Amelia Tiganus: La Rivolta delle Puttane

La Rivolta delle Puttane

Amelia Tiganus, attivista femminista vegana è nata a Galati, Romania, e attualmente vive nel Paese Basco, Spagna, luogo in cui è rinata dopo essere stata vittima di sfruttamento sessuale per 5 anni nell’industria del sesso in Spagna. Lavora al sito femminicidio.net un progetto sociale al quale partecipa dal 2015 e nel quale attualmente è coordinatrice della piattaforma relativa alla formazione online. Negli ultimi anni ha partecipato a più di un centinaio di conferenze, dibattiti e laboratori su tutto il territorio spagnolo e in Argentina. Tiganus precisa che non si può parlare di uguaglianza tra uomini e donne o di giustizia sociale fintanto che ci sarà una sola donna al mondo vittima di sfruttamento sessuale. Secondo Amelia, la tratta e la prostituzione si alimentano a vicenda e si integrano in una simbiosi perfetta. Lei stessa non era cosciente di essere vittima di tratta finché non ne ha preso coscienza anni dopo essere stata venduta sessualmente. La sua è una storia dura, coraggiosa ma piena di speranza. Questo discorso lo ha tenuto a Pamplona il 27 ottobre 2017 ed è stato pubblicato su Femminicidio.net (https://feminicidio.net/articulo/la-revuelta-las-putas)  

Buon pomeriggio a tutte!

  • Alle mie sorelle

Care sorelle puttane, mi rivolgo a voi e vi parlo perché non voglio e non devo parlare per tutte quante voi. Nessuna puttana dovrebbe parlare per tutte le altre. C’è gente che proclama ai quattro venti che dovete essere voi a dover parlare e a prendere decisioni. Un onere sproporzionato e iniquo per qualcosa che ricade non solo su noi puttane ma anche su tutte le altre donne. Quello che dovete sapere è che la vostra storia personale fa parte di un’enorme trama che scaraventa nella prostituzione migliaia, milioni di donne e bambine. Si tratta, dunque, di un problema sociale di difficile soluzione che si è aggravato con il neoliberalismo. Vorrei dirvi che qualcosa di mio è rimasto con voi per sempre e questo legame che ci unisce spero possa essere rafforzato.

Questa narrazione non sarebbe possibile se io non mi sentissi legata a voi. E se riesco a parlare e a tradurre in parole l’orrore, la violenza, la disumanizzazione è perché voi mi accompagnate nei miei ricordi.

La memoria può essere una ferita aperta che si cicatrizza con l’amore della riparazione. Questa narrazione per me è riparatrice ed è un ponte che getto (mi auguro) al fine di incontrare e aiutare altre donne come me, affinché insieme possiamo costruire una narrazione corale, quella della liberazione e della riparazione collettiva di noi stesse, poiché come ben dice la cara Sonia Sánchez: “Nessuna donna nasce per fare la puttana”.

Mi domando spesso se l’essere riuscita a uscire dalla prostituzione e a liberarmi da questa schiavitù mi allontanasse da voi. So soltanto che ho avuto semplicemente molta fortuna. La fortuna me l’ha data la possibilità che ho avuto di pensare e analizzare la mia vita in un contesto diverso. Ho avuto la fortuna di poter acquisire strumenti per tradurre in parole il mio vissuto e poterci riflettere sopra. Ho avuto la fortuna di vivere in un ambiente favorevole che, con molto tatto e molta pazienza, mi ha lasciato spazio per potermi incontrare di nuovo con me stessa. Ma questo non dovrebbe essere questione di fortuna. I diritti umani non dovrebbero essere come la lotteria.

Stiamo lottando affinché questa vulnerabilità costante dei diritti delle donne smetta di esistere.

Sono una privilegiata per vari motivi, ma principalmente perché ho la possibilità di poter pensare. Pensare mi sembra un atto di ribellione. Qualcosa di talmente umano come il poter pensare mi è stato strappato via – come è successo a molte donne – attraverso la violenza simbolica, la violenza psicologica, la violenza fisica, la violenza economica, la violenza sessuale, la violenza istituzionale, la violenza socioculturale. Le puttane sono il crocevia di tutte le violenze. Sono riuscita a risvegliarmi da quella sensazione di essere una morta in vita il giorno in cui ho scoperto che la mia storia non era qualcosa di personale, bensì la storia di molte donne; la storia delle donne che il patriarcato mette a disposizione degli uomini pubblicamente. E ho cominciato a pensare, a indagare, a trovare risposte, a perdere la paura e la vergogna e a sentirmi in obbligo sul piano etico di dover agire. Perché io sono potuta uscire da quel campo di concentramento che è la prostituzione, ma milioni di donne continuano a restarci, subendo la perdita d’identità, la tortura fisica e psicologica, la paura, l’ignoranza di sé, il silenzio, l’indifferenza, l’oblio e l’abbandono dello Stato prosseneta e della società complice.

