Femministe precarie contro il sistema prostituente

Lettera aperta ai 100 Parlamentari che chiedono l’abrogazione della legge Merlin.

Jessica Harrison, "Hole in the Head" (2011)

Jessica Harrison, “Hole in the Head” (2011)

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di Chiara C.

Siamo donne precarie e la prostituzione ci riguarda. Come femministe precarie lottiamo a fianco delle sorelle sopravvissute alla prostituzione e a tutte quelle che si trovano ancora dentro il circolo vizioso violento del sistema prostituente. Donne prostituite dalla tratta di esseri umani, donne prostituite dalla necessità economica, donne prostituite dall’industria del sesso e dai compratori di sottomissione femminile. Condividiamo un destino: quello di donne discriminate dal patriarcato, sopravvissute alla violenza maschile e rese invisibili dalla violenza economica che insieme allo stupro è il mezzo privilegiato con cui il patriarcato controlla i corpi delle donne. Donne immigrate, donne senza tetto, socialmente svantaggiate, donne senza istruzione, senza alternative, donne povere o che cercano di resistere sulla soglia della sussistenza, donne sopravvissute ad abusi sessuali che non hanno ricevuto nessuna assistenza per superare il trauma causato nella maggioranza dei casi da membri della propria famiglia e che non hanno avuto le stesse opportunità delle altre in termini di accesso ad istruzione e lavoro.

La violenza economica ci riguarda, riguarda il nostro paese, l’Italia: il precariato che priva le persone di ogni prospettiva di futuro è mascherato sotto la formula ipocrita della “flessibilità”. Se i nostri genitori magari di estrazione proletaria o piccolo borghese hanno avuto la possibilità di conquistarsi una certa sicurezza economica nonostante le difficoltà, le generazioni successive nate tra gli anni ’70 e i ’90 si sono impoverite, si vedono sottratte ogni genere di diritto: non puoi comprarti una casa, aver accesso ad un prestito e la vita diventa l’alternarsi di due fasi complementari: disoccupazione e impiego a termine. Precariato come condizione di esistenza che influenza ogni scelta, anche la più banale come fare la spesa ogni giorno. Fare un discorso femminista anticapitalista oggi deve ripartire da questa realtà che riguarda almeno tre generazioni che stanno sparendo, riuscendo a sopravvivere solo grazie all’intervento delle famiglie di origine che stanno invecchiando, si stanno ammalando, stanno morendo. Davanti lo spettro reale o possibile della povertà. In questo contesto il tuo corpo di donna torna ad essere terreno di guerra, oggetto di scambio, luogo di esercizio del potere patriarcale. Non possiedi nient’altro che il tuo corpo o meglio il tuo sesso, quel sesso femminile sul quale da sempre il patriarcato costruisce alleanze papponi-compratori per sfruttare, abusare, mantenere le donne in condizioni di schiavitù.

La prostituzione ci riguarda perchè l’idea che una parte dell’umanità che ha potere economico e politico possa comprare, violentare i corpi delle altre è un messaggio capitalista violento e discriminatorio.

Perché se la prostituzione è un lavoro come un altro come ci dice il pensiero neoliberista abbiamo risolto il problema della povertà femminile e della precarizzazione del lavoro imponendo abusi, violenze a donne che non scelgono e non vogliono scegliere di vendere l’unica cosa che possiedono, il loro corpo, per sopravvivere.

La maggioranza delle persone che, come voi, sostengono che usare la vagina sia un lavoro come un altro o addirittura meno usurante e pericoloso di qualsiasi altro lavoro non lo svolgono affatto e non lo desiderano per le loro figlie, mogli, compagne. E non parlano mai dell’ingresso nell’ufficio di collocamento di questa possibilità “lavorativa”. E che significherebbe per noi, e non per chi la sostiene, dover accettare lo stupro di uomini che grazie alla propria supremazia economica possono comprare la tua sessualità, la tua libertà. Significa vendere generazioni di donne ridotte in povertà che rivendicano il diritto al lavoro e non allo stupro.

