Lydia Cacho presenta “I demoni dell’Eden” (audio)
Ad ottobre presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma è stata ospite per la presentazione del suo ultimo libro “I demoni dell’Eden” Lydia Cacho, giornalista, attivista femminista perseguitata dalle mafie a seguito delle sue inchieste sulla prostituzione e la pedopornografia in tutto il mondo.
Autrice di “Schiave del potere. Una mappa della tratta delle donne e delle bambine nel mondo”, “Memorie di un’infamia”, Lydia Cacho è da anni impegnata nella lotta allo sfruttamento delle donne e delle bambine nel mondo.
Nel libro “I demoni dell’Eden”, accurata inchiesta giornalistica, Cacho parla della fitta rete criminale e delle collusioni politiche che la sorreggono, che vede al suo vertice il “proprietario di alberghi” Succar Kuri. Il libro, oltre a denunciarne l’esistenza, ne espone le dinamiche, approfondisce i rapporti e le connivenze tra potere politico e potere criminale e dà voce ad alcune delle vittime della pedopornografia.
Dopo l’uscita di questo libro Lydia Cacho è stata illegittimamente arrestata, torturata e condotta nelle carceri di Puebla. Oggi Cacho continua le sue inchieste e la sua lotta culturale contro la violenza.
Presentiamo oggi la traduzione integrale dell’incontro. Traduzione dallo spagnolo di Ilaria Maccaroni
La forza (morale e argomentativa) con cui Lydia Cacho espone i suoi temi è rassicurante.
Rassicurante perché nelle sue parole determinate, rigorose, empatiche, è finalmente possibile ascoltare affermazioni che si vorrebbero poter considerare delle ovvietà, ma che invece è sempre difficoltoso sostenere senza ricevere in cambio diffidenza, accuse, disinteresse, anche dagli ambienti che si vorrebbero più sensibili a queste lotte. Ascoltando Lydia Cacho si ha finalmente il conforto di poter sciogliere una serie di fastidiosi ma frequenti impasse politici, ricavandone degli strumenti preziosi per l’attivismo.
Non c’è giustizialismo nel parlare di impunità: al contrario questo è un tema politico ed etico perché riguarda gli individui a cui viene dato, o meno, il messaggio che possono impunemente fare tutto quello che desiderano, e gli individui a cui viene dato, o meno, il messaggio che quello che hanno subito è semplicemente nell’ordine normale delle cose, una cosa che può accadere, per cui sopravvivere alla violenza diventa un fatto del tutto individuale, privato e scollegato da qualsiasi relazione con la comunità circostante. Le leggi non sono che uno degli strumenti per poter cambiare una società, spesso non vengono che di conseguenza ad alcuni principi di giustizia, e non si capisce perché dovrebbero diventare un tema tabù in alcuni ambienti. Come la stessa Lydia Cacho diceva già in questa intervista, “le leggi si muovono più rapidamente dei cambiamenti culturali e la cultura della violenza è quindi un ostacolo al progresso della giustizia e alla lotta alla criminalità organizzata”.
Non c’è autoritarismo nel criticare alcune voci pro-sex work, quando lo si fa ascoltando le voci delle sopravvissute alla prostituzione che sostengono un approccio femminista ed abolizionista, in cui la prostituzione è vista come una forma di violenza e non come un’opportunità desiderabile o da normalizzare. Non si tratta di sovradeterminare le voci delle dirette coinvolte del mercato del sesso (o di chi sostiene di esserlo sfruttando la vaghezza del concetto di “sex worker”, termine spesso rivendicato anche da “imprenditori” papponi) ma di ascoltare chi, dalla stessa posizione, denuncia la propria posizione svantaggiata, la violenza di genere normalizzata dell’ambiente, i risvolti negativi di una regolamentazione. A parità di situazione, quale parte può proporre soluzioni che non escludono ma anzi includono le rivendicazioni dell’altra: chi ha alcuni parziali privilegi (o la cui voce viene a volte addirittura sostenuta da chi è in evidente conflitto di interessi), oppure chi denuncia una difficoltà anche gravissima?
