Il mobbing sulle sopravvissute alla prostituzione
Ogni volta che una donna denuncia la violenza che subisce deve mettere in conto di essere attaccata e denigrata. Accade con il “#MeToo”, accade con la violenza domestica, accade per le sopravvissute alla prostituzione. Ecco il racconto di Julie Bindel di quel che succede quando le donne osano parlare della prostituzione e della sua violenza.
[estratto dal libro “The pimping of prostitution“]
Traduzione dall’inglese di Chiara Carpita
Un numero impressionante di sopravvissute all’industria del sesso mi ha raccontato storie horror di come siano state etichettate come pazze, bugiarde, truffatrici, visionarie e masochiste. È orribile ma non sorprende. Negli anni ho assistito a come le sopravvissute siano state oggetto di bullismo, siano state minacciate, umiliate, calunniate, diffamate dagli attivisti pro-prostituzione e dai rappresentanti del mercato del sesso.
Un esempio si affaccia alla mente. Come giornalista collaboratrice di quotidiani a diffusione nazionale, decisi di fare un’intervista a Rachel Moran in seguito al successo del suo libro diventato bestseller “Paid For” e del suo lavoro di fondazione del movimento delle sopravvissute in Irlanda. Una giovane giornalista femminista che curava una sezione di un prestigioso quotidiano britannico rispose al pezzo con un “no”, dicendo: “circolano voci sulla sua autenticità in più di un ambiente…”. Le chiesi da dove venissero queste voci ma non mi ha mai risposto.
Sabrinna Valisce conosce bene il modo in cui agisce la lobby pro-sex work. Dopo tutto Valisce ha fatto parte del New Zealand Prostitutes Collective come volontaria per 24 anni. Ha promosso campagne per introdurre la nuova legge che ha depenalizzato i bordelli e la prostituzione di strada perché credeva sinceramente che avrebbe migliorato la condizione delle donne e avrebbe garantito loro maggiore libertà. Dal momento che la lobby pro-prostituzione si basa sulla mistificazione dei fatti, sui miti e sui vecchi classici giochi di potere, è particolarmente insopportabile quando qualcuno di loro passa dall’altra parte.
Valisce mi ha detto che a un evento a Townsville nel quale stava parlando, durante la presentazione del libro “Prostitution Narratives”, un membro senior di Scarlet Alliance (il gruppo australiano della lobby pro-prostituzione) ha tentato in ogni modo di impedirle di parlare. “È salita su una sedia cercando di sovrastare la folla che voleva ascoltare me, fischiando, interrompendomi e urlando” ricorda Valisce. ”Non ho provato rabbia e neanche disturbo. Stranamente mi sono identificata con lei. Penso che avesse paura. Posso capire perché, un tempo sono stata anch’io sulla difensiva“, ‘Non togliermi quello con cui mi guadagno d vivere. Non ho nient’altro. Non so dove altro andare’. L’ho guardata, le ho sorriso, ho annuito e le ho detto ‘Ti capisco’. Non era una risposta preparata, era istinto”.
Valisce aveva poi invitato il membro di Scarlet Alliance e le altre donne pro-prostituzione che la accompagnavano a parlare con lei dopo l’evento. “Una venne da me e riuscimmo a parlare serenamente. Le altre tre mi accerchiarono. Fu una sensazione strana. Poi si avvicinarono e cominciarono a urlare tutte insieme con le voci che si sovrapponevano l’una sull’altra.”
“Vivono costantemente sulla difensiva, ma non riescono ad accettare che non si sia d’accordo sulle soluzioni ai problemi. Non è stato certamente il solo episodio di bullismo che mi sia capitato e neanche minimamente il peggiore. È stato in quel momento che mi sono resa conto di come avessi vissuto sul limite per tanto tempo e di come fare la vita non mi mancasse per nulla.”
Anche Mau è stata oggetto di bullismo da parte della lobby pro-prostituzione che l’ha accusata di aver inventato la storia di essere una sopravvissuta all’industria del sesso. “I lobbisti mi hanno contattata su Twitter e hanno cercato di farmi passare per pazza. Esiste un gruppo di sex workers qui in Germania”, dice Mau. “sono sempre presenti su internet e hanno scritto che ero un fake, che mi ero inventata tutto. Lo dicono di chiunque dica la verità sulla prostituzione”.
Presto Mau si rese conto che molti giornalisti credevano alla storia dei lobbisti pro-prostituzione secondo cui lei avrebbe inventato la sua storia nella prostituzione. “I giornalisti tedeschi non mi contattavano perché pensavano che io fossi una che fingeva. Se cerchi su internet trovi scritto che io non esisto”, dice Mau. “Mi ha hanno mandato mail fingendo di essere una stazione radio che voleva intervistarmi e speravano che gli dessi il mio numero di telefono, ma non l’ho fatto”.
