottosezione da (2)(a) a (c) di questa Sezione, questo è ragione sufficiente affinché il Ministero o il funzionario determinino che il detentore del visto di ingresso temporaneo sia passibile di espulsione come da sezione 157 dello Immigration Act 2009.
(4) Ogni condizione prevista per il visto per residenti è ritenuta non soddisfatta e il residente è passibile di espulsione come da sezione 159 dello Immigration Act 2009 se il Ministero dell’Immigrazione o un funzionario dell’immigrazione stabiliscono che il detentore di un visto per residenti sia un gestore di un’attività di prostituzione o investa nel mercato della prostituzione in Nuova Zelanda.
(5) Questa sezione si applica ad ogni visto e permesso rilasciato e tutti i requisiti e le condizioni imposte sotto lo Immigration Act 1987 o lo Immigration Act 2009, che siano state garantite o imposte prima o dopo l’entrata in validità di questa Sezione.
Sezione 19: sostituita alle 2.00 del 29 novembre 2010 dalla sezione 406(1) dell’ Immigration Act 2009 (2009 N. 51).
CONCLUSIONE
Il PRA ha dato ai clienti e ai papponi d’affari il potere assoluto sulle donne prostituite. I desideri dei clienti devono essere soddisfatti o andranno altrove dopo aver scritto recensioni volgari. I papponi d’affari hanno creato zoo umani di porte chiuse, orari lunghi, scarpe che fanno male ai piedi e semi nudità in piena vista di qualunque uomo con un portafogli. Violano legalmente i confini fisici delle donne, rubano loro quello che guadagnano mentre sovraccaricano i loro turni e le fanno lavorare in modo massacrante, macinando ragazze una dopo l’altra visto che la scorta è infinita. Quello che fanno è pienamente legittimo e si definiscono imprenditori. Le pappone d’affari monopolizzato le interviste sui media per nascondere l’aumento del potere maschile sulle donne. La stragrande maggioranza dei clienti e dei papponi d’affari sono uomini e la stragrande maggioranza delle persone prostituite sono donne. È arrivato il momento di immaginare un mondo senza lo sfruttamento sessuale delle donne, in cui le donne possano godere del rispetto della propria integrità fisica esattamente come gli uomini.
2 Risposte
[…] e sfruttatori è aumentata notevolmente. Nonostante numerose ricerche e testimonianze da parte di donne sfruttate nei bordelli della Nuova Zelanda il mito dell’efficacia di questo modello legislativo continua ad essere diffuso da chi […]
[…] Visto il fallimento del modello della regolamentazione ora la lobby pappona si fa promotrice di un altro sistema prostituente, quello della decriminalizzazione totale che è stato adottato in Nuova Zelanda. La campagna pro modello neozelandese è sempre più martellante, in particolare nel Regno Unito, ma questo modello non elimina le principali cause dei mali del modello tedesco: la vastissima scala del mercato prostituente, la facilità con cui le donne vengono sfruttate al suo interno e all’interno dei bordelli legali e le difficoltà incontrate dalla polizia e dalle autorità nel perseguire gli sfruttatori che operano sotto l’egida di un sistema legale e legittimo. Questi problemi permangono anche all’interno del sistema della decriminalizzazione totale. Noi abbiamo inoltre già tante testimonianze di sopravvissute neozelandesi che hanno sperimentato sulla loro pelle la regolamentazione, come Sabrinna Valisce, sopravvissuta ed ex attivista pro decriminalizzazione totale, ora attivista pro Modello Nordico con SPACE International. Abbiamo tradotto le parole della nostra sorella sopravvissuta in un articolo che potete trovare qui. […]