Non c’è moralismo nel mettere in discussione il diritto maschile (e addirittura la possibile istituzionalizzazione di questo) di disporre a pagamento dei corpi di donne e minori. Il desiderio maschilista non è purtroppo, semplicemente, incapace di un rapporto con il femminile; questo è il lato migliore del patriarcato. Il desiderio maschile si nutre spesso di sadismo, è intriso di potere ed erotizza la deumanizzazione, la sottomissione, l’umiliazione. Attraverso l’insieme di privilegi che esso vive nella società, trasforma la propria paura in energia distruttrice.
Non c’è dietrologia o complottismo nell’esplorare le relazioni tra alcuni messaggi mediatici ad evidente carattere propagandistico (come la glamourizzazione e la banalizzazione della prostituzione e della pornografia, la sessualizzazione delle adolescenti eccetera) e quella stessa industria che spinge la parte più visibile dell’industria del sesso ma che, nei suoi lati più nascosti, è anche responsabile della tratta e della schiavizzazione. Semplicemente questi legami sono dei fatti e devono soltanto essere documentati nei dettagli.
Non c’è uno spostamento indebito del problema nel parlare di mafie, o di colllusioni tra queste e i governi, nella lotta femminista e nella critica al maschilismo. C’è anzi la consapevolezza che parlare astrattamente di cambiamenti culturali senza considerare il contesto economico neoliberista globalizzato attuale è un approccio inadeguato, irrelato al contesto. L’industria del sesso, il mercato delle donne e delle bambine, la mercificazione della sessualità tutta sono meccanismi che devono essere contrastati integrando sguardo di genere, femminista, antipatriarcale e lotta alle criminalità organizzate e al capitalismo.
Lydia Cacho è anche una femminista capace di sfidare in modo duro e propositivo il maschile, appellandosi alla coerenza e alla profondità di autoanalisi di un desiderio e di una coscienza che necessitano di non farsi sconti per dare davvero una svolta al personale e al politico.
Di seguito la traduzione di Ilaria Maccaroni del suo intervento (che è stata letta dalle Connettive nel corso di una puntata di “Controessenze” e può essere ascoltata sul podcast).
—
1.
La maggior parte di questi bambini in Messico subiva moltissima violenza, non solo violenza fisica e psicologica ma anche violenza sessuale. E questo lo sapevo fin da bambina e per me era una differenza molto preoccupante scoprire che a casa mia noi eravamo al sicuro, eravamo una famiglia di classe media ma avevamo da mangiare, ricevevamo affetto, amore, ma soprattutto non eravamo vittime di violenza dentro casa. Quando uscivamo da casa, invece, per il lavoro di mia madre, scoprivamo ogni volta che questi bambini e bambine avevano normalizzato la violenza.
Quando iniziai la mia carriera di giornalista a ventitré anni, immediatamente il mio editore, che era un messicano molto macho, mi mandava a fare servizi su temi come la povertà o la crisi economica, e quando andavo a intervistare le donne, queste non volevano parlare della crisi economica, ma piuttosto di quel che a loro toglieva potere che era la violenza. La violenza dei loro mariti, la violenza domestica, la violenza del governo, quella della corruzione, dell’impunità … E compresi che tutta questa infanzia e crescendo con una donna esemplare com’era mia madre, erano state una preparazione per portare il mio femminismo nel giornalismo. Ovviamente, fin da subito, i miei editori, che erano tutti uomini, s’infastidirono molto, non erano contenti poiché io avevo molta chiarezza nella conoscenza della scrittura agita dalla “prospettiva di genere”. All’epoca, ventotto anni fa, questo era molto strano; ero come una pazza, una giornalista folle che voleva scrivere di qualsiasi cosa, di economia, di finanza, di turismo, sempre dal punto di vista delle donne e incluso dei bambini e delle bambine: se il turismo giovasse all’infanzia o no in Messico, se le donne vivevano meglio nelle zone con una migliore economia turistica, che sono quelle in cui vivo io a Cancún (ecc).
