Cantiamo più forte: la risposta a chi ha tentato di zittirci l’8 marzo

Questo collage di voci di donne è il risultato di un incontro che ci ha visto unite contro il tentativo di zittirci l’8 marzo a Firenze come a Parigi. Nel 2017 un attacco analogo era accaduto ad alcune di noi alla Casa Internazionale delle donne di Roma in occasione della presentazione del libro di Rachel Moran “Stupro a pagamento”. Paola, Clara, Leila, Francesca, Ilaria, Chiara, Cheyenne, Yagmur si raccontano: non staremo zitte e buone perché noi cantiamo più forte! 

Paola Pieri:

Sull’aggressione subita l’8 marzo a Firenze, in piazza Santissima Annunziata

Sono passati alcuni giorni dall’accaduto, e non ho scritto ancora niente, se non alcuni commenti e osservazioni condivise con amiche, o su pagine dove se ne è parlato.
Il dibattito si è aperto. E questo è un bene. C’è stato un certo passaparola. Sono e siamo state contattate da donne che in solidarietà hanno deciso di fare video e denunce e post. O anche solo comunicarci la propria vicinanza. E questo non solo fa piacere, perché il vissuto, sinceramente per le mie figlie e per me, come per tutte noi, è stato quello di una violenza subita. In quanto donne. Con modalità da branco. Proprio dove meno una se lo aspetterebbe.

Noi non siamo andate in piazza per noi stesse. Eravamo lì per tutte le amiche e conoscenti che non potevano esserci per molti motivi. Per le nostre madri, nonne, sorelle, figlie. Perché crediamo che sia un po’ come la staffetta. Non ci si deve fermare. Si deve portarla avanti. Sempre. Nonostante tutto. Ora più che mai. Questa lotta. Questo lavoro quotidiano fatto di autoanalisi, studio, confronto, decostruzione, impegno, ascolto, ricerca, riflessione e meditazione.

Ci sono stati troppi anni di silenzio o quasi, sul tema del femminile e del materno.
Urge rifare il punto. Riprendere il filo. Alzare il tiro.
E la politica, ad oggi, non ascolta e non porta avanti in nessuna formazione o partito, questo tema. C’è uno scollamento immane tra realtà delle donne e politica.
Tanto che le donne sono esse stesse inconsapevoli di quanto ancora ci sia da lavorare.
E di quanto il nostro lavoro in questa direzione, sia intrinseco e vitale per una sana e necessaria evoluzione delle società, per il futuro dei nostri figli e figlie e del pianeta tutto.
Serve un risveglio profondo delle donne. Una critica e autocritica. Serve che ci riprendiamo la nostra Autorevolezza.
A partire da noi. Dal femminile. Dal materno.
Un mondo a misura di maschio che da secoli ci ha escluse. È un mondo a metà.
Ma con grande fatica mi ritrovo a scrivere. Ci siamo così abituate a non esserci. A non avere valore. Devo impormelo.
Ecco una breve descrizione di quanto accaduto. L’otto marzo del 2021 in piazza Santissima Annunziata, per la festa della donna.

Alla fine, non essendo zona rossa, decido di partecipare al piccolo presidio che avevamo pensato di fare con due compagne che come me collaborano con diversi gruppi di donne, attiviste e madri. Vengono anche le mie figlie.
Mi piacerebbe raccontare di più su ciò che ci ha spinte, tutte, ad andare, ognuna con storie, percorsi, età, diverse. In comune la vita, l’impegno e la solidarietà sul tema del femminile e del materno, la base, riteniamo, su cui si fonda la nostra, come ogni società. Da secoli sottorappresentata e non riconosciuta da politiche e culture misogine e capitaliste, fondate sulla negazione, sulla violenza e sulla guerra. Che mangiano sulla nostra pelle sfruttando il nostro lavoro di cura, così come avviene con le risorse ambientali,….. Senza restituire, niente, senza amore né senso di responsabilità. Mettendo a rischio il futuro dei nostri figli e del pianeta.

Va detto che non è facile per le donne, tante donne, scendere in piazza, tanto meno in questo periodo, soprattutto se implicate in storie di violenza. E decidiamo di farlo anche per loro.

I nostri cartelli ci rappresentano:
“prostituzione = stupro a pagamento = misoginia.
(una frase tratta dal titolo di un libro scritto da una sopravvissuta dal giro della prostituzione.)

Il secondo cartello dice “Questo sistema di morte, capitalista e patriarcale, basato sullo sfruttamento del lavoro delle donne, delle madri e delle risorse ambientali, NON CI RAPPRESENTA. #MaternaMente”

Il terzo dice “NO LEGGE 54”.
(Per chi non lo sapesse, la legge 54 del 2006, è in pratica il ripristino forzato delle patria potestà. Che applica anche nei casi di violenza domestica, pedofilia e abusi, la bigenitorialità. Per cui i bambini sono costretti a vivere e frequentare il genitore violento. Di solito il padre.)

Tre aspetti della stessa questione. Che cerco di spiegare anche nel testo scritto appunto con MaternaMente. Che avremmo voluto leggere in piazza.

L’idea è quella di fare un piccolo flashmob. Abbiamo i permessi e vista la pandemia e le restrizioni, ci basta presenziare. Leggere il documento. Fare un video e andare.

Arriviamo in piazza e vediamo che c’è la manifestazione organizzata da “non una di meno”. Della quale non sapevamo ovviamente niente. Ma la cosa per noi non è assolutamente un problema. Pur sapendo che non condividiamo alcuni temi, per l’8 marzo, la piazza è di tutte. Il confronto è sano. Stiamo poco. E va bene così.