  • Il bordello, il mio campo di concentramento.

 

Care sorelle puttane, ricordo quanto fosse difficile per me poter pensare all’interno del campo di concentramento. Avere tutti i sensi puntati sulla sopravvivenza non ti lascia spazio per pensare e quando ricordo me stessa nell’atto di prendere delle decisioni, mi invade e mi paralizza la paura, allo stesso modo in cui accadeva allora. Rabbrividisco al pensiero di noi che aspettavamo in fila il nostro turno per riscuotere il denaro che ci spettava dopo 12 ore di quello che l’industria del sesso chiama “lavoro”. Noi in fila in attesa del cambio delle lenzuola, noi in fila dirette alla sala-bar, noi in fila a parlare con i puttanieri, in fila aspettando il turno per poter mangiare, noi che stavamo in fila per entrare in una stanza con un puttaniere. Ancora ricordo l’odore del deodorante per ambienti (potrei giurare che compravano tutti la stessa marca e la stessa fragranza di deodorante), il fumo delle nostre sigarette, l’alcool, la cocaina, la musica alta e quelle canzoni d’amore che mettevamo con le monetine, i film porno che loro mettevano con le monetine, le luci rosse al neon …. Ricordo le nostre risate, i nostri pianti, i nostri litigi, le nostre piccole conversazioni e progetti per il futuro. Tutte, assolutamente tutte, sognavamo di abbandonare quella vita il più presto possibile. Come sono stati i cinque anni che ho passato all’interno degli oltre 40 bordelli in cui ho vissuto? Lo trasmetto con un’immagine, “un orologio senza lancette”. La schiavitù è una vita priva di cognizione del tempo. Quando è in atto un processo di disumanizzazione costante, la dissociazione e l’oblio sono necessari, sono di più, rappresentano un meccanismo di sopravvivenza nel campo di concentramento molto potente.

Immaginate di essere obbligate 24 ore su 24 a vedere film porno, a non dormire quando lo desiderate, a non mangiare quando volete voi, ad essere a comportarsi a seconda di ciò che richiedono i puttanieri, a indossare gli abiti che vogliono loro, ad avere un altro nome, a dormire nella stessa stanza dove per ore i puttanieri hanno fatto in modo che la ripetizione dell’atto sessuale si trasformi in una delle più brutali forme di tortura. Immaginate che il denaro che guadagniamo in situazione di presunta libertà venga usurpato dai prosseneti, e che di questo stesso denaro ne usufruiscano i Comuni, il Fisco e lo Stato prosseneta.

Nei bordelli perdi la tua identità e ti trasformi in una donna in serie: che si può scambiare e utilizzare senza ritegno.

Il campo di concentramento ti rende estranea, ti fa diventare un oggetto. Il tempo si arresta, la mente si scinde, l’anima svanisce, soltanto il corpo cerca di sopravvivere.

Immaginate tutte quelle donne che non potranno parlare né raccontare questa storia: quelle che moriranno per gravi malattie a causa delle dipendenze, degli abusi e della tortura; quelle che verranno uccise, le vittime di femminicidio nella prostituzione sono le grandi dimenticate della violenza maschile. Donne consumabili (usa e getta), nostre sorelle, attraversate da molteplici violenze nell’arco, in genere, delle loro brevi vite, vengono brutalmente e selvaggiamente assassinate, i loro corpi distrutti vengono ritrovati spesso nei terreni abbandonati, nei cassonetti o nei sacchetti di plastica. Malgrado si tratti di violenza contro le donne per antonomasia, essa non è riconosciuta come tale, né a livello legislativo né sociale. Nella base di dati di Femminicidio.net abbiamo documentato 37 casi di femminicidio nell’ambito della prostituzione, commessi tra il 2010 e il 2016. Senza contare le donne scomparse vittime di tratta. Se le prostitute assassinate contano poco: a chi interessano le puttane scomparse?