Negli anni “la pazza” è diventata “la specialista”, anche se molti credono ancora che io sia folle. Ma per me questo conta perché mi sembra ci sia un giornalismo molto diverso, che non facciamo tutte ma che sicuramente facciamo in tante. Questo giornalismo è legato a un’analisi molto formale della realtà ma allo stesso tempo è un’analisi da un punto di vista diverso, in grado di mettere in discussione i poteri tradizionali. E da questo tipo di giornalismo, questo da cui ho condotto ricerche sulle mafie, sui trafficanti di esseri umani, sui pedofili, e questo mi ha portato a scrivere i libri che stiamo condividendo ora in Italia, I Demoni dell’Eden, Memorie di un’Infamia e Schiave del Potere. E, bene, io non potrei fare un tipo di giornalismo diverso. Mi viene assolutamente spontaneo condurre ricerche e lavorare come attivista e come giornalista d’altra parte da questo luogo, del quale vado molto fiera, che è un territorio intellettuale che di certo è un territorio intellettuale femminista, che è per natura pro-democratico, e che nasce anche dalla nozione del fatto che ho gli stessi diritti di qualsiasi uomo che ho davanti a me. Tutto il mio lavoro giornalistico e come attivista di diritti umani, parte sempre da questo principio di uguaglianza perché per me l’uguaglianza non è un ideale ma un fatto concreto. Tutti i giorni mi alzo e sono giornalista e faccio attivismo come cittadina per difendere i miei diritti e quelli delle altre. E il mio lavoro parte da qui. E ora do la parola alle mie compagne per aprire un dibattito sui temi che ci hanno portato qui.
2.
Vorrei fare una piccola riflessione su quello che hanno appena detto le compagne, che ritengo molto importante. Quando scrissi I Demoni dell’Eden, mentre viaggiavo per il Messico presentando il libro e in altri paesi, iniziò ad accadere qualcosa di molto interessante, vale a dire che gli uomini, soprattutto uomini attempati di sessanta e settant’anni, alla fine della presentazione del mio libro I Demoni dell’Eden, prendevano la parola dicendo che dopo aver letto il mio libro avevano sentito, per la prima volta in vita loro che non erano responsabili dell’abuso di cui erano stati vittime nella loro infanzia. [Questo fatto] mi ha colpito molto poiché gli uomini non parlano di questo argomento e men che mai in pubblico ma cominciò ad accadere in maniera costante che, ogni volta che un uomo si alzava in piedi dal pubblico e mi diceva che era stato abusato sessualmente da piccolo, tanti altri cominciavano a farlo. C’è un effetto catartico nel poter leggere un libro giornalistico che allo stesso tempo è in grado di fare questa distinzione tra i carnefici e le vittime e tra le ragioni dei carnefici e le motivazioni per cui le vittime sentono che nessuno le può aiutare. Da qui mi sembra che tutti i giornali, i giornalisti del mondo debbano prepararsi per offrire spiegazioni. Qualsiasi giornalista che crede di poter documentare questo tipo di crimini contro i bambini e le bambine, deve aver chiara la prospettiva dalla quale parla, soprattutto rispetto alla pedofilia o alla pedo-pornografia su questi argomenti.
Un altro tema che mi colpisce e che è molto simile sia in Italia che in Messico, è il ruolo che ha giocato la religione nelle nostre culture per assecondare la pedofilia. Giacché la religione antepone sempre sia nella chiesa come nello stato, l’integrazione della famiglia. Da lì, dalla cultura religiosa, proviene questa nozione che abbiamo ereditato sia in Messico sia in Italia e in altri paesi latini rispetto alla colpa che deve avere la madre, perché deve aver fatto qualcosa di davvero brutto affinché il padre o il nonno o lo zio abusino sessualmente di un bambino o di una bambina. E dobbiamo mettere sul tavolo della discussione il discorso della religione. E non è un caso che in questo periodo, in tutto il mondo, stiano spuntando fuori questi casi di sacerdoti pedofili. È molto importante parlare di questi argomenti poiché ci aiutano a capire che, la chiesa, non soltanto il papa, deve chiedere perdono all’umanità per quello che ha fatto a bambini e bambine nell’arco dei secoli, ed è inoltre corresponsabile di prendere parte alle politiche pubbliche e alle legislazioni sulla tutela dell’infanzia.