Ci posizioniamo a lato, a rispettosa distanza, ma non troppo, perché non vogliamo fare neanche le separatiste appunto. Sotto la statua a cavallo di Ferdinando I De’ Medici. Sistemiamo i cartelli. Mia figlia incontra alcune amiche e va a parlare con loro, mentre l’altra resta lì con me.

A quel punto, mentre stavo sistemando e parlando con qualcuno che voleva sapere chi eravamo, cose così, sento in sottofondo e intravedo, un trenino di persone che si stacca “dall’assembramento” centrale e passa di fronte al nostro piccolissimo presidio mentre un uomo col volto coperto da una maschera da cane esce dal trenino e comincia ad insultarci, dirigendosi verso di noi urlando e sputacchiando, con un bicchiere di birra in mano e visibilmente alticcio.

Urla, ci aggredisce verbalmente, facendo una scenata come per attirare l’attenzione dei partecipanti. Sembrava una scena tipo da teatro. Anzi alla Capitol City. E mentre lui sbraita in faccia alle mie amiche e a mia figlia, il trenino si sfalda e cambiando direzione si dirige verso di noi. In quel momento, ero girata un po’ di spalle e vedo tutta la scena leggermente dal di fuori appunto. Le mie amiche e mia figlia si trovano circondate e schiacciate dal muro di voci urlanti che coprivano le loro. Ma senza indietreggiare fronteggiano testa di cane e le sue ancelle. Che gli facevano eco. Eco. Eco….Una scena assurda, surreale, incivile, squallida. Ma anche ridicola. Questa la prima impressione.

Subito mi avvicino cercando di decifrare nel frastuono le accuse e le minacce a noi rivolte. Anche nel tentativo di argomentare e placare gli animi. Ce l’avevano col cartello sulla prostituzione. Ma niente. Lui aveva gli occhi spiritati, manco mi vedeva. Vociava solo per vociare. Tiro fuori allora il cellulare perché stava prendendo una brutta piega, e noi sappiamo di cosa parliamo, infatti si è subito ripreso allontanandosi leggermente. Ci siamo trovate ognuna a cercare di fronteggiare un gruppo di persone. Che ripetevano a macchinetta sempre la stessa cosa. “se non sei una sex worker non puoi parlare” “lui è una sex worker tu no”. E lui “io sono una puttana e mi piace vendermi. Preferisco vendermi per 400 euro piuttosto che andare a lavorare per pochi euro all’ora”, “quel cartello mi offende”.

Basta. In due ore, solo questo. Senza una argomentazione, senza ascoltare i tomi di ragionamento, le nostre voci, i secoli di storia, che i nostri corpi, in quanto tali rappresentavano lì, in quella piazza, per l’8 marzo….niente…mia figlia non parla, ma riprende. Abbiamo video e riprese e immagini. A testimoniare. L’altra figlia, guarda attonita la scena dal di fuori. E si allontana. Non ce la fa. Oppure avrebbe messo le mani addosso all’uomo cane. Meglio così, dico io.

Ora. Tutto questo è inaccettabile. Di per sé.
E lo è ancora di più per la modalità da branco.
Perpetrata da un uomo. Che si fa scudo delle nudm.
Penso e pensiamo che la prostituzione sia una delle forme di controllo e potere e umiliazione e devastazione sulle donne e sulle bambine, più terribili e schifose che ci siano e ci sono state per secoli e millenni. Che la mercificazione di donne, ragazze e bambine, sia una ignobile violenza e che un sano femminismo non possa che considerarla tale.

Non voglio esprimermi con frasi fatte o altro…Ci sonno donne che hanno scritto, testimoniato, ci sono libri, video, documenti e statistiche. Ne ho lette a bizzeffe. Ho conosciuto e lavorato personalmente con ragazze nigeriane vittime di povertà, ignoranza, solitudine, abbandono, prima che di tratta/prostituzione. E penso che le cose siano complesse. Ma semplici.

Le violente non siamo noi.
La violenza è agita dagli uomini.
Nella stragrande maggioranza dei casi. Da secoli.
Come si è dimostrando.
Punto.

L’otto marzo le donne scendono in piazza. A nome delle donne.
Punto.

Questo attacco che noi abbiamo subito è insensato e sintomatico. E’ follia di questa società dove si è perso il senso, la solidarietà, la lucidità. Dove non si studia, non si capisce, non ci si pone delle domande. Dove siamo abituate-i ai negazionismi e alla normalizzazione di tutto. Perché se vuoi tu donna parlare, o sei negata, o sei attaccata, oppure, come con gli pseudo-femminismi di potere, sei normalizzata. Ossia rientri in tutte quelle “diversità” che il sistema inscatola per gestire e mangiarci sopra. In cambio di briciole di apparente “potere”. E le tue difficoltà dovute a questo sistema, sono solo occasione di investimento per chi ci mangia sopra. Possiamo stare qui fino a dopodomani a fare esempi e esempi di quanto dico. E diciamo.

Ma la donna, il sesso femminile, non è una minoranza. È la parte fondamentale del genere umano tutto.

Nei libri di scuola le donne non ci sono. Non sono studiate in medicina. Nel mondo sono discriminate, escluse, uccise e tutto il peggio che il genere umano maschile è in grado di esprimere.

E credo che a prescindere da cosa ci fosse scritto su quel cartello, il fatto accaduto sia una cosa inaccettabile. Violenta. Non democratica. Non certo femminista. Vigliacca per evidenti motivi. Una intimidazione bella e buona.
Questo hanno trasmesso alle ragazze e ragazzine presenti le responsabili delle nudm. Le quali in tutto ciò, sono venute da me, in mezzo all’attacco che stavamo subendo a intimarci di andarcene perchè la piazza era loro. Mentre delle ragazzine strappavano il nostro cartello.

