Rachel Moran: non usate il termine “sex worker”, è un doppio insulto, la prostituzione non è né sesso, né lavoro

Rachel è tornata in Italia per darci sostegno in un momento politico di grande emergenza: con gli attacchi alla legge Merlin, politici che in campagna elettorale promettevano la riapertura delle case chiuse era importante dare un segnale forte di resistenza delle donne contro il tentativo patriarcale di normalizzare e occultare lo sfruttamento sessuale, la schiavitù di migliaia di donne e minori. E’ stato emozionante ascoltare la sua testimonianza nel nostro Parlamento insieme a quella di Blessing, sopravvissuta alla tratta e attivista a dimostrazione che non è possibile separare la tratta dalla prostituzione: due donne coraggiose che si battono per i diritti umani di tutte le donne unite nella stessa battaglia, due donne che chiedono la stessa cosa: che venga abolito il mercato disumano del sesso, un esempio unico di sorellanza. Quando i sostenitori/sostenitrici dell’industria del sesso, la lobby pro-prostituzione insiste nel voler dividere in modo manicheo tratta e prostituzione stanno censurando, togliendo la parola a queste donne, donne che hanno vissuto in prima persona la violenza della prostituzione e sono impegnate in prima linea nel mettere fine allo sfruttamento sessuale. Sono queste le voci che i nostri politici devono ascoltare se vogliono adottare un modello legislativo che protegga davvero i diritti umani delle persone prostituite e metta fine alla violenza maschile contro le donne. Queste donne lo stanno dicendo chiaramente:  non potete dividerci in categorie distinte perchè abbiamo sofferto la stessa violenza e quello che abbiamo vissuto ha la stessa unica causa: il mercato del sesso, la domanda maschile. Se non esistesse il mercato del sesso non esisterebbe neanche la tratta. Rachel parla dell’orrore della regolamentazione in Germania e in Nuova Zelanda spiegando come la differenza tra questi due modelli come ribadito anche da Julie Bindel sia assolutamente insesistente. L’unica differenza dice è che in Germania si finge, si racconta che esistano delle regole, dei limiti allo sfruttamento incontrollato dei corpi delle donne, ( regole di fatto insesistenti o del tutto inutili come l’obbligo di indossare il preservativo previsto per i compratori che nessuno rispetta) in Nuova Zelanda invece è tutto accettato e normalizzato: il mercato del sesso nella sua versione più spietatamente neoliberista usa i corpi delle donne sottoponendole ad ogni genere di violenza. Il potere dei papponi è ormai fuori controllo: sono loro a stabilire prezzi e prestazioni, sono loro che nascondendosi dietro la maschera perbenista dell’uomo di affari gestiscono la tratta delle donne e le bambine in un regime di totale impunità. Allora spiega Rachel quando le persone, a volte in buona fede, usano il termine “sex worker” rendono la vita facile agli sfruttatori adottandone il linguaggio. Un linguaggio che nasconde invece di denunciare, portare alla luce la violenza del mercato del sesso, un linguaggio che normalizza invece che opporsi alla violazione dei diritti umani. Nella prostituzione spiega Rachel, che è stata sfruttata nel mercato del sesso fin da quando aveva 15 anni, non si può parlare nè di sesso nè di lavoro. Per questo il termine “sex worker”, lavoratrice sessuale è per le donne che hanno vissuto veramente la prostituzione un doppio insulto: il sesso infatti esiste solo nella reciprocità del desiderio mentre la prostituzione è soltanto una compensazione per un abuso sessuale che si è costrette a subire per sopravvivere e non si può in nessun modo parlare di lavoro in quanto la prostituzione rappresenta per migliaia di donne e bambine nel mondo il tentativo di avere una qualche forma di sostentamento economico. Quello che invece si deve fare è diffondere, far conoscere la voce e l’impegno di questi soggetti politici e dare ascolto alle loro rivendicazioni politiche. Non è più possibile negarne l’esistenza o cercare di ridimensionarne la portata rivoluzionaria: le donne parlano, denunciano e pretendono ascolto, si rifiutano di essere oggetti di un discorso patriarcale e misogino che vuole decidere per noi senza di noi, togliendoci la parola. Ringraziamo di cuore Rachel per aver accettato il nostro invito ancora una volta, siamo certe che il suo appello non resterà inascoltato. 

Traduzione dall’inglese di Chiara C.

[Rachel Moran, attivista, autrice di “Stupro a pagamento, la verità sulla prostituzione”(traduzione di Resistenza Femminista Round Robin Editrice 2017) ha portato la sua testimonianza in diverse sedi internazionali, incluso il Parlamento Europeo, le Nazioni Unite e la Harvard University di Boston; fondatrice di Space International (Survivors of Prostitution-Abuse Calling for Enlightenment), associazione di donne sopravvissute alla prostituzione che lottano perché venga adottato il modello nordico per combattere la tratta e lo sfruttamento sessuale, collabora con la coalizione contro la tratta delle donne (CATW) e la European Women’s Lobby].