Quando un giudice afferma che una madre sta fabbricando una storia di pedofilia, il giudice invia al bambino il messaggio, – parliamo soprattutto di bimbi maschi – che primo lui non ha diritti e che secondo se è maschio, può fare quel che vuole e non sarà mai punito. Cioè, ogni volta che un giudice, in questo paese o in qualsiasi altro, decide di non giudicare la violenza pedofila su di un bambino, quello stesso bambino può diventare un pedofilo. I giudici hanno una grande responsabilità in tal senso, sono complici della costruzione culturale dell’abuso degli uomini nei confronti di altri uomini. Qui sappiamo che in tutte le statistiche mondiali di omicidio, gli uomini uccidono altri uomini, uccidono le donne, stuprano i bambini e le bambine e le donne e gli uomini. E allora, la domanda fondamentale è: dove sono gli uomini che si manifestano contro le violenze? E mi sembra che non sia più responsabilità delle donne, né delle femministe, continuare a insistere su questo tema. C’è un’emergenza mondiale sul tema della violenza dei bambini e delle bambine, che ha a che vedere con una maschilità che accetta la violenza e la normalizza e un’altra maschilità che rifiuta la violenza ma non si assume la responsabilità collettiva. L’assenza degli uomini e la difesa collettiva dei bambini e delle bambine sono in parte ciò che rafforzano questa rete criminale; sono certo i mafiosi, i criminali, i trafficanti ma sono anche gli uomini a mantenere in silenzio. E mi sembra che sia una questione molto importante.
Infine, un’altra cosa che mi piacerebbe dire, è che i paesi che hanno compreso che bisogna perseguire legalmente i pedofili, non solo all’interno dei loro confini ma anche all’estero, stanno raggiungendo obiettivi molti importanti. Ed è da qui che, per esempio, gli statunitensi hanno compreso che la pornografia infantile è un vero e proprio prodotto della pedofilia normalizzata. E allora quel che hanno fatto non è stato solo perseguire i pedofili nelle loro case negli Stati Uniti, che stupravano bambini e bambine americani, ma hanno anche avviato una politica che riguarda gli uomini statunitensi che viaggiano in altri paesi che cerca nei loro computer immagini di pornografia infantile. Un esempio molto chiaro – e questo riguarda tutta l’Europa e gli Stati Uniti – è quando un uomo di cinquant’anni viaggia in Cambogia o in Tailandia, ritorna abbronzato, porta un bagaglio piccolo in cui c’è sempre il suo computer e nove volte su dieci che le autorità aeroportuali statunitensi aprono il suo pc, trovano immagini di pornografia infantile. Tutte le autorità, incluso le autorità italiane, hanno molto chiaro il profilo dell’uomo italiano, americano, messicano, spagnolo che viaggia per abusare di minori in altri paesi. E queste sono le urgenze che la società deve porre alle autorità, poiché loro sono in possesso di dati statistici. E sono i piccoli dati che a volte ci sfuggono giacché ci sembra enorme il tema dei diritti umani e ci sembra più concettuale che concreto. Ma ritengo che ci siano molte azioni concrete che come comunità in Italia o in Messico che possiamo fare per esigere con chiarezza che le autorità svelino quanti pedofili hanno arrestato e come, quanta pornografia infantile si consuma in Italia, perché quando si capisce quanta pornografia infantile consumano gli italiani, si capisce quanto sono a rischio i tuoi figli, le tue figlie e i tuoi nipoti. Sono queste le domande che dobbiamo porre anche alle autorità.
3.