Lo hanno fatto a pezzi.
E mi domando. Lo hanno fatto convinte di aver fatto un servizio alle donne tutte o a quell’uomo che parlava x sé stesso e pochi-e altri-e? Stavano portando la voce del 99,9 per cento delle loro sorelle e madri che in tutto il mondo sono vittime di prostituzione e che subiscono ciò da millenni, o quella di un super ego maschile in cerca solo di attenzioni narcisistiche?

Si. Ho risposto che questo era un comportamento di tipo fascista. Quel fascismo che è assolutamente trasversale quando si parla di donne. E che la piazza è nostra quanto loro. Vorrei anche vedere.
Abbiamo anche ricevuto solidarietà sul web e non solo. Molti per timore di non esporsi, ce l’hanno data privatamente. Altri si ostinano a non voler capire o a non prendere posizione. Forse la cosa peggiore. Abbiamo saputo che lo stesso è successo in altre città.

Quello che posso dire è che tutto questo è stato devastante. Cattivo. Ingiustificabile.
Che abbiamo tutte capito che le nudm hanno un problema grosso. Chi sono le cosiddette “magniFiche”. Le Ombre rosse. Collegati con movimenti pro-prostituzione e appoggiati da tutta la politica, comprese le cosiddette sinistre.
Un giorno di questi faremo un bel lavoro dove si metteranno tutti pezzetti del puzzle insieme. Così da rendere il quadro leggibile a tutte.

Le mie figlie hanno subito una violenza inaccettabile! Vergogna.
Ma anche un esempio di cosa non sia femminismo, democrazia, confronto, sorellanza….parole di cui si riempiono la bocca tante e tante donne e ragazze…unite in realtà non da un vincolo alto e universale, ma solo dalla convenienza e dalla paura di perdere un posto sotto l’ombra del maschio. E dimentiche di sé stesse. Pronte a vendere le loro stesse sorelle in cambio di un buffetto sulla guancia.

C’erano altre ragazze e donne invece, che si sono sentite intimidite, offese e violate dalla brutalità e dalla volgarità dell’attacco. Che appena si sono calmate le acque, i coccodrilli erano sazi, come gli stupratori dopo lo stupro, si sono avvicinate e ci hanno raccontato le loro situazioni disperate. Chiedendoci aiuto…

Non una di meno….purchè stiamo zitte e buone!? No grazie.

Clara: 

Mia madre mi aveva detto che sarebbe stato un semplice diretto e simbolico flashmob.
Lei e altre due donne volevano leggere una lettera in piazza santissima Annunziata l’otto marzo che metteva a confronto lo sfruttamento della donna, con lo sfruttamento delle terre, e tanti altri punti che affrontavano i temi ‘patriarcato’ ‘capitalismo’ ‘mercificazione’…
Ho deciso di partecipare anch’io, mi piaceva che fosse qualcosa di chiaro, diretto e semplice per noi, e per chi avremo incontrato.
E niente ci siamo ritrovate aggredite da un intero presidio delle NUDM, decine e decine di ragazze e ragazzi ci hanno trattenuto per 3 ore, dandoci l’opportunità di presentarci e leggere la lettera solo alla fine.
Purtroppo non sono sono riuscita a dire molto lì per lì, ho dato il mio appoggio con le riprese e la mia presenza… essendo sorda da un orecchio in quel casino di urla confondevo tutti i suoni e non riuscivo a seguire un discorso. Però i miei occhi erano presenti e ho visto tutto, ho visto come erano aggressivi anche solo nel loro modo di porsi, ho visto come tutta la folla ha seguito l’uomo mascherato da cane, prima delle sue aggressioni nessuno aveva dato attenzione ai nostri cartelli, ho visto lo sguardo pieno di odio negli occhi delle ragazze e dei ragazzi, ma anche pieno di incertezze, non sapevano quello che stavano dicendo, ed è così, perché ho anche visto come si sono guardati tra di loro nel momento in cui mia madre ha detto: “le donne che non si prostituiscono per libera scelta superano il 90% ”  sono rimasti tanto colpiti che si sono messi a cercare su internet per controllare se diceva la verità… per non parlare di come la francesca li ha messi con le spalle al muro citanto nomi di più autori e autrici che hanno scritto e testimoniato sull’argomento, ho visto la sicurezza e la determinazione di leila che ha permesso di affrontare la situazione con lucidità. Insomma mi sono sentita molto inutile, quando ci hanno strappato il cartello ho anche iniziato a tremare, lo hanno fatto sotto i miei occhi, probabilmente ero troppo presa ad ascoltare cosa stavano dicendo a mia madre (le stavano “chiedendo” di mostrare il permesso di stare in piazza). Ci volevano sbattere fuori, dicendo che la piazza era loro. Delle Nudm.
Alla fine credo che se è accaduta una simile aggressione un motivo ci dev’essere… forse più di uno… e va affrontato il prima possibile. Questo tema della violenza sulle donne, sulla mercificazione dei corpi… sulla mercificazione della nostra stessa vita, alienandoci dal valore reale delle cose e da noi stessi, ci impedisce di fare scelte un minimo consapevoli. E se perdi il valore reale delle cose e delle persone, perdi la misura e il limite dentro cui stare per relazionarsi. Questo è quello che è accaduto.
Queste tre donne mi hanno fatto capire quanto sia importante per noi giovani informarsi, leggere ed ascoltare, per poter affrontare riflessioni ed argomentazioni con noi stessi e con gli altri in modo sano e utile.
Ilaria: 

Ascoltare Clara, leggere le sue parole con attenzione, a me provoca un senso esilarante di sollievo: allora la relazione intergenerazionale è capace di ostacolare i meccanismi di induzione al patriarcato che vorrebbero insegnare alle ragazze che non bisogna vedere quello che vediamo, sapere quello che sappiamo, perché altrimenti non saremo accettate, peggio ancora: correremo dei rischi. Rischio di violenza. Non è quello che succede ogni volta che una donna osa non stare alle cosiddette regole – regole che le donne non hanno contribuito a scrivere? La risposta, come in questo caso, è la violenza.