In Germania dove la prostituzione è regolamentata è già successo: alcune ragazze che percepivano l’assegno di disoccupazione si sono viste arrivare a casa la lettera dell’ufficio di collocamento con l’offerta di “lavorare” in un bordello. In Olanda e in Nuova Zelanda la prostituzione è già “un lavoro come un altro” presente negli annunci degli uffici di collocamento.

Sappiamo che la possibilità che “l’erogazione di servizi sessuali” ci venga proposta come soluzione alla disoccupazione non è una paura astratta, ma la concretizzazione di un’ideologia violenta che normalizza lo sfruttamento dei corpi delle donne per trarre vantaggi economici e politici.

Ma la prostituzione non ci riguarda soltanto come prospettiva futura di una nuova schiavitù che il capitalismo neoliberista tenta di imporci: quello che viviamo e abbiamo vissuto nel nostro presente è la realtà concreta dei ricatti sessuali che come donne disoccupate e precarie, siamo già state costrette a subire da uomini che in posizioni di potere si sentono legittimati a scambiare un posto di lavoro con quelli che per loro sono solo “servizi o favori sessuali” e per noi sono stupro.

Come ci racconta una nostra compagna succede che i papponi ti individuino, ti fermino sulla metropolitana, sull’autobus, approfittino della tua situazione di vulnerabilità economica per proporti di fare la prostituta inventandoti che sarai autonoma, che è un ottimo lavoro, con ottimi profitti quando sappiamo che nel sistema prostituente quello che ricava tutto o la maggior parte del profitto è colui che promette protezione, il pappone che nel linguaggio patriarcale neoliberista diventa imprenditore, il gestore di bordello, il proprietario dell’agenzia di escorting come Douglas Fox di Amnesty International.

Succede che un vecchio ricco (il cosiddetto sugar daddy) ti proponga di stuprarti per pagarti le tasse universitarie.

La precarietà ha aperto nuovi scenari di sfruttamento sessuale per le donne e noi ne siamo testimoni, l’abbiamo vissuto.

Succede che le nostre sorelle immigrate anche quando non sono vittime di tratta vengono nel nostro paese in cerca di un lavoro e di una vita migliore. Soltanto una mentalità neocolonialista può pensare che per queste donne straniere sia normale venire nel nostro paese per subire abusi da sconosciuti, violenti, frustrati, vecchi. Per queste donne straniere e quindi diverse, le “altre”, la prostituzione sarebbe un lavoro qualsiasi, un modo anzi per emanciparsi, un avanzamento di diritti e di fronte ad altre alternative in cui non si rischia la vita, non si subisce la violenza di compratori e papponi, continuerebbero a sceglierlo.

La divisione tra tratta e prostituzione come “libera scelta” è il punto centrale su cui insiste Maria Spilabotte e tutti coloro che vogliono abrogare la legge Merlin: tra le prostitute “libere” si considerano quelle donne immigrate che in assenza di qualsiasi altra alternativa finiscono nella prostituzione, quelle donne povere, madri single, senza tetto, che fanno uso di droghe, che si prostituiscono per il loro uomo pappone, le donne precarie come noi che dovremmo accettare quella che è una vera e propria violenza di Stato. Quando c’è violenza economica non c’è libertà, smettete di considerare “libera” chi sceglie per assenza di scelte, chi sceglie per disperazione.

