Rachel Lloyd sopravvissuta e attivista inglese: “La depenalizzazione dell’industria del sesso porta ad un aumento della tratta”

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Rachel Lloyd sopravvissuta alla prostituzione e attivista è autrice del libro “Girls like us. Fighting for a world where girls are not for sale” dove racconta la sua esperienza nell’industria del sesso e la sua storia di attivista a partire dalla fondazione nel 1998 del gruppo GEMS Girls Educational and Mentoring Service un’organizzazione che ha sede nello stato di New York e ha lo scopo di aiutare le ragazze vittime di sfruttamento sessuale e violenza domestica fornendo programmi di uscita: assistenza psico-sanitaria, alloggio, corsi professionali e orientamento per inserirsi nel mondo del lavoro. Il documentario che porta il titolo del libro “Girls like us” segue la vita delle ragazze presenti nelle case di accoglienza dell’associazione e racconta il loro percorso di uscita dalla violenza e il loro attivismo. Sono le stesse sopravvissute ad aiutare le ragazze che chiedono aiuto per uscire dall’industria del sesso in un processo virtuoso di auto-aiuto tra donne. Vittima di razzismo e abusi sessuali fin da adolescente a 17 anni Rachel incontra quello che viene chiamato “lover boy”, il fidanzato pappone che la induce a prostituirsi. Solo diversi anni dopo riuscirà ad uscire dalla prostituzione e a trasferirsi a New York con lo scopo di aiutare le donne e le ragazze come lei. In assenza di una legge che davvero tutelasse le donne vittime di sfruttamento sessuale e offrisse loro alternative concrete per ricostruire la propria vita Rachel ha cominciato a lavorare per la fondazione di quella che poi è diventata GEMS. Nel 2004 ha vinto il Reebock International Human Rights Award per il suo attivismo nel campo dei diritti umani. 

Traduzione dall’inglese di Chiara C.

 Quando ero un’adolescente ho lavorato nell’industria del sesso regolarizzata in Germania.
Come molte ragazze che lavoravano nel club ero minorenne, molte di noi erano immigrate, quasi tutte con storie di traumi e abusi, precedenti al nostro ingresso nel mondo del sesso a pagamento. Molte di noi erano sotto il controllo di papponi/e, nonostante lavorassimo in un regime legale; tutte noi usavamo ingenti dosi di alcool e droghe per sopportare ogni notte.
La violenza è intrinseca all’industria del sesso. Numerosi studi dimostrano che, prima di entrare nell’industria del sesso, tra il 70 e il 90 per cento sia di bambine che donne hanno subito abusi sessuali. Nessun’altra industria dipende dal rifornimento costante di vittime di abusi sessuali.
La regolamentazione della prostituzione ha dato il via libera per i trafficanti alla ricerca  di bambine/i e di donne emarginate, da reclutare nell’industria del sesso per soddisfare la domanda. La presenza di un’industria del sesso regolarizzata aumenta sia il tasso dello sfruttamento sessuale dei minori che la tratta.
È possibile che alcune donne nell’industria del sesso esercitino un qualche livello di libera scelta, che abbiano altre opzioni oltre a quella dell’entrata nell’industria e nessuna storia di traumi familiari alle spalle, sia che si tratti di abbandono che di abuso sessuale. Ma queste donne sono la minoranza e non rappresentano la stragrande maggioranza delle donne, bambine, ragazzi e giovani transgender per le quali l’industria del sesso non è una scelta, ma l’assenza di scelte.
La tesi secondo la quale regolarizzare la prostituzione darebbe più sicurezza alle donne semplicemente è stata contraddetta dai fatti nei paesi che hanno depenalizzato l’industria del sesso.
Amsterdam, per molto tempo promossa come modello da seguire, di recente ha riconosciuto che la tratta nel paese è aumentata e ha cominciato ad affrontare l’enorme problema di fondo della tratta e dello sfruttamento che si è creato.
Criminalizzare le donne e le ragazze che si trovano nell’industria del sesso – che sono in larga maggioranza vittime di violenza – non è la soluzione, ma neanche la regolamentazione lo è. Concentrare gli strumenti della giustizia sui trafficanti e i compratori è un passo che promette bene, perchè permette di fornire servizi, supporto e scelte autentiche alle donne che sono comprate e fa sì che le bambine/i e i giovani siano trattati come vittime, un passo adottato con l’approvazione del New York Safe Harbor Act nel 2008.
Per affrontare veramente la tratta e lo sfruttamento è fondamentale affrontare i fattori sistemici che rendono le donne e le ragazze così vulnerabili – la povertà, le discriminazioni di genere, il razzismo, il classismo, l’abuso sessuale in età infantile, la mancanza di istruzione e di opportunità lavorative per le donne e le ragazze su scala globale. Normalizzare un’industria che lucra sulle persone più emarginate e indigenti della nostra società non è la risposta.

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