“I miei occhi erano presenti e ho visto tutto, ho visto come erano aggressivi anche solo nel loro modo di porsi, ho visto come tutta la folla ha seguito l’uomo mascherato da cane, prima delle sue aggressioni nessuno aveva dato attenzione ai nostri cartelli, ho visto lo sguardo pieno di odio negli occhi delle ragazze e dei ragazzi, ma anche pieno di incertezze”: il nodo è qui. Ho visto e ora dico quello che ho visto. Mi sono permessa di vederlo e ora di raccontarlo per quello che è stato.

Quando ci siamo sentite e viste su zoom e ne abbiamo parlato, ho avvertito lo sgomento soprattutto per l’odio percepito nello sguardo di altre ragazze, perché se l’8 marzo delle ragazze si mettono al seguito di un uomo con una maschera bdsm che urla ad altre donne e ragazze che non possono stare in una piazza pubblica e parlare, a partire da sé, della violenza maschile contro le donne, una giovane donna giustamente si chiede cosa è andato male. Si sente tradita dalle altre, immagino, che poi è esattamente quella divisione tra donne che tanto fa comodo perché niente cambi per tutte le donne. Se la violenza arriva da altre donne, se sono donne che l’8 marzo ti strappano i cartelli con le tue parole e cercano di impedirti di parlare, partecipando a una folla che ti circonda in modo minaccioso, qualcosa è andato molto male. Nessuna crede che superare quella divisione significhi assenza di differenze o di conflitto, al contrario. Ma l’8 marzo a Firenze , e non solo a Firenze – è accaduto anche in Francia e in Spagna, probabilmente anche altrove – si è reso evidente che dire certe cose è pericoloso. Sembra una lezione, per quelle presenti e per le altre. Siccome continuiamo a parlare, allora arriva la violenza. Ma non è da secoli che contestiamo la sottrazione di parola e di spazio pubblico? Ora si chiama femminismo attuarla contro donne che parlano?

“Se perdi il valore reale delle cose e delle persone, perdi la misura e il limite dentro cui stare per relazionarsi. Questo è quello che è accaduto”: la relazione con noi stesse è proprio la questione centrale. Non sapere quello che sai, non provare quello che provi, non dire quello che senti. Se non abbiamo una relazione consapevole con noi stesse non possiamo stare in relazione con nessuna. E’ la dissociazione programmatica che si insegna alle bambine e che, guarda caso, costituisce la reazione di sopravvivenza nella violenza estrema, nello stupro, in quello che si riconosce come tale (forse) e in quello che qualcuno avrebbe piacere di continuare a mascherare e magari chiamare lavoro. La prostituzione è la scuola di violenza contro le donne, è dove gli uomini imparano mentalità e tecniche di controllo, dove le donne sono costrette a dissociarsi per sopravvivere – quando non vengono distrutte fisicamente in vario modo. E’ evidente che chi lavora per mascherare la natura e la violenza della prostituzione e travisa le parole e le intenzioni delle donne che ne parlano non sta lavorando per la libertà delle donne, ma per il mantenimento e il peggioramento della condizione di tutte le donne.

Le donne che a Firenze sono state attaccate per avere preso parola non hanno avuto paura, e questo è un grande insegnamento per tutte. E’ chi cerca di farle tacere che ha paura di quello che risulta evidente se le donne sono libere di vedere quello che vedono e di dirlo. Parlarci tra noi e con le giovani è la strada, e la paura che facciamo ce lo conferma.

Leila:

Erano tanti, diversi uomini, al tipo vestito da cane gli ho detto per provocazione “anch’io sono una sex worker adesso come si fa?”. “Ma tu stai offendendo milioni di donne togliete quel cartello”: lo diceva gridando e sputando, non aveva la mascherina, era talmente incazzato che uscivano gli sputi dalla maschera. Io ho notato che poi si sono avvicinate delle ragazze che avranno avuto neanche 30 anni e  che dicevano di essere sex worker  e delle adolescenti, ci hanno gridato di andare via, di togliere il cartello, quello che mi ha colpito è che hanno detto “la piazza è trasfemminista dovete andare via”. Allora io mi sono arrabbiata e ho detto “questa piazza è di tutti, ho il diritto di parlare come parla lui, sono libera di manifestare come voi ”. Le cape stavano nelle seconde file e hanno mandato questi tipi che erano completamente fuori di testa e ragazzini adolescenti per poterci intimidire, aggredire e impedire di leggere i nostri comunicati e di manifestare. Questo ostracismo è durato fino alla fine, fino a quando dopo che lui ha preso il megafono e ha fatto la scena teatrale, le due cape sono venute dicendo  “noi abbiamo un programma fisso, non potete stare qua”. Allora a quel punto sentendomi aggredita e quando mi sento aggredita mi difendo, è un reazione giusta che sono riuscita a sviluppare dopo le violenze che ho subito, non voglio più subire nessun tipo di violenza, quindi sono fiera della mia risposta in difesa sia mia che delle mie amiche.