“Der Spiegel mi ha contattata”, racconta Mau, “e dopo avermi intervistata per un articolo sul mercato del sesso ha voluto la prova della mia esistenza, che è piuttosto difficile per me perché non posso dare il mio nome o il mio numero di telefono. È veramente meschino quello che sta facendo la lobby. Non puoi provare che esisti e che sei stata una prostituta. Non c’è nessun pezzo di carta che dice che sei una prostituta”.
LA LOTTA PER IL “DIRITTO” DI VENDERE SESSO
Tre attiviste pro-prostituzione, Terri-Jean Bedford (che aveva precedentemento gestito agenzie di escort), l’accademica Amy Lebovitch e Valerie Scott, hanno trascinato il governo canadese in tribunale sostenendo che la sua legge sulla prostituzione fosse incostituzionale. Le tre donne portavano avanti una compagna per eliminare tutte le leggi riguardanti il mercato del sesso.
Bridget Perrier si trovava in tribunale e, dopo la decisione del giudice, Bedford iniziò a scuotere il suo frustino (Bedford praticava BDSM), divertendo i tanti giornalisti intervenuti per scrivere su quello che stava accadendo. Perrier aveva portato con sé una cinghia che aveva chiamato “il bastone della sua pappona”, raccontando ai giornalisti che era stata picchiata dalla sua pappona con quello strumento tutti i giorni.
In tribunale con Perrier c’era sua figlia adottiva Angel, la cui mamma è stata uccisa da Pickton. “Terri-Jean era troppo codarda per affrontarmi, così si mise a inseguire una diciottenne la cui madre è stata assassinata da un serial killer di donne prostituite”, dice Perrier. “Ma avevo istruito bene la mia bambina. La mia bambina le disse: ‘Sul corpo di mia madre morta non saremo mai d’accordo che regolamentare la prostituzione sia un bene per le donne’”.
“Angel le disse che avrebbe combattuto perché la prostituzione non fosse legittimata, e Terri-Jean si spinse fino al punto di mettere le mani addosso alla mia bambina. Dopo che ebbe finito di punire mia figlia si mise ad inseguire una delle nostre sopravvissute, una ragazza che ha subito torture sessuali da quando aveva 11 anni fino ai 25. Andò da lei dicendole: ‘Perché piangi, questo è un giorno vittorioso per noi’. Mi ricordo la nostra ragazza che la guardava, e c’era una foto di questa ragazza e Terri-Jean sui giornali, e questa sopravvissuta puntò il dito dritto contro Terri-Jean e le disse: “Questo è un giorno d’inferno”.
“La lobby pro-prostituzione ha scaricato le foto delle mie bambine da facebook”, dice Perrier “e ci hanno scritto sotto ‘le future puttane di Bridget’. La lobby mi ha mandato foto di bambine che avevano rapporti con uomini adulti. Non riuscivo a smettere di guardare quelle foto perché la mamma che è in me voleva entrare in quelle foto per salvare quelle bambine piccole. Quelle erano bambine di 4 anni”.
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Alice è stata prostituita nel Queensland all’età di 22 anni. “Non avevo mai sentito il termine ‘gaslighting’ fino a quando non ho raccontato pubblicamente la mia storia di quando sono stata nella prostituzione”, dice Alice. “Il gaslighting è qualcosa che ho vissuto in modo continuo nella mia vita, a cominciare da quelli che mi hanno sfruttata sessualmente quando ero minorenne, da quando avevo 5 anni, fino all’età adulta, quando l’ho subito da vari altri abusanti e persone violente. Ma per nessun motivo al mondo mi sarei aspettata di incontrare persone che mettevano in atto gli stessi comportamenti dopo che avevano saputo che ero sopravvissuta all’industria del sesso”.
“L’aperta opposizione e il comportamento messo in atto nei miei confronti dalla lobby pro-prostituzione da quando ho cominciato a parlare in pubblico della mia esperienza nell’industria del sesso ha preso di sorpresa perfino il mio io pessimista catastrofico” racconta Alice. “Posso dire adesso con certezza che la lobby pro-prostituzione è il mostro più grande, più spietato e di gran lunga più crudele che io abbia dovuto affrontare, peggio delle malattie mentali che ho sviluppato come risultato di tutti i traumi che ho subito”.
Poco tempo dopo che Alice aveva criticato apertamente l’industria del sesso e raccontato le sue esperienze personali all’interno di essa, la lobby pro-prostituzione ha cominciato immediatamente ad etichettarla come SWERF (femminista radicale che esclude le sex worker), affermando che lei odiasse le donne che si trovavano nella prostituzione. “La lobby pro-prostituzione mette continuamente in dubbio il mio passato e dichiara che mi sono inventata il fatto di aver lavorato nell’industria del sesso,” dice Alice. “Quelli che non mi danno della bugiarda mi dicono che sono ‘naif’ ,‘stupida’ e che sono stata ‘sfruttata e usata’ dalle abolizioniste per portare avanti la loro causa. Altre mi hanno accusata di aver voluto fare soldi pubblicando la mia storia e dicono che rubo soldi alle sopravvissute e alle donne che si trovano nell’industria”.