Il campo di concentramento ci sequestra, ci sfrutta, ci stermina, ci fa scomparire e ci annichilisce gradualmente.

Prima di tutto, ho scoperto con mio grande stupore che il bordello era pieno di ragazze della città da cui venivo: Galati. Immaginate un’intera città della Romania di quasi 300 mila abitanti in cui da decenni le donne e le bambine vengono stuprate, addomesticate e vendute ai prosseneti e puttanieri della Spagna.

I volti di alcune di quelle donne mi risultavano familiari ma erano tanti anni che avevo perso le mie amiche d’infanzia … da allora, non ero più riuscita a fare amicizia con ragazze della mia età. Presumibilmente perché nessuna voleva essere amica di una puttana.

La situazione non è cambiata nemmeno dopo, nel campo di concentramento. Nella prostituzione non esiste l’amicizia. Tutte vogliamo uscire da lì il prima possibile, e non vogliamo perdere tempo. Inoltre, gli stessi prosseneti e puttanieri seminano rivalità tra di noi. Essere la preferita dell’oppressore significava avere un certo privilegio rispetto alle altre. La preferita era quella che guadagnava di più. Tutte volevamo essere la preferita.

Presto mi resi conto che quei vestiti, quei sorrisi e quel presunto glamour che si respira nell’ambiente restano fuori dalla porta prima di entrare in una stanza. Nella stanza c’era un letto con delle lenzuola di carta e un preservativo. Tutto lì era freddo e violento, ma il nostro pensiero era sempre uno: “un altro in più per avvicinarmi al mio sogno.”

Imparai a comportarmi come volevano loro. Alcuni di loro erano di buon umore e mi facevano domande, mi raccontavano le loro cose, io dovevo essere molto gentile con loro e sorridergli, ascoltarli e dare loro la mia approvazione con affetto e ammirazione. Per me questa situazione era tra le più esasperanti. Loro mi obbligavano a stare lì presente, non solo con il corpo ma anche con la mente. Era una tortura per me e so che lo è anche per la stragrande maggioranza delle donne prostituite. Mentre ero con il puttaniere, non potevo contare i soldi che avevo guadagnato quel giorno e la parte che mi sarebbe toccata. Non potevo nemmeno calcolare i soldi che ancora dovevo guadagnare per potermi comprare quella bella casetta con giardino. Dovevo restare lì, a guardarlo in faccia, sentire le sue carezze sporche e il suo alito su di me. E abbracciarlo e accarezzarlo. Tutto quanto ciò. E sorridere. Importantissimo! Non posso descrivere a parole l’impotenza e la rabbia che mi generava tutto ciò. Quei viscidi che volevano il mio corpo, la mia anima, la mia mente e tutto il mio essere per una miserabile banconota. In più, sembrava quasi che dovessi ringraziarli perché loro, in teoria, mi trattavano bene. Ne uscivo pazza e alla fine gli dicevo di scopare una volta per tutte e alzare i tacchi e andarsene. A quel punto si offendevano moltissimo e passavano dal giocare il ruolo dei fidanzati più affettuosi a chiamarmi “schifosa puttana, bugiarda, traditrice” nel modo più violento che si possa immaginare. Con ciò mi guadagnavo, di solito, una pessima reputazione e dovetti smettere di comportarmi in quel modo e ingoiare in silenzio tutti quegli attacchi di follia che avevo ogni volta che mi trovavo con un puttaniere “gentile”.

Poi c’erano quelli che andavano al sodo. Pagavano, penetravano e se ne andavano. Per lo meno, in questo modo, potevo fuggire e restare mentalmente lì dove volevo stare. Per questo tipo di puttanieri, noi puttane siamo soltanto un corpo con degli orifizi da penetrare. Non c’è desiderio e non gli importa molto di ciò a cui pensiamo in quel momento. Dobbiamo eseguire una prestazione identica a quelle che vediamo nei film in quei televisori 24 ore su 24. Gemere, sorridere e dare l’idea di essere partecipi. Questo già sembra soddisfarli. Dopodiché, se ne vanno mentre noi restiamo col corpo stuprato e dolorante. Ma siamo sempre più vicine al nostro sogno.

Ci sono anche i sadici e i misogini. Le pratiche di tortura fisica e psichica che mettono in atto per provare appagamento sono difficili da descrivere. Dobbiamo sopportare morsi, pizzichi, botte, insulti, vessazioni ed essere ridotte a nulla.