Erano tutti contro di noi, a quel punto ho detto “voi avete il programma fisso non ci importa, noi parliamo quanto vogliamo noi e di quello che vogliamo noi”, poi c’è stato un gran casino, ci sono stati dei movimenti, brutti, violenti sulla destra e ho capito che avevano strappato il nostro cartellone, quello che dava fastidio perché secondo loro era offensivo. Lo hanno tirato, era attaccato con lo scotch.

Clara: si sono buttati di getto a strappare il cartello attaccato. Ho ripreso la scena mentre strappavano i cartelli.

Leila: Tutta questa violenza, intolleranza, loro che si dichiarano inclusivi, io sono una vittima sopravvissuta e mi aggredisci in questo modo, si dovrebbero proprio vergognare! A un certo punto quando i toni erano altissimi, eravamo proprio assediate, a un certo punto ho detto “cosa volete fare menarci? menateci tanto le sappiamo prendere!”

Paola: Leila si è tolta il giubbotto e lo zaino e ha detto “allora sono qui” “ sono pronta” “ mi vuoi menare?  Io ci sono e allora?”

Leila: Non ce l’hanno fatta a metterci a tacere, io ho subito un trauma, ma mi sono resa conto in quella situazione di aver avuto la forza di reagire e per me è stato un momento importante, perché ho rivissuto quella violenza, quel non ascolto, quell’intimidazione che ho vissuto per tanti anni. La prima giornata ero euforica, contentissima che ero riuscita a reagire, ma il giorno dopo sono stata malissimo fisicamente, avevo mal di testa, poi come accade alle vittime di violenza alcuni momenti di quello che è successo io non li ricordo,  non c’è l’ho molto chiaro, ci hanno fatto molto male, c’è stata una riattivazione del trauma, un rivivere il trauma della violenza subita.

Paola:  Ci vociavano addosso, tutti contro di noi, avevamo le spalle alla statua e ognuna di noi tre aveva addosso un gruppo che gli vociava contro, la sensazione era quella di uno stupro di gruppo, questo è quello che ho sentito dentro di me e so di cosa parlo quando dico stupro, la sensazione è quella e non è un caso che non abbia scritto nulla per giorni, sto ancora male, poi è venuta fuori l’incazzatura e alla fine il dolore profondo.

Francesca:

Queste persone che ci hanno attaccato alla manifestazione NUDM erano anche di Ombre rosse, l’uomo con la maschera di cane sicuramente lo era. Dopo la casa della Magnifica ha fatto uscire su facebook un comunicato totalmente mistificatorio oltre che aggressivo, dove era scritto che noi abbiamo usato “insulti transfobici, terfobici”, oltre a descriverci come losche figure… e questo mi ha fatto anche un po’ ridere, ha fatto ridere chiunque mi conosca. Nel comunicato si contraddicono in maniera evidente, dicono di non aver fatto violenza però ammettono di aver strappato i nostri cartelli, firmato Ombre Rosse e NUDM. L’uomo con la maschera di cane non credo proprio fosse un sex worker e comunque quello che sceglie di fare lui non è nemmeno paragonabile a quello che subiscono le prostitute. Diceva che si fa pagare 400 euro a prestazione.

Leila: lui diceva che non voleva stare in fabbrica, che si sentiva empowered, molto rafforzato nella sua identità, che nessuno ha capito quale fosse…

Francesca: Hanno detto che abbiamo usato insulti, mentre è stato lui a venire da me a dire: “io sono una sex worker”. Io ho risposto “vorrai dire che sei un lavoratore del sesso casomai”, mi sembrava un uomo, era evidente che lo fosse. Allora lui ha cominciato ad urlare “sei una transfobica, qui c’è una transfobica”. Però dopo parlava di se stesso al maschile. Urlava: “Non conosci il mio genere? Io sono un fluido”. Questi sono donne solo quando fanno le puttane, nella vita normale sono uomini. Tra l’altro mi è stato riferito da alcune amiche di un centro sociale chi è lui, mi hanno detto che ha modi molto prevaricatori con le ragazze.

Oggi sono stata molto male, ho pianto, voglio dire a noi è successo questa cosa e siamo grandi, sappiamo comunque di avere delle persone che ci sostengono e che sono dalla nostra parte, però se per noi è così e io sono stata contenta per la tanta solidarietà ricevuta, dalle persone della mia cerchia l’ho ricevuta in privato, è come se la gente avesse paura ad esporsi perchè potresti passare per la moralista, la bigotta, tutto quello che dicono loro. Ma  cosa che mi ha fatto più male ieri  in realtà non è tanto questo tizio, ma più lo sguardo di queste ragazzine. Avevano uno sguardo carico di odio come se fossimo delle criminali, è la cosa che mi ha fatto più male, come se fossimo il nemico e penso se una ragazzina della loro età pensasse umanamente, moralmente che la prostituzione è una merda, come fa? Noi siamo grandi, adulte abbiamo tante femministe dietro che condividono ciò che pensiamo, ma delle ragazze più giovani che non sono informate più di tanto che sono sole addio, le buttano fuori  dal movimento.