Alla conferenza “L’oppressione più antica del mondo”, che si è tenuta nell’aprile del 2016 a Melbourne, in Australia, alcuni contestatori sono saltati fuori nel luogo di incontro distribuendo volantini che contenevano propaganda a favore dell’industria del sesso e sui cosiddetti benefici per coloro che scelgono di fare l’esperienza del sex work. In uno dei cartelloni di protesta c’era scritto “Perché essere poveri?” La lobby pro-prostituzione aveva cercato di far cancellare la conferenza prima che avesse luogo sostenendo che la discussione sui danni del mercato del sesso, che secondo la lobby sono invenzioni, sarebbe stata pericolosa per le donne che scelgono di stare nella prostituzione.
Le sopravvissute mi hanno anche raccontato di numerosi casi nei quali la lobby pro-prostituzione irrompeva durante eventi abolizionisti cercando di convincere le donne che erano uscite dalla prostituzione a tornarci, sostenendo che le sopravvissute dovevano aver vissuto delle sfortunate e rare brutte esperienze con i clienti e i papponi, e avrebbero dovuto lavorare nei bordelli “giusti”.
“Durante un evento, appena 10 minuti dopo il mio racconto del trauma terribile che l’esperienza nell’industria del sesso mi ha lasciato,” dice Alice, “una donna è venuta da me e ha iniziato a parlarmi di come si stava rendendo conto delle terribili condizioni lavorative che esistevano nei bordelli nell’area in cui eravamo (un posto dove la prostituzione è legale e regolamentata). Per lei le terribili condizioni di lavoro non includevano gli abusi dei clienti e dei datori di lavoro, o l’abuso massiccio di droghe usate comunemente come mezzo per sopportare i continui traumi”.
“No, per lei, le terribili condizioni di lavoro erano costituite dal fatto che, dal momento che la prostituzione era regolamentata con bordelli legali, chiunque ci lavorasse doveva consegnare una porzione dei suoi guadagni ai propri datori di lavoro. Presupponendo in maniera errata che si trattasse del posto dove avevo lavorato all’interno dell’industria del sesso australiana, questa donna mi assicurò che ‘le condizioni sono davvero migliori nel New South Wales e ti consiglio davvero di venire giù e dare un’altra chance al sex work’. Ero completamente sotto shock – non aveva ascoltato la mia storia che avevo raccontato appena 10 minuti prima? Scoprii più tardi che la donna con la quale avevo parlato aveva di recente lasciato la sua posizione di presidente di un gruppo austrialiano di sex worker – una posizione che aveva mantenuto per almeno dieci anni”.
Sono stata testimone degli abusi e delle calunnie diffuse contro Moran in più di un’occasione. Moran descrive il trattamento che le ha riservato la lobby pro-prostituzione come profondamente lacerante e distruttivo.
Lo stesso schema si ripete nella vita di tutte le sopravvissute che prendono parola in pubblico. A Berlino, durante la conferenza per il lancio del suo libro, la prima domanda che è stata fatta a Moran è stata: “che cos’hai da dire a quelli che sostengono che hai inventato tutto?”
“Non c’è da meravigliarsi se le donne più giovani, più vulnerabili sono perseguitate proprio perché prendono parola pubblicamente. Ovviamente si tratta di una strategia consapevole da parte della lobby pro-prostituzione, e queste donne giovani non riescono a reggere lo stress,” dice Moran. “Sono felice di essere arrivata a fare attivismo quando avevo passato i 35 anni ed ero uscita dalla prostituzione da più di dieci anni. Niente può perseguitarmi e sono ben capace di gestire lo stress.”
Il movimento delle sopravvissute all’industria del sesso continua a crescere nonostante gli sforzi di papponi e lobbisti pro-prostituzione. Una cosa che ho capito durante il tempo che ho passato con le sopravvissute abolizioniste è quanto siano piene di speranza e ottimiste, nonostante tutte le barriere e gli ostacoli che devono affrontare.
“Sono qui per fare la differenza”, mi ha detto una sopravvissuta che ho incontrato nel Minnesota. “Per parlare per conto delle persone considerate inutili. Oggi piango perché sono guarita, perché ho vinto, perché sono sopravvissuta.”
Fonte: https://www.truthdig.com/articles/pimping-prostitution-excerpt/
2 risposte
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[…] e ridurre al silenzio le donne che parlano della violenza subita nell’industria del sesso come denunciato di recente da Julie Bindel. Succede alle donne tutte, anche coloro che non sono state nella prostituzione, si pensi al […]