Nelle ricerche che ho svolto per il libro Schiave del Potere durante cinque anni in cui ho viaggiato in molti paesi del mondo … e sì, in effetti, esistono casi lampanti e credo che siano esigui, sono pochissimi in cui un padre, una madre o entrambi decidono di vendere suo figlio o sua figlia al turismo sessuale. Ad esempio in Vietnam mi sono imbattuta in due casi; [uno] in cui il padre era un giocatore patologico, un gambler, cioè voleva i soldi e vendeva sua figlia, la portava tutti i giorni a un postribolo e la sera la riportava a casa. La moglie lo sapeva ma non poteva fare nulla, non aveva strumenti di alcun tipo per difendersi e difendere sua figlia. Un altro caso era una coppia, un padre e una madre che sfruttavano la figlia e il figlio. Nella maggior parte dei casi però, nelle condizioni di estrema povertà sia in Asia che in America Latina, le famiglie molto povere affidano le figlie, soprattutto quelle molto piccole o i figli, i bambini, a persone conosciute dei loro stessi villaggi affinché queste li portino a lavorare in città allo scopo di fargli avere una vita migliore. Ma queste famiglie non affidano mai i loro figli per lo sfruttamento sessuale. Quel che accade, in genere, è che affidino le figlie, le bambine indigene, per farle lavorare come collaboratrici domestiche e i bambini come giardinieri, collaboratori domestici o addetti alla pulizia d’uffici. Questa persona conosciuta della comunità, però, è quella che, una volta che li porta in città, inizia a sfruttarli sessualmente. In molti casi che ho documentato per quattro anni consecutivi, in Messico, Colombia, Argentina, Cambogia e Tailandia, succede quanto segue: ciò che ho appena detto e, inoltre, l’uomo assieme alla donna della comunità che si sono portati i bambini e le bambine via con sé, inviano sì un po’ di soldi alle famiglie ma queste che sono molto povere non comunicano telefonicamente con i loro figli e le loro figlie. Il loro vaso comunicante, il loro vincolo è con “l’amico” della loro comunità, e loro pensano che i loro figli e figlie stiano bene. C’è un caso nello specifico in Venezuela di una donna poverissima di una comunità della periferia di Caracas che ho intervistato, alla quale è accaduto questo: aveva consegnato sua figlia a un uomo del villaggio che l’aveva portata ipoteticamente a lavorare in città. Col tempo riceveva un po’ di soldi ma non seppe più nulla di sua figlia. Un’organizzazione femminista venezuelana iniziò a educare le donne e a spiegare cosa significasse la tratta degli esseri umani. E questa donna portò loro la fotografia della sua bambina, che poi venne caricata su un sistema di ricerca di bambine e donne scomparse in tutta l’America Latina: sua figlia apparve sei anni dopo in un bordello in Messico. Questo è un caso meraviglioso, poiché lei fu tratta in salvo dal bordello, ricevette aiuto e ora si trova assieme a sua madre ma centinaia di migliaia di bambine scompaiono per sempre. Tuttavia, certo, è molto difficile. Dal mio punto di vista è un luogo comune dire che poiché sono povere consegnano le loro figlie, è un’altra forma di discriminazione nei confronti delle madri, di nuovo. In generale, le consegnano affinché abbiano più possibilità di sopravvivere.
4.
Le mafie italiane certamente hanno vincoli proprio qui in Italia con i cartelli messicani sulla tratta delle donne, di bambini e bambine. In Messico, però, quella che stiamo vivendo è una situazione estrema in cui noi donne, da un lato, siamo quelle che quasi combattono in prima linea; è quasi una cifra mondiale e in Messico è ben avvalorata dai dati, il 50% delle organizzazioni civili è fondato da donne, gestita da donne e fatte funzionare da donne. In certi casi ci sono degli uomini che ci lavorano. Questo, cosa vuol dire? Significa che le donne, in questa situazione di guerra che stiamo vivendo in Messico, stanno assumendo la responsabilità dell’impegno nei confronti delle vittime di questi crimini. Le organizzazioni contro il sequestro, quelle contro la tortura, contro il sequestro di minori per renderli sicari o assassini, vengono fondate e messe in atto da donne. Queste organizzazioni non ricevono fondi pubblici, per cui oltretutto le donne devono lavorare per poter operare in queste organizzazioni. Gli adolescenti maschi, soprattutto tra i 12 e i 15 anni, si trovano in una situazione di estrema fragilità, poiché se vivono nelle zone in cui il narcotraffico è molto potente, questo li sta conducendo a una nuova modalità di tratta di esseri umani che è una novità per l’America Latina ma non lo è per queste zone qui, non lo è ad esempio per l’Africa e cioè la tratta per trasformarli in bambini soldato. In questo caso sono i “bambini soldato del narcotraffico”. Ci siamo imbattuti in centinaia di bambini scomparsi che poi appaiono morti ammazzati, persino con le armi in mano, che furono sequestrati dai narcotrafficanti che li hanno sfruttati. È una forma di tratta che il governo messicano oggi non vuole riconoscere ma che diversi giornalisti hanno documentato. La guerra contro il narcotraffico, che è una falsa guerra poiché prende di mira la società civile e non risolve il problema vero e proprio, sta producendo molta più violenza di genere. Sta mettendo un doppio peso sulle spalle delle donne che devono far fronte a tutte le problematiche riguardanti la violenza e che devono per giunta sopravvivere in una situazione d’impunità quasi assoluta. Ieri in Messico, un dirigente, come tutti gli imprenditori organizzati in Messico, ha ratificato l’informazione ufficiale: il 94% di tutti i crimini commessi in Messico rimane impunito. Questo accade oggi. In un contesto del genere noi portiamo avanti queste ricerche. Questo significa, ad esempio, che il presidente messicano ora mi considera una nemica del Messico e non una buona cittadina perché me ne vado in giro per il mondo a dire la verità.