La mia risposta che è stata cancellata sotto il comunicato della Magnifica è stata questa:

“Non sapevo se rispondere a questo comunicato profondamente mistificatore. Ci sono i video verificabili ed io non ho nulla da nascondere. Non ho offeso nessuno. Nel comunicato è scritto che abbiamo dato delle fasce a loro. E questo è successo perché alcune sono venute da noi a dirci di andarcene, che la piazza era loro e che avrebbero chiamato la polizia e una di noi ha risposto dicendo che sono fasciste. Quando una di loro mi ha chiesto l’autorizzazione io le ho chiesto invece se fosse una poliziotta. Mi sono sgolata a dire che ognuno può fare quello che vuole, la libera scelta ok, ma la maggior parte delle donne nella prostituzione non lo sceglie e bisogna parlare anche di loro, anzi soprattutto di loro che non possono essere in piazza perché altrimenti il magnaccia le riempirebbe di botte. Ho spiegato che la frase riportata nel cartello è di una sopravvissuta alla prostituzione. Mi è stato detto più volte che io non posso parlare perché non sono una prostituta, che sono una bianca borghese (e questo mi è stato detto veramente di continuo), che sono una moralista, tutto questo senza conoscermi. Mi è stato chiesto se voto pd, mi è stato detto che “stiamo male perché vogliamo eliminare il mestiere più antico del mondo” al che ho risposto che infatti è il dominio più vecchio del mondo, che le prostitute e lo spiega l’etimologia stessa della parola erano delle schiave. Mi è stato detto che sono a favore del matrimonio, è stata una bella scoperta che non sapevo e le ringrazio per avermi illuminata. Mi è stato chiesto come io possa coniugare l’anticapitalismo con l’abolizione della prostituzione. Per me la capitalizzazione del corpo è la massima espressione del capitalismo, infatti sono contraria anche alla vendita di sangue e organi, non perché sono contro alla libertà individuale ma perché inevitabilmente la classi meno privilegiate sarebbero quelle a rimetterci. Ho detto loro che non sono socialiste ma liberiste (avrei dovuto dire neoliberiste). Per me è fondamentale inserire la prostituzione nel contesto in cui viviamo, in cui ci sono squilibri di classe e squilibri tra i sessi, non a caso la prostituzione è un fenomeno che riguarda in massima parte le donne dove gli uomini sono in massima parte i compratori. Ho spiegato perché anche se non sono una prostituta la questione mi riguarda, sono una donna, le prostitute sono mie sorelle ed ho sofferto molto a leggere le loro testimonianze, come ho sofferto a leggere cosa i clienti scrivono di loro, di come le trattano, di cosa le fanno. Nei paesi dove sono state riaperte le case chiuse sono aumentate le violenze di genere (stupri, femminicidi, violenze domestiche, molestie per strada). Il fatto che io sia una “privilegiata” perché ho un compagno meraviglioso che mi sostiene non significa che non debba lottare per la condizione di noi donne e non me ne vergogno affatto. Tante femministe storiche (a cui non mi voglio certamente paragonare) che hanno cambiato la storia delle donne erano privilegiate e borghesi. Sono stata accusata di aver detto frasi transfobiche e di essere una terf, quando il discorso non ha mai toccato l’argomento trans che non vedo cosa c’entrasse col cartello. Questo perché quell’uomo con la maschera di cane che è venuto per primo ad attaccarmi ha detto riferendosi a se stesso di essere una lavoratrice del sesso, a cui ho risposto che avrei detto che fosse un lavoratore. Subito dopo però parlava di lui al maschile. Non era una donna trans, era un uomo e secondo me neanche prostituto, viste le frasi che ha detto dopo cioè che preferisce darsi via per 400euro invece che lavorare per 6euro l’ora in fabbrica. Mi domando a queste cifre quale sia la domanda visto che le ragazze in strada se prendono 40 euro a rapporto completo è già grassa (e con pappone appresso). Ho spiegato perché sono abolizionista cioè per il fatto che è il modello più efficace per contrastare la tratta, la schiavitù più vergognosa e invisibile che abbiamo ai nostri giorni. La prostituzione è un tema profondo, femminile e femminista che non si può liquidare a slogan “sex work is work” per zittire cosa c’è da dire su questo, nemmeno nei paesi dove vi è la regolamentazione la prostituzione è un lavoro come un altro, non è possibile che lo sia per tante ragioni. Abbiamo ricevuto solidarietà da molte donne, alcune più grandi anche di nudm e questo l’ho apprezzato. Il nemico non sono io. Ci tenevo almeno a rendere chiara la mia posizione su tutto questo.”

A questa risposta ho allegato articoli, tesi e fonti varie per rendere ancora più chiara la mia posizione.

Cheyenne:

Le radici della paura si piantano nella terra di ciò che non capiamo, e le persone che hanno accerchiato le nostre sorelle, nel  bel mezzo di una piazza il giorno dell’8 marzo sono persone nate in quella terra, venute fuori come spine da quelle radici che la società continua a non estirpare.

Essere attaccate e aggredite nel giorno dell’8 marzo sembra fare così scalpore solo perché si pensa che quel giorno si metta in atto una tregua implicita tra il patriarcato e le donne, mentre invece è solo un giorno come un altro per cercare di tagliare le piante del vicino, perché non ha piantato quelle che piacciono a noi, e questo, nel femminismo moderno, accade ogni giorno. Associazioni che si dichiarano a favore delle donne, dell’inclusione, che si dicono paladine del rispetto sono quelle che poi dietro alla maschera del ridicolo attaccano un gruppo di tre, quattro donne che sono scese in piazza a dire la loro, senza insultare nessuno né aggredire, solo per dire il loro pensiero.

Per raccontare la loro storia in qualche modo.

Hanno tentato di silenziare la loro voce, accerchiandole, gridando, ma nessuna si è impaurita, anzi, le nostre sorelle hanno fatto trovare delle degne avversarie davanti a questo branco aggressivo, confuso dai suoi stessi slogan.