All’inizio pensavo che avrei potuto riconoscere i tipi così prima ancora di entrare nella camera da letto, ma l’esperienza mi ha dimostrato il contrario.

Non faceva alcuna differenza se il puttaniere era un politico, un giudice, un poliziotto, un procuratore, un sindacalista, un operaio, un imprenditore, uno sportivo, se era sposato, celibe, giovane o anziano. Non sapevo mai con quale di queste tre tipologie di puttaniere mi sarei imbattuta una volta chiusa la porta della camera da letto.

Tutti erano ripugnanti. Ipotizziamo che i puttanieri siano degli sfruttatori, dei torturatori e persino degli sterminatori. La vita delle puttane è troppo breve grazie a loro. E quando moriamo o ci ammazzano, continuiamo a restare invisibili. La violenza resta ancora lì perfino dopo che abbiamo perso la vita.

Dovevo, ad ogni modo “farmi furba e fare più soldi possibili nel minor tempo possibile.” Me lo ricordava di continuo il mio prosseneta. E aggiungeva che ero libera di fare come volevo, ma che era meglio farmi furba e agire in modo intelligente. Manipolare gli uomini, spillargli i soldi e avere potere su di loro. È curioso come questo identico discorso venga sostenuto da quelli e quelle che affermano di essere contrari alla tratta ma che difendono la prostituzione in nome della trasgressione e della liberazione delle donne. Le stesse argomentazioni che hanno impiegato e che impiegano i prosseneti e i trafficanti per sfruttare sessualmente migliaia, milioni di donne in tutto il mondo, sono le stesse che adottano alcune attiviste che sostengono che la prostituzione sia un lavoro che dà potere e che libera.

Scappai dal prosseneta spagnolo che mi aveva comprata perché scoprii che si approfittava di me e che mi portava via quasi sempre tutti i soldi che guadagnavo. I miei calcoli non tornavano anche dopo aver pagato il debito, la stanza, gli alimenti, l’alcool, la cocaina, i vestiti, i cosmetici, le multe … era tutto montato a regola d’arte per toglierci quasi tutti i soldi e quei pochi che ci restavano bisognava investirli per continuare a fare le puttane ed esaudire gli ordini imposti dai puttanieri.

Scappai decisa a inseguire il mio sogno. Rimasi intrappolata nel sistema prostituzionale per cinque anni. Per la verità, in tutti i posti in cui sono stata la situazione era esattamente la stessa. Non avevo un prosseneta ufficiale, però, venivo continuamente sfruttata sessualmente da ognuno dei prosseneti proprietari dei bordelli, che la legge definisce “impresari dell’intrattenimento” e che si inseriscono all’interno di un’enorme rete mafiosa in tutto lo Stato spagnolo.

Non mi sono mai, neanche una volta, riconosciuta come vittima di tratta. In primo luogo perché non sapevo cosa fosse la tratta. E in secondo luogo, perché avevo un’idea sbagliata della tratta che non era faceva al caso mio. Perfino a me facevano pena le donne ingannate, costrette e incatenate.

Più gli anni passavano e più mi risultava difficile uscirne fuori. Mi provocava un dolore enorme il doverne uscire senza un soldo, dopo tutta quella sofferenza che avevo provato, per cui mi ripromettevo che ci sarei rimasta solo un altro anno e basta. E poi un altro, e un altro ancora. Fui capace di dire basta e di non prolungare oltre la mia agonia nel momento in cui ammisi che mi avevano ingannata e che non avrei mai potuto realizzare il mio sogno. Che mi sarei impoverita e che quei cinque anni di esperienza nel campo di concentramento non mi avrebbero portato a guadagnare alcun bene materiale.

Abbandonai la prostituzione (come la abbandonano tante altre) quando non ero più “nuova” abbastanza o abbastanza “disponibile 24 ore su 24”. Di solito la gente si stupisce quando dico che ci lasciano andare via nel momento in cui non riusciamo più a sopportare quella vita e quando abbiamo smesso di credere che ci accadrà qualcosa di buono se restiamo lì dentro. Non dovrebbe sorprendere il fatto che per una donna che si ritira nel silenzio assoluto e senza percepire il minimo sostegno o risarcimento, ce ne siano altre tre disposte a sostituirla. Le puttane vengono fabbricate su scala industriale, poiché l’industria del sesso ha bisogno di loro e quest’ultima investe moltissimi soldi nel prospettare alle giovani donne che il loro destino migliore è quello di fare le puttane. La storia si ripete di continuo, senza sosta.