Il sistema prostituente è un sistema che spesso inizia da lontano come ci racconta una nostra compagna: inizia con un abuso nell’infanzia e continua con quello del pappone e dei clienti. Lavoriamo con gruppi internazionali di sopravvissute alla prostituzione come SPACE international che denunciano la realtà violenta del mondo della prostituzione e chiedono il modello nordico: nella lettera che hanno inviato al Parlamento Europeo e alle Nazioni Unite contestano radicalmente la divisione tra “schiave” e “libere” su cui si basano le leggi regolamentariste come quella tedesca. Queste sono le loro parole:

“La prostituzione e la tratta sono intrinsecamente collegate. Lo sono da sempre e fin tanto che il mondo accetterà l’oppressione della prostituzione sempre lo saranno, dal momento che la tratta è soltanto una conseguenza di questo sistema. È soltanto una forma di palese coercizione che risponde alla domanda maschile di sesso a pagamento. La domanda di prostituzione è la causa della tratta e della prostituzione e i bordelli della prostituzione sono i luoghi in cui la tratta trova la sua massima espressione. Noi donne e ragazze prostituite e vittime di tratta esistiamo l’una a fianco all’altra e allo stesso modo veniamo sfruttate l’una a fianco all’altra, e non siamo persone che potete semplicemente etichettare come libere e forzate. La nostra libertà ci è stata sottratta in modi diversi, questo è certo, ma vi preghiamo di smettere di credere che la nostra oppressione sia in sé stessa diversa. Noi non rivendichiamo, come fate voi, che le nostre esperienze sono diverse, noi affermiamo invece che, nel modo più assoluto, sono la stessa cosa – e che abbiamo diritto ad affermarlo con forza dal momento che abbiamo vissuto quello di cui voi state parlando. Quando voi formulate raccomandazioni legislative in cui ci dividete in categorie diverse, voi ci ignorate, e noi non accettiamo più di essere ignorate.”

Non è più possibile nascondersi dietro la falsa coscienza della libertà delle donne, l’unica vera libertà che viene esercitata con la forza nel mondo patriarcale è quella del compratore: la sua oppressione, la più vecchia del mondo.

Il quotidiano “Repubblica” ha pubblicato di recente l’inchiesta truffa “Il ritorno delle luccione italiane” che promuove la prostituzione come soluzione al precariato: un lavoro con un orario flessibile, ottimi guadagni, possibilità di pagarsi gli studi in breve tempo per le studentesse universitarie, per fare pressione sull’opinione pubblica perché le figlie, le mogli, le donne degli altri si vendano per loro.

La prostituzione viene definita adottando il linguaggio violento del capitalismo neoliberista “un mercato competitivo”, una “possibilità”, “una tentazione”, “una trasgressione”, un gioco di ruolo da “fidanzata maliziosa” o “esperta in giochi estremi disposta a tutto”. La violenza scompare, al suo posto il discorso neoliberista ci propone la banalizzazione e glamourizzazione di una realtà che si basa sullo sfruttamento e la deumanizzazione delle donne.

Ma tra le interviste citate nell’inchiesta alcune persone che hanno accettato di parlare della propria condizione nella prostituzione emerge una realtà opposta a quella propagandata: queste persone parlano di “stupro”, violenza di stato, assenza di alternative, “voglia di morire”, prostituzione come “il cancro di un mondo maschilista”, volontà di uscire:

“Sono una vittima dello Stato italiano, ho cercato in mille modi una volta licenziata in mille modi di sollevarmi, lo Stato non ti dà ascolto e io comunque alle strette ho dovuto scegliere di fare questa vita mio malgrado, avrei preferito fare altre cose per cui ero preparata, non si trova assolutamente niente, è molto difficile trovar lavoro e se lo trovi ti danno due soldi, lavoro al nero sottopagato a meno che non sei raccomandato perché in Italia purtroppo funziona ancora la raccomandazione.” (Donna di 39 anni rimasta senza lavoro)

“Quando ho iniziato oscillavo tra la fase del rifiuto e dicevo ‘voglio morire’ e la fase della determinazione e mi ripetevo  ‘voglio andare avanti, questo periodo passerà, io sono altro’. Poi piano piano mi sono organizzata, ho iniziato a lavorare in casa, ma non mi sono mai abituata, è sempre una violenza, uno stupro a cui ti sottometti, la prostituzione è il cancro di un mondo maschilista. Ho ripreso a studiare, fra due anni smetto.” (Cinzia)