Hanno continuato a tenere alta la testa con le armi delle parole, del dialogo, della logica, del vissuto, che spiana di solito qualsiasi discussione accesa. La cosa bella e triste è che si è riaccesa in loro una spia, che loro avevano spento, quella dell’adrenalina che ti permette di salvarti dalle ingiurie, dai calci, dai pugni, dalle urla. Sistemi di difesa che la maggior parte delle sopravvissute alle violenze vuole dimenticare, spegnere, non dover usare più, almeno che non si aspetta di dover utilizzare in una piazza piena di cosiddette femministe.

Nelle piazze di solito ci si aspetta di trovare persone, individui, che possono anche e devono avere pensieri divergenti dai tuoi, ma che abbiano come base comune il rispetto verso gli altri esseri umani, e credo che a prescindere dall’identità di genere, dall’orientamento politico, sessuale, religioso, il rispetto sia un valore universale che non va mai dimenticato, perché dove non cresce il rispetto ci sarà sempre guerra.

“Io non giudico te, io giudico gli uomini”

Chiara: 

Conoscere Paola Clara Leila e Francesca anche se solo attraverso il video, ascoltare il racconto di come sono state aggredite proprio nel giorno internazionale delle donne è stato un momento di grande vicinanza emotiva.

Quando le donne si aprono e condividono il racconto delle violenze subite il dolore si trasforma in forza, la consapevolezza di non essere sola ti trasmette euforia che cancella il silenzio della vergogna, l’isolamento, il sentirti abbandonata e persa. La rabbia diventa energia creativa, desiderio di lottare insieme contro la violenza maschile perché nessuna donna e bambina debba più vivere il tentativo di annientamento del proprio corpo e della propria identità. Di fronte alle numerose conquiste delle donne il patriarcato cerca di imporre ogni volta il suo dominio insegnando ad ogni donna che il suo essere al mondo è minacciato, il suo corpo non le appartiene, che se disobbedisce pagherà con la distruzione fisica e simbolica. La risposta non violenta del femminismo nella sua richiesta di giustizia si fonda sulla presa di parola delle donne che rompe il silenzio imposto dal patriarcato e mette in atto il cambiamento. È la nostra parola collettiva che ci libera. Ed è per questo che tentano di silenziarci, perché un movimento di donne liberate mina alle radici il dominio maschile sovvertendo l’ordine patriarcale.

L’identificazione con le ragazze è stata immediata quando ho letto il loro post su Facebook su quello che era accaduto a Firenze, da subito è nato in me il desiderio di abbracciarle per aver portato le parole rivoluzionarie di Rachel Moran, una donna grandissima che si batte per la liberazione di tutte noi, in una piazza e in un giorno simbolico dove avrebbero dovuto essere accolte da solidarietà e ascolto e che invece sono state al centro di un attacco violento. Attacco analogo a quello che ha coinvolto la stessa Rachel insieme ad alcune di noi durante la presentazione del suo libro a Roma. Le persone che gli hanno intimato di andarsene da una piazza pubblica, gridato in faccia e infine ridotto in pezzi il cartellone che riportava il titolo del libro di Rachel, prostituzione =stupro a pagamento, fanno parte dello stesso gruppo che ha aggredito una donna sopravvissuta alla prostituzione proprio mentre raccontava le violenze subite dagli stupratori a pagamento fin da quando aveva 15 anni ed era senza tetto. Un’irruzione violenta, disonesta che si è servita dell’inganno per entrare brutalmente e forzatamente in uno spazio di ascolto, Rachel lo ha definito uno “stupro simbolico”. Anche Paola ha parlato di “stupro di gruppo” per descrivere come si è sentita proprio per la dinamica di intimidazione, noi donne conosciamo bene la postura di chi con la voce e con il corpo  ci ricorda che può sopraffarci fisicamente e che se non abbassiamo la testa saremo punite. Leila ha reagito, ha mostrato la sua forza a chi voleva zittirla: “Tutta questa violenza, intolleranza, loro che si dichiarano inclusivi, io sono una vittima sopravvissuta e mi aggredisci in questo modo, si dovrebbero proprio vergognare! A un certo punto quando i toni erano altissimi, eravamo proprio assediate, a un certo punto ho detto “cosa volete fare menarci? menateci tanto le sappiamo prendere!” Come Leila so cosa vuol dire essere denigrata, aggredita, ridotta a cosa che ha non diritto di parlare, i cui confini corporei non esistono perché il tuo corpo ti viene strappato via. Ho ancora davanti agli occhi la scena dei due uomini che ci filmavano mentre nel panico cercavamo di fermare l’assalto a Rachel, gli abbiamo detto di smettere ma ci ridevano in faccia. Uno spazio protetto violato, i cartelli sbattuti in faccia a Rachel una sopravvissuta che veniva accusata di essere “violenta” nei volantini che venivano distribuiti al pubblico. Hanno minacciato di diffondere il filmato e metterci alla pubblica gogna, anch’io come Francesca ho pianto dopo l’incontro, come Leila ho avuto una risposta fisica al trauma sentendomi male il giorno successivo. Ero distrutta per Rachel, per me, per le mie compagne,  in un luogo simbolo del femminismo, La casa delle donne di Roma, essere aggredite per essere ricacciate di nuovo nel silenzio. Ma non ce l’hanno fatta, come Leila anche noi abbiamo reagito, scritto un nostro comunicato, ricevuta tanta solidarietà dei presenti e di chi nei giorni successivi ci ha scritto, ci ha aiutate a diffondere le parole di Rachel come hanno fatto queste donne coraggiose. Nel racconto di Francesca e Clara mi ha colpito il loro dolore per gli sguardi d’odio delle ragazze che sono accorse a dare sostegno ad un uomo che si scagliava con violenza contro le loro coetanee che stavano soltanto chiedendo giustizia contro chi ci stupra e ci ammazza. Conosco quegli sguardi e il senso di smarrimento che si prova quando altre donne ti trattano come una nemica. Ogni donna dovrebbe rispecchiarsi nell’altra, prendersi cura della sua vulnerabilità, abbiamo una storia di oppressione millenaria che ci unisce e solo riconoscendoci l’una responsabile dell’altra possiamo mettere fine alla violenza maschile. Quando le donne si raccontano però, com’è successo anche questa volta nonostante la pandemia e il distanziamento forzato, mettono al mondo un altro mondo: un mondo a misura di donna in cui il patriarcato trema.

