In memoria di Adelina
di Liliam Altuntas
La morte è l’unica via d’uscita per la libertà? Per Adelina è stato così, lei ha pensato fosse così ed io la capisco, eccome se la capisco.
Dopo essere stata una prostituita e esserne uscita scappando , dopo aver denunciato e lottato contro ciò che ti è accaduto non è facile vivere, perché quando tu esci della prostituzione ne esci solo col tuo corpo, ma la mente, il cuore sono ancora imprigionati. Io la definisco una bomba atomica che ti esplode dentro: la radiazione ti uccide lentamente giorno dopo giorno.
Adelina ha lottato ed è stata tanto coraggiosa, ha denunciato, ha messo la sua faccia, il suo nome, il suo coraggio in questa lotta e la polizia ha arrestato i trafficanti. Allora sì che Adelina era importante e aveva tutta la attenzione del sistema , nel momento in cui si diceva “wow che bel lavoro ha fatto la polizia”, si sono presi il loro merito nell’operazione condotta e, chissà, magari qualcuno è stato promosso, una stellina in più sul petto. Ma dopo che Adelina era servita a loro cosa hanno fatto? Abbandonata, lasciata sola. Lei sognava tanto di essere italiana, portava la bandiera con sé con fierezza e credeva che qui in Italia avrebbe avuto la sua libertà, ma in realtà non è stato così. Mano a mano, ogni giorno che passava lei ha iniziato a capire che è stata usata proprio come i papponi la usavano, anzi ancora peggio: lei è stata usata da un sistema in cui aveva fiducia e in cui credeva fortemente tanto da aiutarli in operazioni contro i trafficanti, ma quando ha capito che è stata solo usata, questo le ha fatto tanto male, è stata una grande delusione. Dentro di sé ha sentito la solitudine, lottando contro un sistema ingiusto e contro la sua malattia. Adelina infatti era molto malata, la radiazione di questa bomba atomica chiamata prostituzione le ha portato un male, una malattia che doppiamente la stava distruggendo.. e chi era lì con lei? Chi l’ha sentita ,chi l’ha aiutata, chi l’ha accolta, presa per mano? Come si può vedere nessuno, perché su quel ponte era lei la da sola e solo dopo la sua morte la gente ha iniziato a vedere il danno di questa radiazione maledetta.
Perciò, io la capisco, anche io molte volte ho pensato di fare lo stesso – oh quante volte! – la mia mente dice “non hai il coraggio?”, ma il mio corpo, il mio cuore che arde dentro per amore dei miei figli, per vincere e non darla vinta a chi mi ha fatto del male e a chi ancora me ne fa e la curiosità di vedere il domani e ancora il giorno dopo, nel fondo, dentro di me dicono no, questa non è la via di uscita o il modo per avere la libertà . La libertà è parlare, lottare per la verità e non aver paura e credere che questo incubo finirà e che finiranno di dire che la prostituzione sia un lavoro, la prostituzione è la morte interna, è un disgusto che ci obbligano a subìre e chi vuole fare credere che sia un lavoro sono quelli che vedono solo i soldi e per cui noi siamo solo un pacco merci. Adelina lottava contro questo, le disgustava questa idea che lo chiamano lavoro, lottava per il modello nordico e credetemi, addirittura ho letto su internet che hanno dato la notizia della sua morte definendola “sex worker”. Che schifo, che vergogna, vogliono usare la sua morte per alludere alla tesi che se si regolamentasse la prostituzione cose del genere non accadrebbero. E’ davvero vergognoso pensare ciò ed usare il suo nome con “sex work”. La prostituzione uccide e se non è il pappone a ucciderci siamo noi che ci uccidiamo perché ci stanchiamo, la mente diventa debole e nessuno più ci ascolta, come se fossi in mezzo a tanta gente, tu urli e loro non sentono, fanno finta di niente o addirittura danno la colpa a te, tipo “te la sei cercata”. Per questo capisco la sua azione. Anche io vivo ogni giorno un certo tipo di disprezzo del tipo “potevi cercare un lavoro, pulire i bagni”, come fosse così facile. Molti di voi non capiscono niente di cosa sia essere una vittima di tratta, della prostituzione: è un inferno, una tortura, una distruzione di te stessa. Adelina voleva farvi capire, lei urlava, lottava, ha provato in ogni modo, ma alla fine non ha visto più una via di uscita e intorno a lei vedeva tutto buio. Posso immaginare lei mentre andava in direzione di quel ponte e fermandosi lì vedeva le cose passare davanti ai suoi occhi e sentiva quella vocina nella mente, quel brivido nel corpo che diceva “Dai, vai, lì è la tua libertà! Hai visto? Hai fatto tanto e non sei riuscita”. E poi iniziavano a echeggiare le voci di quei clienti che ti umiliavano, che dicevano che tu non sarai mai niente e forse la voce del pappone che diceva che tu non valevi nemmeno morta e così lei scavalca quella barriera e vola e con gli occhi chiusi pensa “finalmente sono libera” e, chissà, una lacrima è scesa dai suoi occhi e poi il buio totale e il silenzio .. Io dico questo perché lo feci in passato, sono saltata da un palazzo e sono qui viva a raccontarvelo , ma Adelina no, Adelina vi ha raccontato tutto ma nessuno le ha dato l’aiuto necessario. So bene che ha avuto degli aiuti, ma temporanei perché dopo uno, due o tre aiuti uno si stanca e dice la solita frase “non esisti solo tu, ci sono anche altri”. E’ giusto che aiutino altri, ma per donne come noi l’aiuto deve essere constante, non parlo solo di aiuto economico, ma emotivo, affettivo, poter sapere di non essere sola. Mi chiedo: fino a quando deve essere così? Quante sopravvissute volete vedere suicidarsi perché non ce la fanno più?
La morte di Adelina mi ha sconvolta perché la capisco e un pezzo di me è morto con lei e finché una di noi morirà e non sarà libera non lo sarò neppure io, non lo saremo nemmeno noi… ma ciò che mi consola è che vedo Adelina perduta in un posto bello e l’universo che l’abbraccia e le dice “sei libera, qui nessuno ti farà più del male”. Adelina è tutte noi, non dobbiamo dimenticarla , lei non c’è più, ma noi continueremo la sua lotta e la sua voce rimarrà in tutte noi attiviste.. Adelina, ovunque tu sia noi tutte ti abbracciamo forte e tu adesso riposa in pace.
Un forte abbraccio resistente da Liliam e da tutte noi che ti ammiriamo.