“Parlerò brevemente, non racconterò tutta la mia storia perchè manca il tempo. Comunque sono stata nella prostituzione di strada da quando avevo 15 anni a partire da una condizione di senzatetto. Ci sono rimasta due anni e mezzo, poi sono passata alla prostituzione al chiuso, quando c’è stato un cambiamento di legge in Irlanda nel 1993, avevo 17 anni allora. Ho passato quattro anni e mezzo nella prostituzione al chiuso in varie forme (centri massaggi, bordelli, agenzie di escort) e ne sono uscita nel 1998 all’età di 22 anni. Sono un’attivista per l’abolizione della prostituzione, faccio parte di un’organizzazione globale per l’abolizione della prostituzione e sono sette anni che sono coinvolta in questo movimento. Nel mio impegno da attivista sono stata almeno in venti paesi del mondo ed ho potuto prendere in esame i vari modelli legislativi che riguardano la prostituzione, sono stata ad esempio in diverse città della Germania e anche della Nuova Zelanda. Ho visto come funzionano nella realtà questi modelli, ho parlato con molte ragazze e donne prostituite di questi modelli in Nuova Zelanda, Germania, Olanda ecc… In questi sistemi, dove gli sfruttatori sono completamente depenalizzati oppure c’è un sistema di regolamentazione, che sono esattamente la stessa cosa, la stessa faccia della stessa orribile medaglia, perché il sistema della regolamentazione della prostituzione dal punto di vista sociale è qualcosa di terribile, in quanto è tutto socialmente accettato, quello che viene fatto a queste donne è autorizzato dalla legge, in quanto gli sfruttatori sono assolutamente depenalizzati, sono protetti, non vengono penalizzati in nessun modo perché la polizia non ha modo di tutelare le donne, agire contro di loro. Ho potuto vedere con i miei occhi questo sistema del modello tedesco di cui hanno parlato prima Julie Bindel e la dottoressa Kraus. Per esempio nelle strade di Monaco si trovano delle insegne dove c’è scritto “una donna, una salsiccia e una birra, tutto compreso”. Una sorta di pacchetto per la pausa pranzo. Questo è quello che succede in un sistema dove viene completamente depenalizzato lo sfruttamento della prostituzione. Gli sfruttatori sono depenalizzati. Quello che ho potuto vedere per esempio a Colonia, una delle più grandi città della Germania dove ci sono questi mega bordelli dai 12 ai 15 piani. Ci sono scene che sembrano prese dall’inferno, sembra di essere all’inferno. C’è il piano delle donne di colore, il piano delle trans, delle donne incinte, della gang bang. Èdifficile riuscire a parlare di tutto questo, ma immaginate soltanto l’orrore incredibile di tutto ciò. Per immaginarlo bene, se cambiassimo lo scenario e invece di essere tutte donne fossero tutti uomini, forse si prenderebbe coscienza di questo orrore, perché spesso funziona così, che dobbiamo cambiare la prospettiva, dimenticare che si tratta di donne, per renderci conto di qualcosa che invece è auto evidente. A volte mi devo controllare, devo controllare la mia rabbia quando appunto ascolto l’ignoranza della gente che vuole legalizzare gli sfruttatori e normalizzare una situazione dove i compratori possono avere una birra, una salsiccia e una donna. E non fatevi ingannare da chi dice che le cose vanno meglio in Nuova Zelanda. Non c’è alcuna differenza tra la depenalizzazione e la legalizzazione. In entrambi i casi sono gli sfruttatori ad essere depenalizzati, ad essere protetti dalla legge. Non c’è alcuna differenza tra Germania e Nuova Zelanda, semplicemente in Germania si finge che ci sia una regolamentazione, che ci siano delle regole. In Nuova Zelanda nemmeno fingono che ci siano delle regole. Ètutto completamente depenalizzato e liberalizzato. Ci sarebbero molte altre cose che avrei da dire ma manca il tempo, ma vi chiedo un favore: non usate il termine “sex work” che è un termine che è stato inventato 25 anni fa dall’industria del sesso di San Francisco per normalizzare e sanitarizzare la prostituzione. Devo dire che con questo termine hanno raggiunto anche dei risultati, si è diffuso tragicamente, perché persone, spesso anche in buona fede, credono che sia giusto usare questo termine “sex worker”. Ma sebbene l’intento sia giusto il risultato è completamente sbagliato. Loro vorrebbero restituire, con questo termine, dignità alle donne in prostituzione, ma il modo di restituirla alle donne non è questo, è completamente sbagliato, perché questo è un trucco linguistico che copre e occulta una situazione orribile e quindi per favore, non lo usate, non lo tollero perché la prostituzione non è sesso e non è lavoro, quindi è un doppio insulto, perché la natura intrinseca del sesso è la reciprocità, non può esserci il pagamento. Il sesso si basa sulla reciprocità e quindi dovremmo dire che quello che succede in prostituzione è praticamente una forma di compensazione per un abuso sessuale. Quindi usare questa parola rappresenta un tentativo di restituire dignità alla prostituzione e non alle donne. Nella prostituzione non c’è né sesso né lavoro e se voi usate questo termine non fate altro che fare il lavoro degli sfruttatori, cioè rendete la vita degli sfruttatori facile. Quindi grazie tanto per essere venuti ed averci dato ascolto e spero che porterete fuori di qui quello che avete imparato su questo tema.”

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