5.
Questa è una domanda per una conferenza sulla prostituzione e il lavoro sessuale! Dopo aver viaggiato per cinque anni in giro per il mondo e aver svolto ricerche in paesi come la Germania, come l’Olanda in cui il lavoro sessuale è legalizzato e in alcune zone dell’Australia come Melbourne, quello che mi domandavo era: è vero che se la prostituzione cambia nome e volto, e ora si chiama “lavoro sessuale”, con dei diritti e si pagano le tasse, tutto funziona meglio? E quel che ho scoperto è che non è così. Quel che accade in realtà è che all’interno di questa struttura formale di lavoro sessuale, si favoriscono alcune donne dell’elite; quelle che fanno le lavoratrici sessuali VIP per i primi ministri, per i politici, per gli attori … per gente che può pagare 500 dollari per passare una notte con una ragazza. Ma le donne di strada, in Germania o in Olanda, ad esempio, quelle nei bordelli, si trovano nelle stesse condizioni di sfruttamento di una lavoratrice della peggiore Maquiladora di Ciudad Juárez o di Tijuana. Questa deve pagare le tasse mentre una lavoratrice sessuale in Germania, per pagare il fitto della sua stanza in cui fa sesso, ha bisogno di tre clienti al giorno. Se la donna ha più di trent’anni, ha solo tre clienti al giorno, deve pagare le tasse e per di più deve pagare per la sua protezione poiché i clienti non sono passati per queste conferenze. I clienti vanno con le donne, si chiamino prostitute o lavoratrici del sesso, perché vogliono una donna reificata, una donna-oggetto con cui fare quello che loro vogliono. E allora, queste donne, formalmente lavoratrici del sesso, hanno protezione di ogni tipo: la maggior parte di loro in Germania sta ora uscendo dal sistema legale per andare in strada, luogo in cui la prostituzione è illegale, poiché non possono più pagare le tasse e quando escono dal sistema tornano nelle mani dei trafficanti.
In Germania ho documentato due casi in cui un trafficante di esseri umani, molto famoso, complice di sicuro di alcuni nigeriani che portavano donne africane in Europa, in origine lui era un trafficante, un fuorilegge, un criminale ma in Germania ha regolarizzato la sua posizione grazie all’industria del commercio sessuale e dal mafioso criminale che era si è trasformato in un uomo d’affari e ha aperto un albergo. Lui è proprietario di un piccolo albergo e affitta le stanze alle ragazze. E quelle che non possono pagarsi la stanza, quelle con tre clienti al giorno, gli portano i soldi ogni settimana ma loro sono “lavoratrici sessuali”. Penso che qui sia un dibattito lungo ma mi sembra che il fulcro della questione sia che le donne che hanno riconosciuti i loro diritti umani, che hanno accesso a un’economia non di schiavitù, non vogliono essere né prostitute né puttane, né lavoratrici del sesso.
6.
