Rachel Moran, “Stupro a pagamento”: la normalizzazione della prostituzione come “sex work”
Tra pochi giorni Rachel sarà con noi per la presentazione del suo libro “Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione” (edito da Round Robin Editrice): A Milano l’11 ottobre (Casa dei diritti, ore 17), il 12 ottobre a Roma (Casa internazionale delle donne, ore 17) e il 13 ottobre ancora a Roma (Libreria Assaggi, ore 19.30). Vi aspettiamo!
Per prepararci all’incontro pubblichiamo un altro estratto del libro tratto dal capitolo 21 “La normalizzazione della prostituzione”, un capitolo militante che smaschera le tattiche usate dai sostenitori/sostenitrici dell’industria del sesso per occultare la violenza che le donne prostituite sono costrette a subire. Con grande precisione analitica Rachel ci spiega come il termine “sex worker” non sia un termine neutro per descrivere una donna prostituita, perché considerare la prostituzione come un lavoro come un altro non restituisce dignità alla donna che non può sottrarsi alla violenza di papponi e clienti, ma tenta piuttosto di far riconoscere come dignitosa, accettabile e quindi normale la prostituzione stessa e in questo modo fa scomparire l’abuso, lo sfruttamento sessuale. Per fare in modo che la prostituzione sia considerata una professione accettabile come qualsiasi altra, la prostituzione viene “ripulita”, “sanitarizzata”, “tinta di rosa” così che rapporti sessuali non consensuali, veri e propri stupri a pagamento, siano considerati “servizi sessuali”. Rachel smaschera l’inconsistenza di questa visione semplicemente ricordando quelle che sono le capacità, le qualità necessarie per svolgere questa professione: “L’abilità di controllare il riflesso del vomito; l’abilita di controllare la voglia di piangere; l’abilità di immaginare che la realtà che stai vivendo non esiste.” Questa è la violenza maschile sulle donne che si sta tentando di normalizzare.
Mandateci le vostre impressioni di lettura o i passi che vi hanno più colpito del libro di Rachel al nostro indirizzo mail resistenzafemminista@inventati.org. Li pubblicheremo sul nostro sito.
Per poter normalizzare la prostituzione, è necessario sanitarizzarla. La sua natura intrinsecamente dannosa deve essere, a tutti i costi, nascosta. Altrimenti non potrebbe essere considerata una cosa normale.
Per raggiungere questo obiettivo vengono usate varie tattiche. La prima tattica che analizzerò è la “non proprio acuta” terminologia che in tempi recenti è stata introdotta intenzionalmente allo scopo di inquadrare la prostituzione come lavoro. I termini “sex worker” e “sex work” sembrano innaturali e sembrano innaturali perché suggeriscono una correlazione che è innaturale. L’associazione tra sesso e lavoro non si accorda con la natura umana. Comunque, sebbene colpiscano inevitabilmente l’ascoltatore come qualcosa di strano, non producono shock, come accade con la potenza delle parole “prostituzione” e “prostituta” che evocano tutto l’immaginario mentale che viene attivato da uno scambio basato sullo sfruttamento sessuale. L’immaginario che la parola “sex work” richiama alla mente è di una donna in un ambiente sanitarizzato; un tavolo da massaggi forse con lenzuola di cotone pulite e asciugamani morbidi, un’uniforme, di sicuro, qualcosa di adatto per un’infermiera, ma con una gonna più corta. Bianco, naturalmente, e abbinato a fazzoletti candidi a loro volta per pulire il seme per terra.
Tutto è pulito nell’immaginario evocato da questa terminologia, tutto è al suo posto e appropriato e sanitarizzato, ma quando si va a vedere che cosa effettivamente fa una sex worker è lì che casca l’asino. Il seme è la mosca nella pietanza, il segnale che c’è qualcosa di poco professionale in tutto ciò; e il suo significato non è attenuato dall’immaginario disinfettato che lo circonda. Ma piuttosto la forza del contrasto sta proprio nella nozione di lavoro normale che è sottinteso.
Potrebbe essere utile immaginare quello che è presentato come perfettamente razionale in un contesto diverso. Immaginate una donna nel bel mezzo di un rapporto sessuale appassionato con il suo amante che all’improvviso scende dal letto, casualmente apre il suo portatile e manda una mail all’ufficio. Il lavoro è incompatibile con il sesso, e il sesso con il lavoro.