3- Ricordi di come si fabbrica una puttana.

Dal mio punto di vista, ho adottato l’oblio come strategia di resistenza. Tutti i giorni, tuttavia, mi ritornano in mente delle cose e sono sempre più convinta del fatto che se sono arrivata fin qui lo devo a che la mia mente privilegiata e molto saggia ha cancellato o occultato molti episodi traumatici della mia vita come strategia di resistenza e di persistenza.

Vi racconto la mia storia, che molte che si trovano qui oggi già conoscono.

Nascere in Romania nel 1984 ha senz’altro influito e molto sulla mia esperienza di vita.

Essere figlia della transizione e far parte di una generazione smarrita tra lotte di potere e interessi politici, non ha giocato a mio favore. Figlia di operai che sotto la dittatura hanno lavorato tanto per ottenere poco e che in nome della democrazia hanno lavorato di più per avere ancora meno. Non ho mai sofferto la fame, il freddo, né mi è mai mancato nulla di materiale. Ma sul piano emotivo sì che ho patito la fame, la sete e il freddo. Non ero l’unica, visto che mi accorgevo che attorno a me questo era la norma. Le eccezioni erano pochissime. Le norme giuridiche, patriarcali, o i valori della chiesa, della famiglia tradizionale, la legge del più forte, la violenza come metodo educativo, il silenzio assoluto attorno a cosa considerate immorali … la doppia morale e l’ignoranza di un popolo che era stato domato e addestrato a obbedire e pochissime volte a pensare.

Noi puttane non abbiamo pace. L’ho potuto provare sulla mia carne dopo aver subito uno stupro multiplo a 13 anni. Mi hanno trasformato in una puttana infischiandosene del fatto che io, in realtà, volessi fare il medico o l’insegnante. Abbandonai gli studi per non dover sopportare più tutta quella situazione e il dolore che mi causava. Gli stupri e la persecuzione divennero sistematici ed io, completamente sola e abbandonata, trovai la (falsa) soluzione nel giorno stesso in cui smisi di resistere e mi rassegnai. Loro mi hanno trasformato in una puttana e quando ci riuscirono, i molestatori, gli stupratori e quelli che gestivano il lato oscuro della città, cambiarono completamento il loro atteggiamento nei miei confronti: per quale motivo? Proprio perché successivamente sarebbe avvenuto il mio ingresso nel sistema prostituzionale e quello che conosciamo col nome di “tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale”. Già mi avevano piegata con le loro torture e i loro stupri reiterati …. Poi si dedicarono a ribadire le virtù insite nella prostituzione. Mi convinsero del fatto che la sorte migliore che potesse toccarmi fosse di esercitare la prostituzione in Spagna, mi convinsero del fatto che, se mi facevo furba, nel giro di un paio d’anni la mia vita si sarebbe risolta, citandomi come esempio quelle pochissime donne che giravano in città e che possedevano case, guidavano macchine di lusso, indossavano vestiti di marca e usavano profumi costosi.

Tutte queste cose non accadevano per caso, dal momento che, quelle poche “privilegiate” erano impiegate dai prosseneti come esca per attirare e convincere le altre senza molti sforzi. Il privilegio di poche è il gioco di tutte le altre. Questo è un colpo da maestro per i prosseneti. In questo modo diventano, per di più, i nostri salvatori e protettori supremi. Mi vendettero per 300 euro a un prosseneta spagnolo a 17 anni. Sei mesi dopo attraversavo la frontiera spagnola. Viaggiai per tre giorni e tre notti in autobus. Fu un viaggio molto duro ed era la prima volta che viaggiavo. Ricordo di essermi sentita felice e fortunata. I miei pensieri, i miei desideri, i miei sogni, la mia speranza … dipingevano sul mio viso un sorriso. Da molto tempo non provavo un sentimento del genere. Forse non avevo mai vissuto prima di allora quel sentimento di felicità. Nel giro di due anni sarei diventata una persona libera e avrei ottenuto il riconoscimento e l’attenzione che tanto desideravo.

Mi avevano detto che in Spagna gli uomini erano molto gentili, che si vestivano con abiti eleganti e invitavano le ragazze a bere, le quali avrebbero dovuto accettare l’invito e ci avrebbero guadagnato una percentuale sopra; avrei dovuto cogliere qualunque opportunità mi fosse capitata, farmi furba, guadagnare un sacco di grana e ritirarmi il prima possibile. Sulle cose che accadevano nella camera da letto, tuttavia, c’era il silenzio più assoluto. Si intuiva che si trattava di avere rapporti sessuali. E basta.