Sto facendo indagini negli Stati Uniti su quali siano i produttori reali delle serie televisive … è molto importante saperlo: da dove vengono i soldi? Gli investimenti economici per la produzione di serie televisive che celebrano e glamourizzano tutte le forme di prostituzione e di sfruttamento delle donne. Le attrici più belle sono delle lavoratrici sessuali felici, lavorano come massaggiatrici, possiedono sempre una villa negli Stati Uniti come Client List ad esempio. Esiste una serie tv colombiana che viene mandata in onda tutti i giorni in televisione e ora anche in Messico e che consiste in questo: nell’esaltazione assoluta della lavoratrice sessuale VIP. Tutte sono bellissime, tutte sono felici, tutte possiedono delle ville, i clienti sono tutti obbedienti e le ragazze che lavorano in questi bordelli VIP sono anche adolescenti. Gli investimenti per produrre questa serie televisiva provengono dalle mafie dei narcotrafficanti colombiani. Fa parte di un’indagine che sto facendo per le mie figlie, per le loro, per le ragazze di 18-19 anni poiché a chi interessa osannare la prostituzione? “Ridursi a oggetto è molto più semplice che riflettere” dice un personaggio di una delle serie. Cioè una ragazza di una delle serie colombiane afferma “per me essere un oggetto per una notte è molto più facile che dover pensare”. E il giorno dopo va all’università. Sì le mafie investono molti soldi, non possiamo dimenticarcelo. Le mafie investono molti soldi nel rafforzamento dei valori culturali che sostengono la violenza. Tutte le violenze. Ogni volta che Washington decide di invadere un paese per il petrolio o per qualsiasi altra cosa – quasi sempre per il petrolio – Washington investe grandi somme di denaro. Il pentagono produce film di guerra. Ed ecco allora che in tutti gli statunitensi rinasce il patriottismo. Proprio la stessa dinamica che utilizza Washington per il cinema di guerra viene impiegata dalle mafie dei trafficanti per osannare la prostituzione, la pornografia e per di più la prostituzione giovanile.
7.
Quando scrivevo I Demoni dell’Eden, feci pratica di hackeraggio per capire come entrare lì, non dove può entrare chiunque in cui si legge “sesso con bambini”, no, bisogna scavare in profondità. Centinaia di migliaia di pagine in cui ci sono gli uomini che si videofilmano e condividono i loro video e le loro informazioni. Molti di questi casi sono uomini che si recano in luoghi come la Tailandia, o Cambogia o alcuni posti in Messico, o Costa Rica o Cuba, per fare sesso con bambini e bambine di meno di dieci anni. Ma in molti casi sono uomini che partono alla ricerca di un bambino o di una bambina, che tengono prigionieri in casa, filmano tutto, condividono i filmati e poi si disfanno di questi minori. Quello che sta accadendo è che la società mondiale, i genitori, i padri e le madri giovani, non stanno capendo che l’accesso alla pornografia attraverso internet sta creando un ritorno alla normalizzazione della violenza sessuale su bambini e bambine. È da tre anni che vado nelle scuole in Messico e negli Stati Uniti, cerco sempre di andare e parlare con i ragazzi e le ragazze. In cambio delle mie conversazioni su questi temi, domando sempre loro “Quanti di voi vedono pornografia in Internet?’” e aggiungo “prometto di non dirlo ai vostri genitori”. L’80% degli studenti dai 13 ai 15 anni vede pornografia due volte a settimana. Ora, loro non vedono pornografia adulta, a loro non interessa vedere un signore o una signora di 30 anni che fanno sesso. Loro vogliono sapere come i ragazzi della loro età fanno sesso. Ed è lì che subentrano le mafie. Perché la pornografia infantile e adolescente, quello che si chiama “teen o early teen porn”, viene fabbricata dagli stessi produttori di pornografia adulta. Loro hanno già compreso da tempo che questo è un mercato gigantesco. È illegale? Sì. Ma dal momento che i nostri paesi, i nostri governi, non sono preparati a perseguire legalmente questi produttori, perché hanno tante altre cose da fare, cioè non si stanno concentrando sulla questione, le centinaia di pagine di pornografia infantile “Nearly teen” le chiamano ma in realtà sono adolescenti, che vengono prodotte, chi è più interessato può vedere in Cinemax (che è un canale televisivo a partire dalle 22 in Messico), può vedere il soft porn. In questo soft porn, alle 10 di sera, Cinemax legalmente mostra due serie in particolare; una si chiama bearly Teen, e l’altra si chiama “la bambinaia focosa” che mostra un uomo adulto che è il padre dei neonati che segue la bambinaia, la mamma è al lavoro, il padre torna a casa sempre presto e la tata seduce l’uomo ma lei è sempre un’adolescente. È questo è legale, è in televisione, è di nuovo la normalizzazione assoluta e degli spazi legali aperti di pornografia adolescenziale, e della differenza di ruoli e della normalizzazione sessuale tra uomini adulti e adolescenti.