“Ho chiesto aiuto a diverse parrocchie, adesso andrò anche a sentire presso uno sportello dei servizi sociali ma nessuno mi aiuta e sono stanca, ho la pressione alta, non riesco più a fare questa vita. Ho avuto qualche uomo,  perlopiù romeni ma loro vogliono farsi mantenere, gli devi comprare il cellulare, pagare la palestra ma così a me non rimane niente. Io lo faccio per poco, per 20 euro, mi chiedono anche di farlo per 10 euro ma non accetto. Sarebbe venuto il momento di smettere ma come campo?” (Laura)

Come racconta una nostra compagna non c’è niente di facile, di divertente, di normale nella prostituzione: non è un lavoro, ma violenza, non ti garantisce sicurezza, ma disperazione, i soldi non ti salvano dal trauma che accumuli per ogni ora passata a soddisfare le voglie dei compratori violenti. Poliziotti che puntano la pistola alla testa mentre si fanno fare pompini, uomini che chiedono pratiche disumane e pericolose, che si eccitano all’idea di stuprare una minorenne, che ti ordinano: “Chiamami papà”, uomini sposati che sfogano le loro frustrazioni e il loro odio contro le donne.

Perché avete il coraggio di pensare che per noi precarie o disoccupate senza alternative la prostituzione sia un lavoro non solo normale ma addirittura con molti vantaggi con cui sopravvivere?

Adesso dovete ascoltarci: siamo stanche della vostra ipocrisia, stanche della vostra doppia morale, della violenza con cui pensate di continuare ad ignorarci!

La precarietà, la globalizzazione, l’immigrazione non sono piaghe sociali che si risolvono vendendo le donne sul mercato della schiavitù neo-liberista: non avete nessun alibi di fronte alla nostre richieste!

Lo Stato deve garantire alle nostre sorelle immigrate costrette a prostituirsi per sopravvivere permesso di soggiorno, programmi di formazione e sanità gratuita, e a tutte noi lavoro.

Non pensate di poterci escludere ancora una volta mentre fate leggi sui nostri corpi: la prostituzione dei nostri corpi ci riguarda e mai permetteremo a voi di venderli per i vostri bisogni, i vostri profitti, la perpetuazione violenta dei vostri privilegi.

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2 risposte

  1. Agosto 11, 2015

    […] Il movimento internazionale delle sopravvissute, attiviste che sono state nell’industria del sesso, come SPACE International, Sex Trafficking Survivors United, Survivors for Solutions​ e molte altre ancora con le quali collaboriamo (per la lista dei firmatari si veda qui: https://www.change.org/p/amnesty-international-vote-no-to-decriminalizing-pimps-brothel-owners-and-buyers-of-sex) sostiene il modello nordico, l’unico che non criminalizza le persone nella prostituzione ma colpisce chi sfrutta, violenta e troppo spesso uccide le persone prostituite ovvero trafficanti, sfruttatori, proprietari di bordelli e compratori. Vi scriviamo per esprimere il nostro profondo dissenso nei confronti del documento “Linee guida sul sex work” che rappresenta un vero e proprio insulto alle donne che hanno vissuto la realtà violenta della prostituzione, a tutte quelle che sono ancora costrette a subire gli abusi di papponi e compratori di sesso, alle donne tutte, sopratutto le precarie, le disoccupate, come molte di noi, quelle che a causa della violenza economica si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità e sono perciò esposte allo sfruttamento sessuale (https://www.resistenzafemminista.it/femministe-precarie-vs-sistema-prostituente/). […]

  2. Settembre 15, 2015

    […] se non si eliminano le condizioni di svantaggio economico-sociale come si può parlare di scelta? Come donne precarie e disoccupate che hanno subito ricatti sessuali non accettiamo la logica neoliberista per cui nella nostra […]