Yağmur Uygarkızı

A Firenze, uno  si è messo un costume da cane, un crop top col buzzo di fuori  e ha parlato per le donne. Sostiene il kink ovvero il sadismo sessuale mascherato da gioco sessuale accettabile. Bene. Quali possono essere le rivendicazioni di un personaggio che si traveste da cane, celebra la tortura, la dominazione e la schiavitù? Mah, sicuramente l’integrità delle donne e la liberazione dal sistema di dominio maschile che è il patriarcato. Se vi siete perse qualche nesso logico, molto bene, vi annuncio che siete vive, senzienti e pure sveglie!

“Viva l’anarkink, Fuoco al patriarcato”, Firenze. (Fonte foto: Non Una Di Meno)

A Parigi, domenica 7 marzo, noi femministe ci siamo ritrovate nella più grande piazza politica, la Place de la République, una larghissima piazza rettangolare con in mezzo una grandissima statua stile torta nuziale. Molti assembramenti quel giorno: su un palcoscenico pare che ci siano stati interventi di qualità fatti da donne (ma io alle sorelle che mi hanno raccontato questo ho detto che forse parlavano di un’altra piazza, di un altro paese perché io non ho visto niente); da un lato della statua centrale c’era una protesta algerina, e da un altro (ed è qui la parte che interessa a noi), un gruppuscolo queer.

Domenica, si sa, si va al mercato. Ebbene, doveva esserci una promozione sulle uova perché ce ne siamo ricevute un bel pacco. Presto nel pomeriggio sulla statua si erano arrampicate le attiviste, fra cui delle sopravvissute della prostituzione, del Collettivo Abolizione Porno-Prostituzione (CAPP). Avevano decorato la Statua della Repubblica con slogan contro la prostituzione (“Prostituzione: dietro le volontarie, i papponi”, “Vogliamo vere soluzioni affinché le donne possano uscire dalla prostituzione”), inclusa la sua versione messa in scena, la pornografia (“La pornografia insegna lo stupro”), contro chi difende la prostituzione (“Se il tuo femminismo fa guadagnare i papponi, non è femminismo”) e soprattutto contro i prostitutori (“I clienti della prostituzione sono degli stupratori”). Un sole abbagliante splendeva sulla Repubblica, il cielo azzurrissimo, queste donne che hanno già sfidato il destino tirandosi fuori da una situazione che porta dritte alla morte appaiono trionfanti; queste donne sono un’opera d’arte. Altro che perfomance drag.

Dalle 2.45 in poi, il piccolo gruppo queer sedicente antifascista vestito interamente di nero (si sa, fa risaltare la mascherina) non solo si è allargato ma si è pure piazzato di fronte alle femministe sulla statua. Si è verificato il primo tentativo per rimpiazzarle e il primo lancio di uova. Aprono uno striscione con scritto “collettivo femminista antifascista contro l’islamofobia”. La tensione ormai è già scalata ed è più che palpabile. Aumentano gli slogan da entrambe le parti. Loro: “Solidarietà con le puttane del mondo intero”; come se l’insulto potesse essere segno di rispetto. Noi: “abolizione, abolizione, abolizione”.

Dopo ogni offensiva segue una ritirata da parte del gruppuscolo queer vestito di nero coi rangers (si sa, si sa, la tipico uniforme dell’antifascista). Sembrano insicure/i di sé. In un attimo una femminista dà un colpo da sotto ad un cartone di uova che una teneva in mano. In un altro ci becchiamo un volo di uova.

Colpisce il video di un lancio di uova su Marguerite Stern, l’iniziatrice del movimento street art contro i femminicidi. Non tanto secondo me per il confronto diretto con lei ma perché la presenza massiccia di uomini nel gruppo è evidente. Cosa dire? Possiamo partire proprio da quest’ultimo punto. Chi vuole vedere più uomini nelle proteste femministe non ha ancora ben chiaro chi sono gli oppositori politici delle donne. Come faccio a sapere io chi è l’uomo che cammina accanto a me? Come faccio a sapere se consuma ancora pornografia (sì), picchia la moglie (forse) o stupra a pagamento (possibile)? Perché noi donne non potremmo mai ritrovarci fra di noi, neanche per l’unico giorno all’anno a noi dedicato?

Del gruppo di domenica ho notato che quando volevano, gli uomini si nascondevano dietro le donne e quando volevano passavano all’offensiva: comandavano loro. L’uomo vestito da cane di Non Una di Meno (Ma Uno In Più) ha pur sempre preso la parola in piazza ad una manifestazione femminista. Come possiamo noi non accorgerci che stanno prendendo il  nostro posto?

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