Ci sono molti aspetti della prostituzione che sono incompatibili con il termine “lavoro”, ma uno dei più importanti e rivelatori di questi è che è l’unica forma di cosiddetto “lavoro” nel quale la persona è allo stesso tempo colei che presta il servizio e il prodotto. Come ha risposto una sopravvissuta all’affermazione che la prostituzione non è meglio né peggio di girare hamburger al McDonald’s:
“A McDonald’s non sei la carne. Nella prostituzione sei la carne” 1
L’uso del termine “sex worker” è un’arma retorica per normalizzare la prostituzione. Non ci sono dubbi che esistano quelli a cui servirebbe per la propria agenda politica se la società abbracciasse interamente questo termine, ma non ho mai sentito nessuna persona, in una conversazione, che non avesse un’agenda politica dietro, dire “sex worker” quando intendeva prostituta. Il termine “sex worker” è stato accolto con un sorrisino complice dalle prostitute che ho conosciuto incluso me stessa. Eravamo tutte ben consapevoli del suo obiettivo e ugualmente consapevoli di quanto fosse inutile tentare di raggiungerlo. Prostitute ed ex-prostitute si adattano istintivamente a questi tentativi senza ritegno di “tingere di rosa” la situazione. Sappiamo benissimo che questi termini non sono stati concepiti per restituire dignità alle donne nella prostituzione, sappiamo che sono stati inventati per dare dignità alla prostituzione stessa. Inoltre, sappiamo che sono utili come le tette al toro e lo sappiamo dalla fonte più attendibile di tutte – l’esperienza personale.
Cercare di inquadrare la prostituzione come un lavoro normale e legittimo si oppone alla logica a vari livelli; una delle cose più ovvie (quasi ridicola) è proprio quella che nell’Unione Europea la legislazione sulla salute e la sicurezza proibisce le molestie sessuali, la violenza e il lavoro che causa stress lavorativo! Non c’è bisogno di dire che, questi aspetti negativi e molti altri ancora, sono così intrinsecamente radicati che sono considerati da chi si trova nella prostituzione come rischi del mestiere:
“(…) Se la prostituzione è un lavoro normale, dovremmo essere in grado di dire quali sono le abilità necessarie per entrare nella prostituzione. Secondo Whisper (organizzazione di sopravvissute alla prostituzione), queste abilità comprendono: avere rapporti sessuali, fingere piacere sessuale, sopportare qualsiasi genere di violazione corporea e acconsentire che il tuo corpo venga usato in ogni modo possibile e immaginabile da un’altra persona. Questi atti sono considerati molestie e abusi sessuali quando i soldi non cambiano le carte in tavola. La prostituzione non viene raccomandata come una possibilità di carriera per le ragazze giovani. Non è presentata come una possibilità di carriera dai consulenti del lavoro e dai genitori. Un’esperienza di lavoro in un bordello non è raccomandata, alle persone disoccupate non viene chiesto di lavorare nella prostituzione. La realtà attuale, che l’industria del sesso cerca di coprire, è che coloro che hanno il potere e la libertà di agire non sceglierebbero la prostituzione come proprio stile di vita”.
Questa citazione fa notare che se noi accettiamo la prostituzione come un lavoro qualsiasi allora dovremmo essere in grado di dire quali sono le abilità richieste per la prostituzione. Questo tira in ballo un punto pertinente nella questione della normalizzazione della prostituzione. Esistono abilità particolari che sono necessarie a questo mondo per eseguire un qualsiasi lavoro. Questo è un fatto. Se la prostituzione deve essere considerata come lavoro ordinario, allora, davvero dobbiamo discutere su quali sono le abilità necessarie per svolgerlo. Descriverò le tre che sono le più usate (ovvero tutti i giorni) a partire dalla mia esperienza.
Quando un uomo ha preso accordi per un rapporto sessuale e il prezzo che è disposto a pagare, molto comunemente, di fatto molto più spesso che no, non sarà soddisfatto di stare nei limiti fissati dallo scambio sesso-denaro. Questo comporta che lui infilerà le dita, brutalmente, all’improvviso e senza lubrificante nell’ano o nella vagina. Comporterà che lui si sfili il preservativo proprio prima dell’orgasmo in modo da eiaculare nella tua bocca e/o sulla tua faccia o petto. Comporterà che lui ti afferri da dietro la testa e la spinga giù mentre ficca il suo pene in fondo alla tua gola più in fondo possibile. In queste situazioni senti una nausea profonda e l’abilità necessaria nella prostituzione è la capacità di controllare il riflesso del vomito.
A volte questi attacchi si protraggono in modo che il cliente che paga possa spassarsela nella profonda soddisfazione che gli deriva dall’averti degradata. In queste situazioni si sente un bisogno intenso di piangere e l’abilità necessaria nella prostituzione è quella di soffocare la voglia di piangere.
Ogni settimana ci saranno momenti nei quali ti sentirai sull’orlo del panico, sentirai una voglia irrefrenabile di scappare. Questa è la reazione naturale che gli esseri umani hanno in situazioni di pericolo o sessualmente repellenti. Nella prostituzione non puoi permettertelo. L’abilità necessaria in questa situazione è l’abilità di dissociarsi psicologicamente da quello che ti circonda, distaccarti dalla realtà immediata; fingere che non sta accadendo.
Per concludere:
L’abilità di controllare il riflesso del vomito; l’abilita di controllare la voglia di piangere; l’abilità di immaginare che la realtà che stai vivendo non esiste.
Questo è l’insieme delle abilità necessarie nella prostituzione. Queste sono le abilità necessarie per mettere in atto quello che alcune persone vorrebbero veder normalizzato come “sex work”.