La rivolta delle puttane

Confesso che oggi mi risulta molto difficile parlare con voi sorelle puttane. Conosco molto bene la sensazione che si finisce per provare quando i ricordi e il pensiero critico vengono attivati. La disperazione può impossessarsi di te quando capisci di trovarti in un vicolo cieco. Cosa possiamo fare affinché in questo vicolo ci sia una via d’uscita? Cosa possiamo fare affinché le mie sorelle puttane prendano in mano le redini della loro vita e intraprendano il viaggio di ritorno alla loro essenza libera e indomabile? Quali strumenti possiamo offrire loro affinché possano emanciparsi? Quando ci troviamo nel campo di concentramento, gli unici strumenti che abbiamo per poterci emancipare sono quelli che ci danno gli stessi individui interessati a far sì che tutta questa situazione resti così com’è. Come affermava Audrie Lorde: “Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone.” È giunto il momento della rivolta delle puttane, le schiave invisibili, e che l’emancipazione femminista diventi per loro, inequivocabilmente, una questione prioritaria. Abbiamo bisogno della saggezza delle donne per ottenere la nostra liberazione. Abbiamo bisogno del vostro sostegno, del vostro aiuto e della vostra sorellanza per smantellare la casa del patriarcato padrone.

Davanti ai nostri occhi si snodano strade infestate da bordelli, donne per strada seminude, che patiscono il freddo o il caldo, appartamenti in cui le donne “nuove, compiacenti e disponibili 24 ore su 24” sfilano di fronte al puttaniere di turno che decide di usufruire del suo privilegio. Annunci sulla stampa, su internet, volantini, biglietti da visita ….

Come possiamo permettere che accada tutto ciò?

Mentre ci troviamo qui in questa conferenza, lì fuori ci sono circa 800 donne solo a Pamplona, in più di 19 bordelli, per le strade e in centinaia di appartamenti. Donne come noi che meritano di vivere una vita libera dalla violenza dei prosseneti e dei puttanieri.

Cosa possiamo fare per fermare l’impunità con cui agiscono i colpevoli e si fanno pubblicità di fronte alla società? Questi prosseneti amici di politici, giornalisti, poliziotti e giudici. Che sono uomini vincolati al potere che si arricchiscono a scapito dei nostri corpi, delle nostre vite e alimentano quel che li alimenta a sua volta, vale a dire, un sistema che si autoriproduce all’interno dello Stato prosseneta. Questi puttanieri che sono il panettiere, l’amico, il marito, il cameriere, il padre e il figlio. L’attuale patriarcato capitalista cerca di convincerci del fatto che la prostituzione debba essere affrontata come fosse un diritto. Come afferma Sonia Sánchez, il lavoro sessuale è la penetrazione della bocca, dell’ano e della vagina. Il campo di concentramento ci trasforma in un buco: cos’altro vuole il più atroce patriarcato se non ridurci a un orifizio? E successivamente l’industria del sesso riduce questo orifizio a una miniera d’oro.

Si può parlare di uguaglianza quando esistono tra le 50 e le 60 mila schiave sessuali nello Stato spagnolo? O forse l’uguaglianza è riservata unicamente alle donne bianche e spagnole? La Spagna ha una lunga tradizione imperialista e coloniale nell’arco della sua storia e questo colonialismo continua nel presente mediante la riduzione in schiavitù di donne povere provenienti da altri paesi. Un colonialismo sessuale che permette agli uomini di qualunque classe sociale di avere a portata di mano romene, paraguaiane, dominicane, brasiliane, nigeriane …….

Non prendiamoci in giro, l’accettazione della schiavitù sessuale delle donne e la prostituzione hanno a che fare, ancora, con il colonialismo, il razzismo e il classismo.

L’unico cammino che a noi puttane resta da percorrere è la rivolta. Emancipiamoci insieme per porre fine alla schiavitù sessuale e alla tratta. Ma da sole non possiamo farlo. La rivolta ha bisogno che i movimenti femministi mettano la questione al centro e che divenga un problema sociale di primo ordine.

Ci riguarda tutte. Non ci lasciate sole compagne. Vi invito a unirvi alla rivolta delle puttane.

Grazie mille e buon pomeriggio.

Traduzione dallo spagnolo di Ilaria Maccaroni

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