Le sopravvissute di SPACE contro la risoluzione di Amnesty per la depenalizzazione di sfruttatori e compratori di sesso

rachel moran photoRachel Moran, rappresentante dell’associazione di sopravvissute alla prostituzione SPACE International, con cui collaboriamo, prende parola contro la decisione di Amnesty International di sostenere la depenalizzazione di sfruttatori e compratori di sesso. Amnesty sostiene di voler difendere i diritti umani delle/dei sex workers, ma ignorando le voci delle donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione ha scelto invece di depenalizzare proprio coloro che violano i diritti umani delle persone prostituite.

[Il testo originale è stato pubblicato sul New York Times]

Traduzione dall’inglese di Chiara C.

Qui nella mia città, all’inizio di questo mese, il consiglio di Amnesty International ha promosso una nuova linea politica che sostiene la depenalizzazione del mercato del sesso globale. Coloro che l’hanno proposta sostengono che la depenalizzazione della prostituzione è il modo migliore per tutelare “i diritti umani delle/dei sex workers”, nonostante il provvedimento sia valido anche per sfruttatori, proprietari di bordelli e clienti.

L’obiettivo fissato da Amnesty è quello di rimuovere lo stigma dalle donne prostituite così che possano essere meno vulnerabili all’abuso dei criminali che agiscono nell’ombra. L’associazione chiede che i governi garantiscano ai sex workers protezione legale contro lo sfruttamento, la tratta e la violenza.

Il voto di Amnesty arriva in un contesto di dibattito internazionale di lunga data su quali provvedimenti adottottare in materia di prostituzione e su come proteggere gli interessi delle/dei cosiddette/i sex workers. È un dibattito nel quale io sono coinvolta per motivi personali – e credo che Amnesty abbia fatto un errore storico.

Sono entrata nell’industria del sesso, come succede a molte altre, molto prima che fossi una donna. All’età di 14 anni sono stata affidata alle cure dello stato dopo che mio padre si era suicidato e perchè mia madre soffriva di una malattia mentale. In capo a un anno ero per strada senza un tetto sulla testa, nessun tipo di istruzione, né la possibilità di lavorare. Tutto quello che possedevo era il mio corpo. A 15 anni ho incontrato un giovane uomo che pensava che sarebbe stata una buona idea per me prostituirmi. Essendo carne fresca ero un prodotto molto richiesto. Per sette anni sono stata comprata e venduta. Tutto questo per strada e poteva succedere 10 volte in una notte. È difficile descrivere l’effetto della costrizione psicologica e di come aveva eroso in profondità la mia sicurezza. Sul finire dell’adolescenza iniziai ad usare la cocaina per soffocare il dolore.

Ho un sussulto quando sento la parola “sex work”. Vendere il mio corpo non era un modo di guadagnarmi da vivere. Non assomigliava per niente ad un lavoro normale, il rituale della mia degradazione da parte di estranei che usavano il mio corpo per soddisfare i loro bisogni. Sono stata sfruttata due volte dai papponi e dai compratori.

So che ci sono alcune persone che sostengono che la vendita di sesso delle donne nella prostituzione è uno scambio commerciale tra adulti consenzienti. Ma quelle che lo fanno sono una minoranza privilegiata – principalmente bianca, classe media, donne occidentali nelle agenzie di escort – che non rappresentano per niente la maggioranza a livello mondiale. Il loro diritto a vendere non annulla il mio diritto e quello delle altre a non essere vendute sul mercato che sfrutta le donne già discriminate per motivi di classe e razziali.

La battaglia per depenalizzare il mercato del sesso non è una lotta progressista. Favorire questa politica significa semplicemente stabilire per legge il diritto degli uomini a comprare sesso, mentre depenalizzare lo sfruttamento non protegge nessun altro che gli sfruttatori stessi.

Negli Stati uniti la prostituzione frutta almeno 14 miliardi all’anno. La maggior parte dei soldi non va alle ragazze come la me stessa adolescente. Su scala mondiale la tratta è il secondo più grande introito del crimine organizzato, dopo ci sono i cartelli della droga e il traffico di armi.

Nei paesi che hanno depenalizzato il mercato del sesso, il settore legale ha attratto l’illegalità. Con il sostegno popolare il sindaco di Amsterdam ha chiuso il piu famoso quartiere a luci rosse perché è diventato una calamita per la criminalità.

In Germania dove la prostituzione è stata regolamentata nel 2002 l’industria è esplosa. Si stima che un milione di uomini paghi per usare 450.000 ragazze e donne tutti i giorni. I turisti del sesso si stanno riversando nei famosi mega-bordelli che ormai sono arrivati ad essere 12.

In Nuova Zelanda dove la prostituzione è stata depenalizzata completamente nel 2003 alcune giovani donne che si trovano nei bordelli mi hanno detto che gli uomini adesso chiedono sempre di più, ma pagano sempre di meno. E dal momento che il mercato del sesso è regolato e considerato socialmente accettabile, il governo non sente alcuna esigenza di prevedere programmi di uscita per coloro che vogliono lasciare l’industria del sesso. Queste donne sono in trappola.

Ma esiste un’alternativa: un approccio che è nato in Svezia, che è stato adottato adesso da paesi come la Norvegia, l’Islanda e il Canada ed è conosciuto come il modello nordico.

Il concetto è semplice: vendere sesso è legale, ma è illegale comprarlo così che le donne possono essere aiutate senza essere arrestate, molestate, o anche peggio, e la sanzione penale è usata come deterrente contro i compratori di sesso che sono quelli che alimentano il mercato. Vengono utilizzate numerose tecniche, come le operazioni sotto copertura negli hotel, pubblicare annunci falsi per bloccare i clienti, inviare il mandato di comparizione presso la corte agli indirizzi di casa così che le compagne degli uomini accusati possano vederli.

Da quando la Svezia ha approvato la sua legge il numero di uomini che dicono di aver comprato sesso è crollato al 7,5 per cento: è la metà del tasso relativo agli uomini americani. Al contrario, dopo che la vicina Danimarca ha depenalizzato la prostituzione, il mercato è cresciuto del 40 per cento nel giro di 7 anni.

Contrariamente allo stereotipo, il cliente medio non è una persona sola o un fallito. In America, una fetta significativa di coloro che comprano sesso frequentemente ha un reddito annuale di più di 120.000 dollari e sono sposati. La maggioranza sono laureati e molti hanno figli. Perché non facciamo pagare a questi uomini privilegiati delle multe per finanziare assistenza psicologica, formazione e una casa per le giovani donne prostituite? Sono loro che hanno carte di credito e possibilità di scegliere, non le donne e le ragazze prostituite.

Amnesty International propone un mercato del sesso libero dalla “forza, frode e coercizione”, ma io so da quello che ho vissuto e a cui ho assistito che la prostituzione non può essere separata dalla coercizione. Credo che la maggioranza dei rappresentanti di Amnesty che hanno votato a Dublino volessero aiutare le donne e le ragazze prostituite e per errore si sono venduti alla concezione che la depenalizzazione di sfruttatori e clienti possa in qualche modo raggiungere quell’obiettivo. Ma, nel nome dei diritti umani, quello per cui hanno votato è stata la depenalizzazione della violazione di quei diritti, su scala globale. Il documento approvato adesso passerà al Consiglio per la decisione finale questo autunno. Molti dei leader di Amnesty e dei membri hanno capito che la credibilità e l’integrità della loro associazione sono in gioco. Non è troppo tardi per fermare questa politica disastrosa prima che danneggi le donne e i bambini nel mondo.

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