8.
Credo che in tutti in paesi come il Messico, ad esempio, l’argomentazione della povertà continui ad essere un’argomentazione molto semplice perché quasi qualsiasi persona che senta parlare del Messico penserà “è di sicuro un paese molto povero, tutti sono poverissimi e le persone per disperazione farebbero qualsiasi cosa”. Ma in tutti i paesi vivono molte persone povere, incluso l’Italia, chiedetelo alle mafie come sono diventate miliardarie. Mi sembra, però, che i fenomeni sia della violenza contro le donne come quella infantile e la tratta siano molto simili. In Italia, in Spagna, in Messico. Ora la Spagna si trova ad affrontare un incremento brutale di femminicidi e questo ha a che vedere con un cambiamento sociale che riconosca l’ingiustizia relativa alla violenza contro le donne. Ma, di nuovo, le donne sono state istruite ma gli uomini che esercitano violenza non hanno frequentato questa scuola e loro sono molto arrabbiati. Mi sembra che i fenomeni siano molto simili, più di quanto alcuni politici vogliono accettare. Ad esempio, il presidente messicano di recente in una conversazione sulla violenza affermava “Ah sì, ma siamo il Messico, non siamo l’Honduras”, e l’Honduras fa lo stesso con il Salvador ecc.
9.
Anche in Messico è stata approvata la PAS (sindrome di alienazione parentale). Abbiamo avuto una lunga discussione con i deputati e i senatori perché non sapevano chi era stato ad approvare la legge della PAS. Il creatore del concetto di “alienazione parentale” è un tipo che era stato dichiarato affetto da demenza. Non solo, – se si cerca su wikipedia si trova l’esatto profilo di quest’uomo – in più aveva divorziato da una donna che lo aveva accusato di violenza domestica sistematica ed era stata in grado di provarlo. Era un tipo incredibilmente violento con sua moglie e con i suoi nipoti. È stato lui a creare l’idea. Chi sono quelli che hanno lavorato per far approvare la legge sull’alienazione parentale nel mondo? Sono gli uomini che esercitano violenza e che avallano l’alienazione parentale da un punto di vista più contorto: i giudici che esercitano violenza. Ho seguito il caso di un giudice in Messico, è un breve aneddoto per illustrare l’argomento – un giudice del diritto di famiglia, il quale, sistematicamente, indipendentemente dalla quantità di elementi di prova presentassero le avvocate della nostra organizzazione di donne, per dimostrare abusi sessuali infantili, violenza fisica su bambini e bambine ecc., il giudice in ogni caso dichiarava innocente l’uomo e toglieva la custodia dei figli alla donna e la dava all’uomo. Allora l’avvocata è venuta da me dicendomi che non era possibile, ed io decisi di indagare sul giudice. Indagai finché scopersi che tutti i giorni che lui usciva di casa chiudeva a chiave tre porte, a una di queste metteva un lucchetto e, dal momento che sono una reporter, andai a sbirciare per capire cosa ci fosse dietro alla porta, dentro alla stanza c’era una giovinetta di 18 anni che lui obbligava a essere sua moglie e che aveva rinchiuso legandola con le catene. Dopo che io ho pubblicato la notizia il giudice è stato messo in carcere ma questo era uno dei giudici più rispettati della zona. Era un grande esperto di diritto di famiglia. E grande difensore della sindrome di alienazione parentale. Se un qualsiasi uomo che conosce il diritto, penale, di famiglia ecc, che possieda un codice etico effettivo respinge la PAS. La maggior parte delle persone che accetta la PAS, uomini o donne che siano, perché lo sappiamo molte donne sono maschiliste, sono a favore della violenza contro le donne, i bambini e le bambine. Non ho dubbi su questo.
“Le mafie mi vogliono morta non per quello che so, ma per quello che voi e le vostre figlie saprete leggendo i miei libri”
—
questa traduzione è stata letta dalle Connettive nel corso di una puntata di “Controessenze” e può essere ascoltata sul podcast
—
vedi anche:
“Schiave del potere” di Lydia Cacho
Come sta evolvendo l’industria della tratta a scopi sessuali (video)
.